martedì 24 maggio 2016

Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi

Una scena tratta dall'omonimo  film (1996)

Perché nel 1992 Jack Frusciante (che in realtà si chiama John) decide di abbandonare, nel bel mezzo di un tour mondiale, i Red Hot Chili Peppers proprio all'apice della popolarità?
Alex non riesce a capire le ragioni di questa scelta.
Pazzia? Anticonformismo? Coraggio?


Non ha mete, nella vita. Essere felice, forse, ma è lontanissimo anche solo dall'idea di poterlo essere. E intorno tutto va come è sempre andato, e forse andrà sempre così. Tutto è prevedibilissimo, l'ho già vissuto in cento film tutti uguali e mi sento il personaggio di un libro che non mi piace e odio l'autore che mi fa fare queste cose che detesto e non mi fanno minimamente sentire felice e....
È intorno a questo interrogativo che gravitano i pensieri e le vicissitudini del protagonista del romanzo di esordio di Enrico Brizzi, uscito nel 1992, che è diventato un cult per un'intera generazione.
Alex è una adolescente bolognese con pochi problemi e tante domande per la testa. Una vita come tante. Una facciata di normalità che nasconde tanta insofferenza.
Alex è stanco del perbenismo, dell'ipocrisia, delle apparenze. Si sente lontano anni luce dalla sua famiglia, così borghese. Si sente diverso, invischiato in un "amore platonico" con Adelaide, detta Aidi, un sentimento così totalizzante che scolora tutto il resto, come solo a diciotto anni può accadere.
Grazie al suo rapporto con Aidi, il protagonista del romanzo di Brizzi riesce a comprendere il significato della scelta di Jack, apparentemente così insensata: a volte anche le idee e i sogni più radicali possano cambiare. A volte essere fedeli a sé stessi è più importante di ogni consenso, di ogni successo. 


M forse le cose stanno addirittura peggio. Perché sono stato io a non prendermi quel che volevo. Come avessi abortito tutti i giorni, come non avessi mai permesso che quel ragazzo nascesse per paura di ritrovarmelo fra i piedi, per paura che mi sconvolgesse la mai vita. E così mi sono sempre concesso piccole felicità di polistirolo: andare ai giardini; restare a  dormire tutto il pomeriggio; guardare Videomusic invece di studiare; fare fuga; mangiare molto; farmi una sega con devozione particolare....

Jack Frusciante è uscito dal gruppo è un concentrato di atmosfere e stati d'animo, specchio dei tormenti e delle inquietudini di una generazione, quella nata negli anni '70, che è stata sì capace di ribaltare lo status quo, senza però avere la forza di aggrapparsi alle ideologie ( come invece aveva fatto quella precedente), facendo dell'l'incertezza e del relativismo la propria chiave di lettura della realtà.

Enrico Brizzi
Mi ricordo ancora quando l'ho letto la prima volta al liceo. E riprendendolo in mano ora, a distanza di tanto tempo, ho provato le stesse emozioni, quel miscuglio di paura e speranza pilastro dei miei diciassette anni, quel sentirsi contro il mondo e andarne fieri.
Le corse in bicicletta per le vie di Bologna, l'amicizia con Martino, i primi batticuore, i pomeriggi a immaginare il futuro, che poteva solo essere pieno di promesse. L'intera trama, che racconta la vita liceale di Alex tra notti brave e "fughe" a scuola, ruota proprio intorno al tema di uscire dal gruppo nel senso di uscire dagli schemi sociali.
La necessità di trovare una propria identità, di esistere, appunto, al di fuori del gruppo, che sia la famiglia, la compagnia, la società, di andare avanti in direzione ostinata e contraria come direbbe De André. Che poi essere giovani significa solo questo: essere capaci di metter in discussione ogni certezza, di vivere ogni emozione al massimo, di aprire nuove porte dove c'erano soltanto muri.

Indicazioni terapeutiche: per chi è rimasto un eterno adolescente, invischiato tra sogni e paure.


Effetti collaterali: Viene naturale perdersi nei pensieri di Alex, riflettere sulla profonda dicotomia che convive nella testa e nel cuore di molti, sul bisogno inconciliabile di raggiungere un equilibrio e quello opposto di cambiareAlla fine l'equilibrio interiore non è che da cercare. Forse ce l'abbiamo già, e più ci muoviamo o agitiamo o altro, e più ce ne allontaniamo.
Allora tutto quello che possiamo fare è accogliere questa fragilità, imparare a  convivere col fatto che non siamo come gli altri, non sentiamo come loro, e, per quanto proviamo a omologarci, non ci mischiamo, come l'olio e l'acqua che tornano sempre a dividersi.
Accettare la propria diversità fa soffrire, ma è il primo passo verso la propria auto-realizzazione.

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