giovedì 14 dicembre 2017

L'Arminuta di Donatella Di Pietrantonio



Avere due mamme, senza in realtà averne nessuna. La giovane protagonista dell'ultimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio scopre all'età dei tredici anni che quella che aveva sempre ritenuto sua madre, quella che l'ha allevata e riempita di attenzioni e cure amorevoli, non è chi dice di essere. Come un pacco postale, l'ha rispedita dalla vera madre biologica, che l'aveva ceduta quando era ancora in fasce.

Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze. Non sapevo più da chi provenivo. In fondo non lo so neanche adesso. 
L'Arminuta, che in dialetto locale significa "la ritornata", torna così nella casa natia, in un piccolo paese dell'entroterra abruzzese. Viene così catapultata in una dimensione parallela dove tutto ciò che aveva conosciuto è ormai un lontano ricordo: dovrà convivere con i fratelli e i genitori che per lei sono dei perfetti estranei, lontana dagli agii e dall'ovattata sicurezza in cui era cresciuta. L'unica alleata sarà la sorella minore Adriana che, seppur in modo primitivo e brusco, cercherà di aiutarla ad adattarsi alla nuove e alienanti dinamiche familiari.

Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Ora ci somigliamo meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate.

L'Arminuta è il caso editoriale dell'anno, vincitore della cinquantacinquesima edizione del premio Campiello. Meritatamente aggiungerei. È infatti un libro commuovente e amaro che tratta in maniera delicata di genitori e figli, di ritorni e abbandoni. La scrittura di Donatella Di Pietrantonio è carica di sentimento ma mai ridondante, piena senza essere pesante. Dalle sue parole emerge tutta la crudeltà della vita, senza però giudizio alcuno.
La protagonista, di cui non sapremo mai il nome, racconta in prima persona il trauma di scoprire di essere cresciuta nella menzogna, figlia di silenzi e bugie, vittima degli egoismi degli adulti che, invece di proteggerla, l'hanno abbandonata a sé stessa.

Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure.
Lontana da quella che ha sempre considerato casa sua, proverà il freddo, la fame, la solitudine, il disagio di sentirsi diversa e incompresa. Logorata dalle domande, non smetterà mai di sognare di poter tornare tra le braccia della sua "vera" mamma, fino a costruirsi un improbabile castello di spiegazioni pur di giustificarne l'abbandono.
Anche quando l'ultimo barlume di speranza si sarà spento, in lei rimarrà una durezza, simile a quella di una lama d'acciaio, forgiata dalla dolorosa condizione di essere stata rifiutata per ben due volte, che l'accompagnerà per il resto della sua vita. Resterà per sempre incapace di pronunciare la parola "mamma", orfana di due madri. Orfana di sicurezza, di fiducia, di amore. Una ferita incapace di rimarginarsi, un vuoto destinato a non essere mai colmato.

Indicazioni terapeutiche: per chi cerca una storia di abbandoni che tocchi le corde dell'anima.

Effetti collaterali: essere madri significa molto di più che partorire un essere umano. Implica amore, rispetto e sincerità . Il resto è gettare figli nel mondo, condannarli alla precarietà affettiva e alla solitudine. È più facile generare infelicità che il contrario.

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