martedì 28 agosto 2018

L'animale femmina di Emanuela Canepa

Vincitore del Premio Calvino 2017 all'umanità: ho comprato questo libro attratta dalla recensioni positive. Purtroppo la promessa di consegnare una storia che mettesse a nudo le fragilità femminili, in una sorta di educazione sentimentale in cui le prospettive si ribaltano non è stata tuttavia mantenuta. Forse non sono stata io in grado di cogliere il messaggio dell'autrice, ma, in verità, questo romanzo non si è dimostrato all'altezza delle mie aspettative e dopo un'inizio promettente si è perso per strada, non riuscendo a trasmettere il pathos e il coinvolgimento che mi sarei aspettata. 

Sono mesi che mi tormenta ai limiti dello stalking. Ragionare con lei è impossibile. Non vuole la soluzione più efficace sul piano dei diritto. Vuole che qualcuno le restituisca la vita che ha perso. O almeno un responsabile su cui infierire. Un cadavere per placare la rabbia. Tutte cose che io non posso darle.

Rosita è una ragazza fuggita dal sud e da una madre oppressiva, che vive a Padova dove frequenta con scarsi risultati la facoltà di Medicina. La sua vita sembra destinata ad un grigiore perenne: una vita modesta, niente amici né relazioni stabili, nessuno con cui condivider il peso dei propri fallimenti. Un giorno incontra per un caso fortuito un ricco e stimato professionista, l'avvocato Lepore, che rimasto colpito dalla sua situazione le offre il suo aiuto, assumendola part-time nel suo studio.
Nonostante l'apparente atto di disinteressata generosità, l'avvocato Lepore si rivela ben presto tutt'altro che un benefattore:  Rosita scopre velocemente di essere al cospetto di un uomo cinico, imprigionato dalla propria visione del mondo e dal bisogno di catalogare tutte le persone che incontra. In particolar modo, sembra provare una particolare avversione per l'intero genere femminile: come reagirà Rosita alle sue continue provocazioni? Riuscirà, nonostante la sua fragilità emotiva, ad opporsi al soverchiante maschilismo del suo titolare o né rimarrà schiacciata?

A un certo punto ho capito che continuare a sperare era solo una scelta tossica. A partire dai quattordici anni nella mia testa ha cominciato a prendere forma un pensiero spontaneo e ossessivo di cui mi vergognavo a morte, ma che non riuscivo a censurare: “Devo andarmene da questa casa o mi verrà una brutta malattia”. Per molto tempo non ho avuto il coraggio di farlo. Poi mi sono detta che dovevo tentare, e alla fine, non so bene come, ci sono riuscita. Perché sapevo che là dentro sarei morta. E io invece volevo vivere.

Andando avanti nella lettura emergono i veri motivi alla base della misoginia dell'avvocato Lepore: non aggiungo altro per no rivelare troppo della trama ma, a mio avviso, la ricostruzione del passato dell'uomo non basta a giustificare un così gretto atteggiamento. Probabilmente perché non appartengo alla categoria di chi giustifica gli errori del presente in nome delle sofferenze del passato.
D'altra parte non sono neanche riuscita a provare empatia per la protagonista: una ragazza insicura, quasi al limite dell'o sprovveduto, che si lascia coinvolgere in maniera del tutto passiva in torbidi intrighi pur di non perdere quel briciolo di sicurezza che le era stata donata. Nemmeno il twist in the end è riuscito farmi ricredere e risollevare un romanzo che, per la maggior parte del tempo, naviga tra le acque poche profonde della noia.
L'animale femmina ci consegna un quadro fosco dei rapporti tra uomini e donne (ma non solo), dominati dalle menzogne e dall'egoismo, in cui sono proprio le donne ad avere la peggio, vittime delle proprie illusioni, imprigionate in storie a senso unico, in cui donano tutto senza ricevere nulla in cambio. Come se l'amore potesse prescindere dal rispetto di sé. Come se l'amore fosse una stampella. Come se l'amore dovesse colmare l'immenso buco generato dalle proprie insicurezze. 
Ma davvero nel 2018 si può ridurre la complessità delle relazioni umane al ruolo dell'"animale femmina", ossia ricorrendo allo stereotipo della naturale tendenza delle donne a sottomettersi alle pretese maschili?  


Indicazioni terapeutiche: per chi vuole scavare nell'animo umano.

Effetti collaterali: La misoginia non trova giustificazioni, così come il becero femminismo che assolve le donne a prescindere in quanto tali. Su un punto Emanuela Canepa non ha fatto differenze: tutti i personaggi del racconto sono ugualmente colpevoli, vittime e carnefici, costretti a convivere con le proprie cicatrici e con il rimorso del dolore inflitto a chi più amavano.


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