martedì 31 gennaio 2017

Le otto montagne di Paolo Cognetti

Una boccata d'aria fresca.
Questa è stata la prima sensazione che mi hanno suscitato le  prima pagine de Le otto montagne.
Mi è piaciuto subito lo stile, semplice senza essere leggero, intrigante senza aspirare al pomposo, diretto e sincero.
Come la gente dei monti. Di questo parla il libro. È la storia di due amici e una montagna. Così lo definisce lo stesso autore, Paolo Cognetti, che, come uno dei suoi personaggi, si è lasciato la città alle spalle e ha scelto di vivere in una baita sopra Brusson, in Valle d’Aosta.


 Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è l’acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall'alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro è a monte.

La montagna diventa un luogo di elezione, un posto dove ricostruire e ricostruirsi, in fuga da una società in crisi, che ha deluso le aspettative di migliaia di giovani, che li ha lasciati senza futuro, ad annaspare come pesci troppo grossi in uno stagno troppo piccolo.
Il paesaggio non è forma, è sostanza: entra nelle relazioni- ha affermato lo scrittore in una sua recente intervista- C’è bisogno di semplificare per essere felici, di vivere con poco per essere liberi.
La montagna come santuario dove non solo recuperare un rapporto non mediato con la natura e l'essenza delle cose, ma anche spazio in cui riscoprire valori come la condivisione, la solitudine (quella buona), l'uso del corpo, l'amicizia.

In fondo il romanzo non è altro che la storia di una grande amicizia, quella tra Pietro e Bruno, uno nato in città, l'altro in un paesino sperduto, uno seguito da genitori amorevoli, l'altro cresciuto come l'erba di alpeggio, uno desideroso di conoscere posti nuovi, l'altro ancorato alla sua terra.
Due ragazzi che si sono incontrati grazia all'amore per la montagna, una passione che li ha tenuti vicini, anche quando lontani, per il resto delle loro vite.


Mi tornò in mente una certa fragilità che avevo intravisto in lui, certi attimi di smarrimento che subito si affrettava a nascondere. Quando mi sporgevo da una roccia e gli veniva d’istinto di afferrarmi per la cintura dei pantaloni. Quando stavo male sul ghiacciaio e si agitava più lui di me. Mi dissi che forse quest’altro padre l’avevo avuto sempre lì e non me n’ero mai accorto, per quanto era ingombrante il primo, e cominciai a pensare che in futuro avrei dovuto, o potuto, fare un altro tentativo con lui..

L'universo di Cognetti è uno spazio senza fronzoli né sovrastrutture, abitato da amicizie maschili, riflessioni solitarie e legami destinati a non finire mai.
Ma Le otto montagne è molto di più. È un libro sulla ricerca proprio posto nel mondo, un desiderio che parte da lontano, che non può prescindere dalle proprie origini.
Per decidere dove vogliamo andare dobbiamo prima di tutto capire da dove veniamo. Questa è la conclusione a cui Pietro arriva, facendo pace con un padre, a cui ha vissuto accanto, ma che non ha mai conosciuto fino in fondo.
Forse l'ha capito troppo tardi. O forse no. L'importante è aver appreso la lezione.
Prima di imparare ad usare le ali dobbiamo fare pace con le nostre radici.



Indicazioni terapeutiche: per chi quando va in montagna si sente più vicino a sé stesso.

Effetti collaterali: Noi diciamo che al centro del mondo c’è un monte altissimo, il Sumeru. Intorno al Sumeru ci sono otto montagne e otto mari. Questo è il mondo per noi. […] E diciamo: avrà imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne, o chi è arrivato in cima al monte Sumeru?
Il mondo si divide in due grandi categorie: chi resta e chi parte. Perché per alcuni il viaggio senza meta è l'unica scelta possibile, l'esplorazione continua, il girovagare spinti dall'urgenza della propria curiosità. Per alcuni l'unica stabilità possibile è l'assenza di ogni stabilità.



venerdì 27 gennaio 2017

Auschwitz di Francesco Guccini


Francesco Guccini scrisse la canzone Auschwitz nel 1966, quando aveva 24 anni. Alla domanda sul perché continua a cantarla, in una recente intervista, ha risposto "perché i motivi per cui è stata scritta, purtroppo, non si sono esauriti."

Son morto che ero bambino 
son morto con altri cento 
passato per il camino 
ed ora sono nel vento. 

Ad Auschwitz c’era la neve 
e il fumo saliva lento 
nel freddo giorno d’inverno 
e adesso sono nel vento. 

Ad Auschwitz tante persone 
ma un solo grande silenzio 
è strano non ho imparato 
a sorridere qui nel vento. 

Io chiedo come può un uomo 
uccidere un suo fratello 
eppure siamo a milioni 
in polvere qui nel vento. 

Ma ancora tuona il cannone 
ancora non è contenta 
di sangue la belva umana 
e ancora ci porta il vento. 

Io chiedo quando sarà 
che l’uomo potrà imparare 
a vivere senza ammazzare 
e il vento mai si poserà.

Ancora tuona il cannone 
ancora non è contento 
saremo sempre a milioni 
in polvere qui nel vento.




Auschwitz è indubbiamente una delle canzoni più belle scritte dal cantautore modenese, una denuncia non solo dell'olocausto ma della ferinità dell'uomo, che quando si spoglia della sua umanità, perde la sua stessa essenza. Un grido di dolore affinché questa bestialità non si ripeta mai più, affinché ogni essere umano non perda la propria capacità di provare compassione, di aiutare il più debole, invece di distogliere lo sguardo.
Finché esisterà l'indifferenza, finché esisteranno popoli di serie A e di serie B, finché persone vivranno a spese di altre, Auschwitz continuerà ad esistere. 

giovedì 19 gennaio 2017

Il male non dimentica di Roberto Costantini


Costantini non mi ha deluso con questo terzo capitolo della sua  Trilogia del male : lo scrittore prende per mano l'affezionato lettore e lo conduce, passo passo, verso l'epilogo della storia di cui è protagonista il commissario Balestrieri, sospeso tra passato e presente, tra l'amore per la madre morta prematuramente e il legame con la coraggiosa giornalista Linda Nari.
Quest'ultimo libro costruisce di fatto un ponte tra i due alter ego del protagonista: da una parte il Mike adolescente, idealista e puro, dall'altra la sua versione adulta, fiaccata dai compromessi e dal dolore per tutto ciò che perduto. La storia è costruita infatti alternando capitoli della giovinezza a Tripoli e altri incentrati sul presente a Roma.
Balestrieri è un personaggio ben sfaccettato e costruito egregiamente: attraverso il dipanarsi della storia possiamo seguire la sua evoluzione, o meglio la sua involuzione. Il Michele adulto è ormai un guscio vuoto. Un uomo che ha chiuso con la vita, rinunciando ad ogni slancio, prigioniero in un presente fatto di giorni tutti uguali.

Ma il male non dimentica.
Il ricordo di quel 31 agosto 1969, il giorno in cui Italia Balestrieri si è gettata da una scogliera, la stessa notte in cui Muammar Gheddaffi saliva al potere, non smette di tormentarlo. Balestrieri ha sempre saputo che i due eventi sono collegati, ma ha scelto di seppellire quel ricordo.
Ma il male non dimentica.
Come un veleno intacca ogni certezza e corrode ogni barlume di felicità.
L'omicidio della giovane Melania Druc e di sua figlia porterà a galla vecchi intrighi e antichi nemici. Mentre Balestrieri lotta tra la sete di giustizia e il desiderio di seppellire i suoi tormenti,  la giornalista Linda Nari si getta a capofitto in un'indagine parallela, decisa a portare a galla una verità rimasta sepolta per decenni.

Roberto Costantini


Il male non dimentica è, come i capitoli precedenti, un libro che si legge tutto d'un fiato, nonostante la trama sia talvolta alquanto complessa. La carta vincente risiede , senza dubbio, nello stile avvincente e nel ritmo serrato della narrazione. Unica nota dolente è la presenza di quasi 250 pagine che ripropongono, anche se da punti di vista differenti, eventi già narrati nel secondo volume. Utili forse per ha breve memoria ma che risultano ridondanti per chi, come, ha letto i due libri a distanza ravvicinata.
Piccola pecca che non toglie però valore a questa Trilogia, che resta uno dei tentativi più interessanti di thriller/noir della recente narrativa italiana.


Indicazioni terapeutiche: per chi crede che non è finita finché non è finita.

Effetti collaterali: Il valore aggiunto ai romanzi di Costantini è la capacità di aver saputo tratteggiare in maniera tanto vera quanto spietata il ritratto del paese in cui viviamo e di come sia cambiato nel corso degli ultimi anni. Ne emerge un quadro poco lusinghiero: un'Italia depredata da politici corrotti e faccendieri senza scrupoli.  Un popolo inerme e rassegnato all'idea che l'immoralità non si possa evitare, ma sia connaturata alla natura stessa umana. Che l'avidità sia la regola e l'onesta l'eccezione. Davanti a un tale tipo di male la resa è inevitabile.


giovedì 12 gennaio 2017

Un terribile amore di Catherine Dunne


Catherine Dunne è una che mira dritta al cuore. Nei suoi romanzi racconta le donne come pochi autori riescono a fare: le mette a nudo, scavando nelle loro anime, mettendole di fronte ai loro drammi, senza fare sconti. Le protagoniste della Dunne sono figure fragili e forti, ferite ma non rassegnate, capaci di infinito amore e odio profondo.
Nel suo ultimo romanzo Un terribile amore intreccia la storia di due donne molte diverse, per nazionalità , estrazione sociale, scelte, le cui vite, per uno strano scherzo del fato, sono destinate a sfiorarsi senza incontrasi mai fino all'epilogo. Due donne che si sono abbandonate al sentimento con trasporto e in cambio hanno ricevuto dolore, pena, abbandono. L'amore è stato il loro errore più grande, la loro dannazione.

 Certi uomini usano come armi i pugni, ma altri l’amore.

Calista è una diciassettenne di buona famiglia quando incontra l'affascinante Alexandros, uomo d'affari originario di Cipro: tra loro scatta una passione che sfocia in un matrimonio riparatore. Si trasferisce dalla sua terra natìa, l'Irlanda, per iniziare una nuova vita nel paese del neo-sposo: ma i suoi ingenui sogni giovanili andranno presto in pezzi. La sua nuova casa si rivelerà infatti una prigione dorata. Calista scoprirà ben presto che dietro la facciata ammaliante di suo marito si nasconde un uomo violento e aggressivo. Quando troverà il coraggio di fuggire scoprirà che certe scelte si pagano a caro prezzo. Forse troppo alto.
Pilar, figlia di contadini spagnoli, fugge dal paesino, per allontanarsi dalla miseria e dalla prepotenza del padre che ha passato l'intera vita ad umiliare la moglie. A  Madrid cercherà di costruirsi una vita che metta più distanza possibile tra lei e il suo passato. L'incontro con un uomo e una passione travolgente segneranno per sempre la sua esistenza, costringendola alla più dura delle rinunce.

Negli ultimi tre anni ha cercato molte volte di cambiare il profilo della propria esistenza. Ha cercato di tagliarlo in modo che le calzi meglio, sia meno ruvido contro la carne viva del dolore. Ma è come se le avessero consegnato un modello fisso, leggi immutabili che la limitano come un orlo, che imbastiscono e cuciono il tessuto della sua realtà in un modo che non è in grado di cambiare.

La scrittrice irlandese affronta un tema, quello della violenza domestica, che non è mai stato attuale come oggi. Un male antico, frutto di un retaggio e di mentalità maschilista, che vede la donna relegata in secondo piano, sposa, madre e serva, costretta a vivere come un'appendice del proprio uomo. Per questo Pilar sceglie di rimanere sola. Per questo Calista fugge.
Per essere libere, indipendenti, pienamente sé stesse.
Catherine Dunne costruisce un libro sofferto e amaro, dove non c'è un vero e proprio lieto fine ma solo lo strenuo  tentativo da parte delle due protagoniste di fare pace con sé stesse. Per Pilar la fine coincide con il ricongiungimento con una parte essenziale della sua esistenza. Al contrario per Calista, la conclusione è soltanto la presa d'atto di tutto ciò che ha perso per sempre.
Pilar e Calista distanti eppure unite dallo stesso destino: due donne che hanno creduto nell'amore ma sono state tradite, due donne che sono sopravvissute ai propri errori, imparando a convivere con il senso di perdita e la solitudine.


Indicazioni terapeutiche: per chi ama scandagliare l'animo femminile.

Effetti collaterali: il romanticismo ci ha lasciato in eredità l'idea che l'amore porti in sé il seme della salvezza. Non è sempre così. Ci sono amori che lasciano i lividi. Amori che fanno tremare le ossa. Amori che svuotano. Amori che allontano dagli altri. Amori che costringono ad abbandonare i propri figli.
Esistono. Sono gli amori terribili.