mercoledì 24 agosto 2016

Mi sa che fuori è primavera di Concita de Gregorio


La storia è di pubblico dominio: il 28 gennaio 2011 Mathias Schepp va a prendere le figlie Alessia e Livia, due gemelle di 6 anni, a casa di amici, subito dopo prende un traghetto per la Corsica e pochi giorni dopo, il 3 febbraio raggiunge Cerignola in Puglia, dove si fa investire da un treno.
Delle bambine non si sono più avute tracce. Unico indizio un messaggio del padre: "Le bambine non hanno sofferto, non le vedrai mai più."
Sgonfiato il circo della cronaca nera, a distanza di anni, di questa tragedia non resta che una donna, Irina Lucidi, che ha dovuto imparare di nuovo vivere, perché, come dice il libro, il dolore da solo non uccide. Tornare ad essere felice, malgrado le persone, che criticano, che giudicano, che non accettano che si ribelli alla terribile sorte che le è toccata. Che credono che Irina si debba vergognare di aver dimenticato le sue bambine.
Dimenticare?
Come se fosse possibile. Come fosse possibile dimenticare di avere un braccio, una gamba, un cuore. Alessia e Livia non se sono mai andate e mai lo faranno. Niente si dimentica ma tutto, a momenti, si deve  prendere e mettere in un posto. 
Come fosse possibile arrendersi all'idea che magari siano vive, che siano felici, anche se altrove. Imparare a vivere con la loro assenza, che è più forte di qualsiasi presenza. 
La missione di Irina è questa: vivere per mantenere vivo il loro ricordo.  Per questo ha lasciato il suo lavoro e ha fondato  Missing Children Switzerland, un'organizzazione no profit che offre sostegno a livello psicologico, sociale e giuridico alle famiglie e ai congiunti vittime di una scomparsa di minore. 

L’attesa delle persone amate non è una pausa: è un lavoro incessante, una fatica mostruosa, una lotta contro i peggiori dei pensieri. È uno spazio che si riempie di mostri.

Questo libro nasce dal sodalizio di Irina con la giornalista Concita de Gregorio, ma non è un'inchiesta, bensì un'opera letteraria, che cerca di rimettere insieme ciò che era andato in pezzi. Un libro frutto dalla volontà di elaborare un trauma e di affrontarlo attraverso la scrittura, la forza di dire "ho bisogno di mettere fuori di me questo oggetto rotto".
La letteratura come cura, come strumento di riappacificazione col mondo.

Vorrei che mi aiutassi, se puoi, a prendere le parole metterle in fila ricomporre tutti i pezzi che sento frantumati e dispersi in ogni angolo del corpo. Vorrei ricostruire i frammenti come si ripara un oggetto rotto, prenderlo in mano e portarlo fuori da me. Per tenerlo accanto, portarlo in tasca, metterlo in borsa ma intero, tutto intero.

Racconta in prima persona, attraverso lettere e riflessioni personali, il viaggio di "ricostruzione" della protagonista. Come è stata costretta ad imparare a convivere con i sensi di colpa, con la consapevolezza di non aver intuito il pericolo, con il pregiudizio che l'ha investita, lei Irina, italiana, avvocato di successo, vittima del razzismo e del sessismo nella moderna e civile Svizzera. Come è riuscita a convivere con i buchi nelle indagini, le approssimazioni, l'ostracismo, vittima due volte, di un folle e di un sistema, che non ha saputo proteggere né lei, né le sue figlie.



Eppure non è un libro pieno di rancore o dolore. Al contrario è un romanzo sulla speranza, sull'amore, un romanzo che ci insegna come si sopravvive all'assenza.
Mi sono chiesta, leggendo, come abbia fatto Irina a sopravvivere, come sia riuscita a non soccombere. Alla fine ho capito. È sopravvissuta perché non si è chiusa nella sua sofferenza, perché non ha rinunciato all'amore, perché sogna balene felici e quando si sveglia piange dalla gioia. Perché non si è arresa alla disperazione, ma se l'è fatta amica, compagna, le si è seduta accanto ed ha trovato la pace.

Indicazioni terapeutiche: per chi rifiuta di arrendersi al suo dolore.

Effetti collaterali: Le parole a volte si ingolfano, altre si consumano. Altre volte ancora arrivano in ritardo e non servono più a dire quel che volevano. Le parole sono importanti. Sono come pietre, e come tali bisogna usarle. A volte mancano. C'è una parola per chi perde un genitore, orfano. E una per chi perde un partner, vedovo. Ma non c'è un parola per chi perde un figlio. Non c'è una parola capace di circoscrivere un lutto così devastante.

martedì 16 agosto 2016

Splendi più che puoi di Sara Rattaro




Ogni giorno le cronache ci riportano le notizie di donne uccise barbaramente. Sono numeri che spaventano quelli relativi al femminicidio: dall'inizio del 2016, almeno 58 donne sono state uccise in Italia dal partner o dall'ex fidanzato. L'ultimo caso salito alla ribalta è quello di Vania Vannucchi, morta a seguito delle gravissime ustioni riportate. Il presunto assassino è un collega con cui aveva avuto una relazione, Pasquale Russo, che, dopo averla attirata nel parcheggio dietro l'ex ospedale di Lucca con la scusa di un chiarimento,  l'ha cosparsa di benzina e le ha dato fuoco.
Con il suo ultimo libro, Splendi più che puoi, vincitore del Premio Rapallo Carige 2016, la scrittrice Sara Rattaro sceglie di raccontare la vita di una delle tante donne maltrattate, una di quelle che, per fortuna, si è salvata, il cui nome non comparirà sulla cronaca nera. Per buona sorte, per destino, per coraggio. Chi può dirlo.
La protagonista è Emma, intelligente, istruita, la ragazza della porta accanto, scampata al marito divenuto il suo aguzzino. Un romanzo ispirato ad un storia vera, una storia come tante, come troppe purtroppo, che merita di essere raccontata.


 L'espressione “amore mio” è un ossimoro. Il sentimento più bello e l'aggettivo più possessivo. 

Quando Emma incontra Marco le sembra di aver avuto una seconda possibilità. Archiviata la storia con Tommaso, può tonare a sentirsi amata, apprezzata, desiderata. Può buttarsi a capofitto in questa nuova relazione. Marco è affascinante, sicuro di sé, pieno di attenzioni. Si sposano dopo sei mesi.
Tutto è perfetto.
Col passare del tempo emergono le prime incrinature: le gelosia, gli sbalzi di umore, i litigi, le offese, le botte. Emma non riesce a capacitarsi di questo cambiamento: Marco è suo marito, l'uomo che ha deciso di sposare, non può arrendersi. Non ora che è in arrivo la loro bambina.

Non è mai precipitosa. La discesa inizia sempre con un piccolo passo verso il basso.

Il romanzo è una discesa agli inferi, la cronaca di una vita che diventa incubo, il racconto della dignità di una donna annullata da anni di soprusi, violenze psicologiche e fisiche. Marco che la obbliga a rinunciare al suo lavoro, Marco che le impedisce di vedere i suoi genitori, Marco che la rinchiude in cantina senza cibo né acqua, Marco che le spezza un braccio e le vieta di andare in ospedale a curarsi.

In astronomia la chiamano energia oscura. Ed è la causa primaria dell'espansione accelerata dell'universo. Qui, sul pianeta Terra, la riconosciamo in ogni donna capace di portarsi in salvo
I dettagli cruenti sono appena accennati, nel libro non c'è nessuna descrizione particolareggiata, ma non se ne sente il bisogno. Il dolore, il disagio, l'umiliazione pervadono ogni riga.
Emma impiegherà anni a trovare la forza per fuggire dalla follia di suo marito, per riaccendere quella luce dentro di sé che l'uomo che avrebbe dovuto amarla e proteggerla aveva provato a spegnere, per tornare a splendere. Anni che lasceranno in lei cicatrici troppo profonde per guarire del tutto.
Leggendo il libro non ho fatto che chiedermi: perché non è fuggita al primo schiaffo?
Credo sia impossibile dall'esterno riuscire a capire. Possiamo, anzi dobbiamo, provarci. Partire dal presupposto che per imparare a riconoscere l'amore dobbiamo, come prima cosa, imparare ad amarci. Parte tutto da lì. Dalla propria autostima, dalla convinzione di meritare rispetto, di essere degne dell'amore, di non dover essere costrette ad elemosinarlo. A ciò vanno aggiunte la paura del giudizio altrui, la sfiducia nel sistema giudiziario incapace di proteggere le donne maltrattate dai loro aguzzini, la società che stigmatizza le vittime e giustifica i persecutori. Una donna che subisce violenza è, prima di tutto, una donna sola con il suo dolore e la sua vergogna, una donna che grida tutto il suo dolore attraverso il silenzio, i lividi nascosti, lo sguardo spento.


Non mi stancherò mai di ripeterlo, la violenza di genere prima che un problema di tipo sociale è culturale. Servono quindi modelli, leggi, educazione.  Mi colpisce di continuo la leggerezza con cui certi argomenti vengono bollati come inezie, fissazioni da femministe, con quanta superficialità e ignoranza si tollerino comportamenti in evidente conflitto con una concezione del rispetto della donna in senso sostanziale e non solo formale. Non bisogna dimenticare che dai commenti sessisti, dai "lavori da donna", dal "sesso debole", dal "se l'è cercata perché aveva la minigonna", alle morte ammazzate, sfigurate, bruciate vive, massacrate di botte, sgozzate, il passo non è poi così lungo.



Indicazioni terapeutiche: per ogni donna che ha lottato per riprendere in mano la sua vita e farne molto di più, per chi è tornata a splendere, malgrado tutto.

Effetti collaterali: Quello che fa più male è l'indifferenza degli altri. La famiglia che finge di non sapere, i vicini di casa che si girano dall'altra parte, una coltre di indifferenza che inghiotte tutto. Fino a quando la violenza sulle donne sarà percepita come un fatto privato invece che come un problema sociale, questa strage degli innocenti non si fermerà.



mercoledì 10 agosto 2016

Rio 2016: la riscossa dei sognatori

Rio 2016: una valanga di emozioni.
Le Olimpiadi come metafora della vita: lotti, sudi, soffri, vinci, talvolta perdi. Ma a casa riporti sempre qualcosa, non sempre una medaglia, ma una lezione che ti marca a fuoco, ricordi indelebili, emozioni incancellabili.
Sono molte le storie che mi hanno colpito nel corso di questa XXXI edizione dei Giochi, vite sacrificate sull'altare di una passione, quella per lo sport, totalizzante, che mischia lacrime e sudore, che ti innalza sulla cima dell'Olimpo, ma può farti anche precipitare nel più profondo dei baratri.



La medaglia d'argento della coppia formata da Tania Cagnotto e Francesca Dallapé, dietro le cinesi che sembravano disputare una gara tutta loro. L'emozione di un abbraccio che racchiude tutti i sacrifici di anni di allenamenti. Una rivincita a distanza di quattro anni da Londra, quando mancarono il podio per appena 2.70 punti, superate dalla canadesi. Proprio le canadesi che, per uno strano scherzo del destino, hanno mancato a Rio la medaglia di bronzo per un soffio. Un cerchio che si chiude. Una rivincita che vale come un oro, che però non cancella i momenti difficili. Alla fine della gara Tania Cagnotto confessa il sollievo di lasciare lo sport, la tensione e la fatica che l'hanno accompagnata:

Però arrivare a questo argento è stato feroce, scortica, toglie la pelle. So che rimpiangerò lo sport, ma sono a pezzi. Stanca di soffrire. Smetto per questo, perché è un fuoco che riscalda, ma che consuma anche. Non solo te, ma anche quelli che ti stanno attorno.


Adam Peaty che a soli 21 anni è già entrato nella leggenda, record mondiale, l'unico al mondo a essere sceso sotto il muro dei 58'', e medaglia d’oro nei 100 metri rana. Non male per uno che da bambino aveva paura dell'acqua. Uno che è venuto su dal nulla, talmente povero che la sua allenatrice e scopritrice Rebecca Adlington regalò un'auto alla sua famiglia, dal momento che non poteva nemmeno permettersi i mezzi per raggiungere la piscina dove si allenava.
La riscossa di un ragazzo che è partito dal nulla e che, grazie al suo duro lavoro e alla sua determinazione, è arrivato sul tetto del mondo. In vista dei Giochi, si è sottoposto ad un allenamento durissimo: sveglia tutte le mattine alle 4, in piscina dalle 5 alle 7, e, di seguito, palestra fino alle 8.30. Poi di corsa al college per studiare. Nel tardo pomeriggio una seconda sessione di allenamento e, una volta tornato a casa, cena e a letto alle 19 come un bambino. “La gente non mi vedrà in giro per un po’ –aveva dichiarato ai giornali -, poiché sarò molto stanco".
Direi che ne è valsa la pena.


Yusra Mardini, diciottenne profuga siriana, inserita tra i dieci atleti selezionati dal Comitato Olimpico Internazionale per formare, per la prima volta nella storia, la squadra dei rifugiati. Yusra è una sopravvissuta: quando il barcone su cui stava viaggiando ha incominciato ad affondare nelle acque del Mar Egeo, si è tuffata e ha nuotato per tre ore fino all'isola di Lesbo, mettendo in salvo così le altre 20 persone a bordo.
Tutta la sua storia ha dell'incredibile. Già convocata nella squadra siriana, Yusra ha dovuto abbandonare il suo paese, a seguito della escalation di violenze e dei bombardamenti, che hanno distrutto, tra i tanti edifici, anche la piscina in cui si allenava. Da lì la decisione di fuggire, insieme alla sorella Sarah, fino alle coste della Turchia, e poi il naufragio, e ancora l'esodo attraverso la Macedonia, la Serbia, l'Ungheria e l'Austria, fino ad approdare alla Germania, dove attualmente vive e si allena. E poi la chiamata, quella del Cio, quella che la invitava a far parte di una squadra, composta da atleti come lei, che hanno perso tutto, che sono fuggiti dall'orrore della guerra, ma che non hanno rinunciato al loro sogno. E che alla fine una medaglia nella sua specialità, i 100 metri farfalla e stile libero, non sia arrivata poco importa. La sua vittoria quella più bella, l'ha già ottenuta. 




La storia dell'atleta uzbeka Oksana Chusovitina che a 41 anni disputa la sua settima Olimpiade, qualificandosi per la finale del volteggio. La sua storia è degna della trama di un film: ha disputato i giochi vestendo tre body differenti, CSI, Uzbekistan e Germania, vincendo due medaglie, argento al volteggio nel 2008, oro con la squadra nel 1992 a Barcellona. Ma, cosa ancor più rara tra le atlete, è rientrata a gareggiare dopo essere diventata mamma di Alisher. Lasciata la nazione tedesca, dove si era trasferita per curare il figlio affetto da da una grave malattia, è tornata a vestire la casacca della sua terra d'origine. Scenderà in pedana domenica 14 agosto a caccia di una medaglia che avrebbe dell’incredibile, considerando che la più "anziana" delle ginnaste statunitensi a queste Olimpiadi è nata nel 1994, quando la Chusovitina aveva già gareggiato per il suo primo torneo olimpico.

E poi c'è Michela Phelps, che si aggiudica tre medaglie d'oro, una nei 200 metri farfalla, una nella staffetta 4x200 stile libero e una nella staffetta 4x100 stile libero , entrando così nella storia come l'atleta olimpico più titolato di sempre raggiungendo quota 21,  a cui vanno aggiunti due argenti e due bronzi.
E la delusione per Federica Pellegrini per il quarto posto nei 200 metri stile libero, la rabbia che la spinge a dire che forse è il momento di mollare. E ancora la medaglia d'oro di Fabio Basile, un po' sbruffone, ma che, poco più che ventenne, ha sorpreso tutti con una vittoria inaspettata, mettendo a tacere tutti coloro che gli avevano consigliato di aspettare Tokyo 2020.

Tante storie, tutte diverse, ma ognuna capace,  a suo modo, di emozionare. Tante vittorie, altrettante sconfitte, che insegnano che alla fine, come dice a Jim Morrison, a volte il vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato.



lunedì 8 agosto 2016

Presentazione del libro "Città Versilia" di Ettore Neri

Mercoledì 3 agosto presso la Sala Cope di Querceta Ettore Neri ha presentato il suo ultimo libro Città Versilia, scritto con il contributo del prof. Giuseppe Cordoni, il manifesto della neo-nata associazione Versilia, su la testa.
All'incontro hanno partecipato, oltre agli autori, Riccardo Tarabella, sindaco di Seravezza, Giacomo Genovesi, assessore alla valorizzazione e promozione del territorio , Paolo Giannarelli, già sindaco di Seravezza e già assessore regionale, oltre al giornalista Gabriele Buffoni in qualità di moderatore.
Il sottotitolo dell'opera dice già molto: Schede, proposte, approfondimenti e lo statuto di una nuova associazione. Quest'opera, come lo stesso autore ha sottolineato, nasce, a seguito della campagna per le elezioni regionali del 2015, con lo scopo di fornire un valido strumento che racchiude un 'analisi e i relativi obiettivi per ciascuna area di competenza: dalle politiche ambientali a quelle per la salute, dalle politiche per la legalità e la sicurezza a quelle legate al turismo. 
La stessa struttura del libro rimanda ad un uso espressamente "pratico": è costituito infatti da schede, che possono essere aggiornate, riviste, aggiunte mano a mano che si procede nella progettazione di un brand Versilia, capace di andare oltre gli interessi particolari e costruire una visone unica che includa tutta la Versilia, quella del settore lapideo, quella del turismo balneare,  quella dei parchi, quella delle città d'arte e del Patrimonio dell'Unesco, che abbracci cioè l'intero territorio dal lago di Porta e quello di Massaciuccoli.


Come si fa?
Coltivando la volontà non solo di riscoprire il proprio territorio e di valorizzarlo ma soprattutto ripartendo dalla volontà di costruire una strategia complessa che veda la Versilia appunto come un soggetto unitario, qualcosa di più della semplice somma degli elementi che la compongono.
Nasce così l'associazione Versilia, su la testa che si prefigge come obiettivo quello di dare un importante contributo a questo cammino che è giusto all'inizio, senza rimandi a partiti o ideologie.
Che poi significa fare politica nel senso proprio del termine, politica intesa appunto come quel complesso di attività che si riferiscono alla ‘vita pubblica’ e agli ‘affari pubblici’ di una determinata comunità di uomini. Il termine chiave è proprio comunità: significa ripartire cioè da quell'identità comune di un luogo per costruire una città abitabile.
Un progetto ambizioso all'interno di quello che il sociologo Marshall Mc Luhan chiamava il villaggio globale: l'ossimoro mcluhiano ha proprio lo scopo di mettere in luce il carattere profondamente contraddittorio di questa nuova condizione esistenziale. Il termine villaggio infatti rimanda ad un’idea di circoscritto, di sicuro, di conosciuto, mentre con l’aggettivo globale si fa riferimento al mondo intero. Di fatto, tuttavia il senso di comunità che contraddistingueva il villaggio è sparito. La globalizzazione, nata come un fenomeno prettamente economico che ha poi investito ogni dimensione politica, sociale, culturale, si è rivelata il grande bluff di questo nuovo millennio.
La caduta delle barriere tra gli Stati che ha permesso la libera circolazione delle merci, delle persone e delle idee invece di promuovere l’uguaglianza ha ulteriormente inasprito le differenze tra Nord e Sud, tra ricchi e poveri, tra chi ha tutto e chi non possiede nulla. Come sottolinea Giuseppe Cordoni: 

In ogni città mancata, è la moltitudine degli esclusi dei “cittadini mancati” a soffrire e a pagare il prezzo di inaudite differenze.

È da sottolineare l'apporto al libro del professor Cordoni, che evidenzia l'importanza di valori quali la bellezza, il senso civico, la condivisone.  
Civis e civitas. Come sottolinea il professore la parole sono come pietre ed è importante scegliere ed usare quelle giuste: la parola città deriva dal latino civitatem, accusativo di civitas, mentre il sostantivo civitas a sua volta proviene da civis, che significa cittadino. Civitas è una parola dal significato più politico che geografico, che indica la condizione dell'essere cittadino e allude quindi, in ultima analisi, alla volontà di costruire un nuovo modello di città che non può prescindere dal senso civico di ogni singolo individuo.


Ettore Neri
Diventa di fondamentale importanza riscoprire il valore del bene comune e quello di un progetto che mira a fare ella coesione fra le sue parti un primario valore fondativo. In un quadro politico-istituzionale che vede i Comuni perdere sempre più potere e mezzi per incidere sulla realtà del territorio che amministra, l'unico futuro auspicabile è quello che vede la Versilia costituirsi come un soggetto unico in grado di dialogare al tavolo dei grandi e di far pesare il proprio potere politico. 
Non si tratta tuttavia un processo di tipo top-down ma bottom-up, di un "sentire" che non si può costruire a tavolino. Il cambiamento deve scaturire scaturisce dai cittadini stessi, chiamati ad abbandonare le proprie posizioni campanilistiche e imparare a ripensarsi come abitanti non di un paese o di un comune, ma di una città del futuro, di un sogno che forse un giorno si concretizzerà se coloro che l'hanno sognato saranno capaci di tradurlo in realtà, un sogno dal nome Città Versilia. 
Si tratta di un'utopia? Forse.
Ma come rimarca la citazione di Kant, riportata all'inizio del libro, tratta da «Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?» del 1784:

L'Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessa è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'Illuminismo.

Sapere aude significa, in ultima analisi, pensare con la propria testa, avendo il coraggio, ed è proprio il caso di chiamarlo così, di sfidare il sentire comune e far avanzare non solo noi stessi, ma anche la comunità in cui viviamo.



mercoledì 3 agosto 2016

Nessuno sa di noi di Simona Sparaco


Dopo aver letto Equazione di un amore mi è venuta voglia di riprendere in mano l'opera prima di Simona Sparaco, Nessuno sa di noi, finalista premio Strega 2013, a mio avviso, il romanzo più riuscito di questa scrittrice. Un  libro difficile e coraggioso perché affronta uno dei pochi tabù rimasti nella nostra società: l'aborto terapeutico. Non è facile parlare della maternità al di fuori dei soliti cliché, raccontare di quelle mamme che mamme non saranno mai, ma Simona Sparaco ci riesce, mettendo giù una storia forte, pura, cruda, che lascia il lettore con un groppo in gola e lo spinge a immedesimarsi, a "sentire" senza giudicare.

Chissà perché sono sempre così insignificanti i pensieri, un attimo prima dell'impensabile.

Luce e Pietro sono una coppia come tante, che, dopo cinque anni di tentativi,  sta per coronare il sogno di avere un figlio. È tutto pronto: la cameretta, i giochi, i vestitini. Lorenzo sta per arrivare.
Durante una visita al settimo mese qualcosa però non va come dovrebbe, Lorenzo è troppo "corto". La ginecologa pronuncia due parole che risuonano come una lugubre sentenza: displasia scheletrica.
Due parole capaci di costruire un solco tra un prima e un dopo, tra una famiglia felice e due genitori alla deriva del loro dolore.


É successo che eravamo felici. Sembravamo volare sopra le nostre vite, cosi meravigliosamente incoscienti. Poi, in un istante qualunque, siamo precipitati. E adesso siamo qui, senza sapere se resteremo paralizzati a vita, o se incerti e zoppicanti, prima o poi, ci rimetteremo in piedi e ricominceremo a camminare.

Da quel momento inizia una corsa frenetica contro tempo. I termini per l'aborto terapeutico in Italia sono scaduti e alla coppia non resta che volare a Londra, nella speranza di una diagnosi diversa.
Ma la speranza è la più grande delle illusioni.
Posti di fronte ad una scelta terribile, Luce frastornata si arrende. Tocca a Pietro prendere in mano la situazione e decidere per entrambi. La città sul Tamigi, in un'atmosfera natalizia surreale,  sarà l'attonita testimone di un decisione che segnerà un punto di svolta nelle loro vite, una macchia indelebile da cancellare.

Ora l'ho capito, in questo imponderabile viaggio non ci sono certezze, possiamo solo camminare avanti, cercando di non avere motivi per non farlo a schiena dritta.

Nessuno sa di noi è un libro che coinvolge, commuove, strazia. Un romanzo che ci pone davanti alla sofferenza di una scelta che nessuno può giudicare. proprio il tema della sospensione del giudizio al centro della storia. Luce è una donna vittima di un dolore immenso, che non si stanca, non si arrende, che la trascina sempre più in basso, in un gorgo tortuoso.
Più forte di tutto il senso di vergogna e inadeguatezza che la sovrasta. Luce si sente colpevole come se fosse stata lei la causa della malattia del suo bambino, un supplizio che la spinge ad isolarsi, a chiudersi in sé stessa, che le impedisce di confessarsi e confrontarsi con gli altri, vittima del pregiudizio e della paura di essere giudicata. Perché il dolore si amplifica nel silenzio, come un urlo nella notte, e ci consegna ad una landa di solitudine.
Nessuno sa di noi  è la storia di un figlio atteso, cercato, desiderato. Un figlio che diventa dolore, poi assenza, poi una luce capace di rischiarare l'oscurità dentro l'animo della protagonista, di riconciliarla con sé stessa, con i suoi vuoti e le sue mancanze.


Indicazioni terapeutiche: per chi crede che il bene e il male, spesso, si confondano, per chi ha  avuto il coraggio di saltare, e di tornare quaggiù, su questa terra desolata eppure bellissima.

Effetti collaterali: Solo col tempo, l'angoscia diventa sopportabile, il ricordo un lumicino di speranza, quella che a volte la vita ci mette di fronte a delle scelte lancinanti, incomprensibili, ma ciononostante si può sopravvivere. Che si può tornare a abitare la propria vita, a dispetto dei graffi e delle cicatrici, feriti, violati, saccheggiati ma più consapevoli di prima.