venerdì 16 marzo 2018

Mi chiamo Lucy Barton di Elizabeth Strout



New York. Una camera di ospedale dalla cui finestra si coglie lo spettacolo della vetta scintillante del Chrysler. Dentro due donne che non si vedono da tanto tempo. Una è ricoverata a seguito delle complicanze di un intervento chirurgico, l'altra la assiste.
Nell'arco di pochi giorni, cinque per l'esattezza, parleranno come non hanno fatto mai e come non faranno più. Le due donne non sono persone qualunque, ma sono legate dal legame più ancestrale e contraddittorio che possa esistere: sono madre e figlia.


E quella sera, nella stanza dell'ospedale, mia madre era la madre che avevo sempre avuto, per quanto diversa potesse sembrare con quella voce quieta, inderogabile, e la faccia più tenera del solito.

La voce narrante appartiene alla figlia, ricoverata a causa di una misteriosa infezione, che, con suo grande stupore, vede apparire al suo capezzale la madre che non vede da molto tempo.
"Ciao Bestiolina". Due semplici parole capaci di spazzare via l'assenza di anni.
L'asettica stanza dell'ospedale prenderà vita popolandosi di figure che arrivano dalla provincia dell'Illinois: alla protagonista non resterà che ascoltare dalla voce calma e rassicurante di sua madre, così diversa da come la ricordava,  il racconto delle disavventure dei suoi ex concittadini, persone che credeva di aver dimenticato, perché tornino a galla i dolorosi ricordi della sua infanzia. La miseria, gli abusi, il senso di inferiorità.
Il racconto diventa allora un patto di tregua, un modo per riannodare un filo spezzato, un legame sepolto dalle incomprensioni e dalla lontananza.
Ma come si parla alla propria madre quando il silenzio ha ricoperto anni di sofferenza e povertà, quando la tua vita è piena di non detti, quando la persona che avrebbe dovuto proteggerti è quella che ti ha ferito maggiormente?
Il passato è un fardello è troppo pesante. Eppure sua madre è lì accanto a lei, nel momento in cui ne ha più bisogno, senza allontanarsi né dormire mai.


Mi meraviglia come riusciamo a trovare modi per sentirci superiori a un'altra persona, o a un gruppo di persone. Succede dappertutto, di continuo. Comunque lo si chiami, a mio giudizio è il fondo del barile di chi siamo, questo bisogno di trovare qualcuno da snobbare

Mi chiamo Lucy Barton è un romanzo breve, quasi asciutto, mai banale però . Solleva al contrario numerosi riflessioni sull'importanza della famiglia di origine, delle radici, di certi vuoti che non si placano mai.
Il dolore dei figli dura per sempre. Questo sembra essere il messaggio che Elizabeth Strout ci consegna.
L'amore tra una madre e i suoi figli è grande, grandissimo, immenso, ma anche imperfetto. Quando la tua vita è piena di verità taciute,  perdonare chi  al tempo stesso è sia la fonte del tuo dolore e delle tue insicurezze sia una persona che non puoi fare a meno di amare diventa un'impresa destabilizzante. Tuttavia fare pace con questa amara consapevolezza, accettare cioè l'idea che le persone non siano come noi le avremmo volute è un primo doloroso passo verso una vita serena e piena.



Indicazioni terapeutiche: per chi ha fatto pace con i fantasmi del proprio passato e ha deciso di guardare avanti.

Effetti collaterali: Come si conquista  la felicità se non ci è stato insegnato l'amore?
Attraverso il racconto di sé stessi e su sé stessi.
La protagonista di questo romanzo persegue la ricerca  del suo equilibrio per mezzo della passione per la scrittura. Perché come dice la Strout ciascuno ha soltanto una storia. Scriverete la vostra unica storia in molti modi diversi. Non state mai a preoccuparvi. Tanto ne avete una sola.


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