Noto sempre con dispiacere che alle presentazioni dei libri c'è sempre meno gente. D'altra parte l'Istat ha confermato che il numero di chi legge in Italia è in continuo ribasso: nel nostro Paese oggi ci sono oltre 4 milioni di lettori di libri in meno rispetto al 2010, senza considerare il fatto che nel 2016 sono circa 33 milioni coloro che non hanno letto nemmeno un libro di carta in un anno, cioè il 57,6% della popolazione.
Come dicevo tale disaffezione non dovrebbe stupirmi, invece mi intristisce ogni volta. Perché penso alle occasioni che le persone si perdono per conoscere, emozionarsi, ampliare i propri orizzonti.
Mai come questa volta l'incontro con l'autore Hamdan Jewe'i ha rappresentato per me un'opportunità di riflessione come raramente capitano: impossibile non rimanere colpiti dalla sua positività, dalla sua fiducia nel prossimo e dalla sua convinzione di poter sconfiggere i preconcetti e
Anna Vezzoni che ha introdotto l'incontro ha usato il termine resilienza.
La resilienza è la capacità di autoripararsi dopo un danno, di far fronte, resistere, ma anche costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili che fanno pensare a un esito negativo. Di costruire un cammino a partire dal dolore, senza rinnegare il passato, senza farsi consumare dall'odio.
Il cammino di Hamdan parte da lontano, da una stanza buia in una casa in un campo profughi a Betlemme, una stanza che è stata tutto il suo mondo per i suoi primi 11 anni. Hamdan nasce "diverso", con una disabilità che la sua famiglia, vittima essa stessa di una mentalità retrograda, non accettava. Nella società palestinese un figlio disabile è il frutto di una colpa, una punizione divina, un peso di cui farsi carico, uno stigma davanti agli occhi della comunità.
Per questo Hamdan è stato per anni una vergogna da dover celare agli occhi della gente, tanto che nessuno sapeva della sua esistenza. Fino al giorno in cui ha avuto la forza di imporsi e rompere le catene del suo isolamento per uscire nel mondo e frequentare gli altri bambini.
Da allora sono passati anni, anni che Hamdan ha speso in giro per il mondo testimoniando la sua esperienza e battendosi per i diritti dei disabili, affinché possano avere non solo le cure mediche di cui hanno bisogno, ma il riconoscimento sociale che meritano.
Il suo viaggio l'ha portato fino In Italia, dove ha conosciuto Franca Dumano, a cui ha raccontato la sua storia: è nato così il libro Il cammino di Hamdan, un affresco sullo straordinario percorso di liberazione compiuto da un ragazzo palestinese, imprigionato sin dalla nascita, da muri, porte sbarrate, steccati, filo spinato.
Una frase di Hamdan mi ha colpito: "Anche i disabili sono abili". Poche parole che racchiudono tutta la forza e l'energia di questo uomo che ha saputo usare il dolore non solo come carburante per il proprio percorso di crescita ma anche per lottare affinché questo cambiamento investa la società tutta, i cosiddetti "normodotati", che troppo spesso si limitano a voltare la testa dall'altra parte.
La storia di Hamdan è ancora più stupefacente se si pensa il luogo in cui è nato, la Palestina, in perenne conflitto con Israele da cinquanta anni. Palestina che purtroppo oggi significa per molti solo campi profughi, intifada, check-point, kamikaze. Ma soprattutto vivere in questa terra flagellata da scontri continui signifca ancora più difficoltà per accedere alle cure di cui le persone con una disabilità hanno bisogno. Una vita difficile resa ancor più difficile.
Eppure non c'è traccia di livore né di rabbia nella voce di Hamdan. Non biasima né la sua famiglia, con cui oggi ha ottimi rapporti, né tantomeno semina parole di odio. C'è solo speranza. Quella di costruire con l'aiuto di tutti coloro che credono che una pacifica convivenza sia possibile un nuovo mondo, un nuovo modo di stare insieme, che non escluda ma includa, abili e disabili, palestinesi e israeliani.
Franca Dumano dialoga con Hamdan Jewe'i è un libro che testimonia la grande voglia di vivere del suo protagonista, una volontà tale da spazzare via ogni pregiudizio e fanatismo. Affinché la voglia di gettare un ponte sia più forte del rancore. Perché come diceva Gandhi occhio per occhio il mondo diventa cieco.
Come dicevo tale disaffezione non dovrebbe stupirmi, invece mi intristisce ogni volta. Perché penso alle occasioni che le persone si perdono per conoscere, emozionarsi, ampliare i propri orizzonti.
Mai come questa volta l'incontro con l'autore Hamdan Jewe'i ha rappresentato per me un'opportunità di riflessione come raramente capitano: impossibile non rimanere colpiti dalla sua positività, dalla sua fiducia nel prossimo e dalla sua convinzione di poter sconfiggere i preconcetti e
Anna Vezzoni che ha introdotto l'incontro ha usato il termine resilienza.
La resilienza è la capacità di autoripararsi dopo un danno, di far fronte, resistere, ma anche costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili che fanno pensare a un esito negativo. Di costruire un cammino a partire dal dolore, senza rinnegare il passato, senza farsi consumare dall'odio.
Imparare a scrivere è stata una conquista molto importante, per me, una sorta di innamoramento per i segni, le decorazioni. La mia bella lingua con le sue tante forme apriva in me nuovi spazi, nuovi sogni. Il desiderio di comunicare si faceva bruciante e in poco tempo ricadevo nella disperazione dell’isolamento. Isolamento è proprio il titolo di una delle mie liriche: infatti, dopo aver imparato a scrivere ho iniziato a esprimere il mio dolore con i versi: poesie tristissime, apoteosi del mio dolore. Ne ricordo anche un’altra “L’ultimo momento”, scritta in occasione del mio tentativo di suicidio, a 8 anni.
Il cammino di Hamdan parte da lontano, da una stanza buia in una casa in un campo profughi a Betlemme, una stanza che è stata tutto il suo mondo per i suoi primi 11 anni. Hamdan nasce "diverso", con una disabilità che la sua famiglia, vittima essa stessa di una mentalità retrograda, non accettava. Nella società palestinese un figlio disabile è il frutto di una colpa, una punizione divina, un peso di cui farsi carico, uno stigma davanti agli occhi della comunità.
Per questo Hamdan è stato per anni una vergogna da dover celare agli occhi della gente, tanto che nessuno sapeva della sua esistenza. Fino al giorno in cui ha avuto la forza di imporsi e rompere le catene del suo isolamento per uscire nel mondo e frequentare gli altri bambini.
Da allora sono passati anni, anni che Hamdan ha speso in giro per il mondo testimoniando la sua esperienza e battendosi per i diritti dei disabili, affinché possano avere non solo le cure mediche di cui hanno bisogno, ma il riconoscimento sociale che meritano.
Il suo viaggio l'ha portato fino In Italia, dove ha conosciuto Franca Dumano, a cui ha raccontato la sua storia: è nato così il libro Il cammino di Hamdan, un affresco sullo straordinario percorso di liberazione compiuto da un ragazzo palestinese, imprigionato sin dalla nascita, da muri, porte sbarrate, steccati, filo spinato.
Negli anni della prigionia, non sapevo veramente come passare il tempo ed ero davvero triste. Quando ripenso alla mia infanzia mi stupisco di aver trovato la forza di superare la noia e la disperazione di quegli anni. Ho vissuto momenti davvero terribili, imprigionato nel mio corpo e recluso nella stanza della vergogna.
Una frase di Hamdan mi ha colpito: "Anche i disabili sono abili". Poche parole che racchiudono tutta la forza e l'energia di questo uomo che ha saputo usare il dolore non solo come carburante per il proprio percorso di crescita ma anche per lottare affinché questo cambiamento investa la società tutta, i cosiddetti "normodotati", che troppo spesso si limitano a voltare la testa dall'altra parte.
La storia di Hamdan è ancora più stupefacente se si pensa il luogo in cui è nato, la Palestina, in perenne conflitto con Israele da cinquanta anni. Palestina che purtroppo oggi significa per molti solo campi profughi, intifada, check-point, kamikaze. Ma soprattutto vivere in questa terra flagellata da scontri continui signifca ancora più difficoltà per accedere alle cure di cui le persone con una disabilità hanno bisogno. Una vita difficile resa ancor più difficile.
Eppure non c'è traccia di livore né di rabbia nella voce di Hamdan. Non biasima né la sua famiglia, con cui oggi ha ottimi rapporti, né tantomeno semina parole di odio. C'è solo speranza. Quella di costruire con l'aiuto di tutti coloro che credono che una pacifica convivenza sia possibile un nuovo mondo, un nuovo modo di stare insieme, che non escluda ma includa, abili e disabili, palestinesi e israeliani.
Franca Dumano dialoga con Hamdan Jewe'i è un libro che testimonia la grande voglia di vivere del suo protagonista, una volontà tale da spazzare via ogni pregiudizio e fanatismo. Affinché la voglia di gettare un ponte sia più forte del rancore. Perché come diceva Gandhi occhio per occhio il mondo diventa cieco.