giovedì 19 maggio 2016

Il matrimonio di mio fratello di Enrico Brizzi

Sono lontani i tempi di Jack Frusciante è uscito dal gruppo.
Enrico Brizzi torna con la storia di due fratelli, uno spaccato degli ultimi cinquanta anni della storia italiana, da Tangentopoli a Facebook, dalla famiglia tradizionale alla società liquida post-moderna.
Il matrimonio di mio fratello è una sorta di macchina del tempo che ci riporta al nostro ieri, così vicino eppure irrimediabilmente perduto.


Ma partiamo dall'inizio.
Teo, l'io narrante del libro, sta tornando a casa quando viene raggiunto dalla telefonata preoccupata dei genitori. Il fratello maggiore Max è scomparso con i figli.  Lungo il viaggio in autostrada che lo porterà da Bologna fino in Trentino, il protagonista ripercorre la storia della sua famiglia e l'antagonismo che ha contraddistinto il suo rapporto con il fratello maggiore Max.
Due fratelli, due visioni della vita: Teo che ha preferito un lavoro sicuro, che fatica ad impegnarsi in una relazione seria, che ha scelto di non rischiare, seguendo il solco già tracciato da altri. Uno spettatore che non si è mai messo in gioco veramente. 
Max è il suo alter ego: sempre alla ricerca di nuove sfide, si ribella alle aspettative del suoi genitori per dedicarsi alla sua grande passione, la montagna, decidendo di diventare una guida alpina.
Assennato, razionale, disincantato l'uno, puro, ambizioso ed idealista l'altro.

Perché i fratelli, queste creature che crescono nel palmo della stessa mano, possono continuare a volersi bene anche da grandi, ma viene il giorno in cui ognuno di loro è chiamato dal proprio destino, e lungo quel sentiero deve incamminarsi da solo.

Il romanzo di Enrico Brizzi non è solo una saga familiare contemporanea, ma nasconde tra le righe (in maniera abbastanza palese a dire la verità) una profonda riflessione sullo scontro tra due generazioni: da una parte, quella dei cosiddetti Baby Boomer, nati subito dopo la fine della guerra, che hanno studiato, avuto successo nel lavoro e conquistato un livello di agiatezza mai raggiunto prima. Portabandiera dell'ottimismo e della fiducia nel progresso, hanno sognato tutto quella che si poteva sognare e l'hanno ottenuto.
Dall'altra i giovani degli anni '70 che, dopo aver visto sgonfiarsi il boom economico, sono restati impantanati in lavori precari, fiaccati dalle rate del mutuo della casa e spogliati da ogni ambizione. Una moltitudine di eterni "ragazzi"costretti a vivere in un perpetuo presente.
Due generazioni vicine eppure lontanissime, due binari che sembrano destinati a non incontrarsi mai.
Eppure, in mezzo a tanta rassegnazione, un porto sicuro esiste: la famiglia, l'unico legame veramente importante, capace di salvarci, anche da noi stessi.

Non ho dimenticato tutto quel che ho visto con i miei occhi, e so già che non sarebbe facile. Neanche un po’. Nessuna famiglia d’Italia, d’ora in avanti, somiglierà a quelle che abbiamo conosciuto da ragazzi, e le coppie perfette esistono soltanto nei film in bianco e nero. Senza contare che io non vado neppure vicino all'ideale di uomo che una ragazza può avere.
Curiosamente quello che mi ha colpito di più di questo romanzo è l'idea del matrimonio, distorta a mio parere, che emerge: tomba dell'amore che riduce ogni uomo libero nell'ombra di sé stesso, un mendicante costretto ad elemosinare l'affetto dei suoi figli e un po' di dignità.
L'ho letta come una critica alle donne, o meglio ad un certo tipo di donne. Ma forse mi sbaglio.
Forse Brizzi ha voluto semplicemente raccontare la situazione di tanti padri come Max, ai quali la separazione ha portato via tutto. Di come si smarriscono, di come feriti e sbigottiti trovano la forza di rialzarsi. Di come il legame tra genitori e figli sia ancora capace di dare un senso alla nostra vita, anche quando sembra perduto.

Indicazioni terapeutiche: per chi è sempre stato geloso dei propri fratelli.

Effetti collaterali: Max ci insegna con il suo stoicismo che è possibile andare avanti, che si sopravvive alla morte delle proprie aspirazioni, che un nuovo inizio è solo dietro l'angolo.



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