martedì 8 settembre 2015

Magra da morire di Camille de Peretti


Camille è bella, intelligente, di buona famiglia. Camille è stata cresciuta come una principessa da una madre che da lei non si aspetta niente di meno che la perfezione. 
Camille è la classica  brava ragazza che vive compiacendo gli altri: vuole fare l'attrice ma rinuncia alle sue aspirazioni per frequentare una scuola di economia.
Camille vomita. Vomita i sogni a cui non riesce a rinunciare, vomita per non litigare con sua madre, vomita per non sfogare la rabbia che prova.
Camille soffre di anoressia-bulimia.
La bulimica è grassa perché mangia in modo spaventoso, mangia in fretta, sempre, senza riflettere mai: l'atto del mangiare non è stimolato dal bisogno fisico di nutrirsi, ma del desiderio puramente mentale di riempirsi.
L'anoressica è magra perché ha smesso di mangiare. E se ha smesso di mangiare è perché non ha più fame, mai più. Il suo corpo, pensa, non ha più bisogno di niente. 
La bulimica-anoressica è un essere ibrido. Né magra, né grassa, riesce così a nascondere al mondo la sua malattia. Un grido silenzioso che passa inosservato.

Vomito. In tutti i posti possibili e immaginabili. a più non posso. Dappertutto, qualsiasi cosa, in qualunque momento. Vomitavo con l'indice e il medio uncinati in fondo alla gola. Ho vomitato a Parigi e a Londra, ho vomitato a Tokyo. Ho vomitato appena sveglia, sotto il sole e sotto la pioggia. In pieno giorno. Mi alzavo nel bel mezzo della notte per vomitare. Vomitavo nei gabinetti della casa di mia madre, nei gabinetti degli appartamenti delle mie amiche, in quelli della mia scuola e in quelli delle discoteche. Poi mi sono stancata dei cessi. Allora mi sono messa a vomitare dappertutto. 
Il libro è la storia autobiografica raccontata in prima persona dalla stessa Camille de Peretti e di come ad un certo punto, la sua malattia sia diventata la sua vita e viceversa. Disturbo ossessivo compulsivo lo chiamano gli psichiatri. Passare ogni momento cosciente a pensare al cibo, ad odiarlo, a idolatrarlo. Contare le calorie, sottrarle, pesare il cibo, buttarlo, vomitarlo, in un gioco al massacro dove chi perde è solo il proprio corpo.

Anche se lo stile è scorrevole l'autrice non riesce a creare nessuna empatia con il lettore. Emerge una ragazza che "normalizza" quasi la sua malattia, non rendendosi conto probabilmente delle serie conseguenze a cui può andare incontro. Un modo affettato e snob di scrivere e di vivere che la rende antipatica anche nella sua disperazione.
Quello che ho trovato più discutibile è il messaggio che trasmette, in modo più o meno consapevole. Chi ha ideato il sottotitolo "Come sono uscita dalla bulimia-anoressia" non credo si sia dato pena di leggere il libro: non traspare infatti nessuna speranza né voglia di guarire. Quello che si evince, neanche troppo tra le righe, è una sorta di autocompiacimento. Una resa ancora più amara perché accompagnata dalla consapevolezza che da una simile assurdità non si guarisce mai.

Indicazioni terapeutiche: per chi crede che anoressia e bulimia siano malattie dell'anima.


Effetti collaterali: In tempi di body shaming, sovraesposizone mediatica e incapacità di accettarsi, i disordini alimentari non sono certo passati di moda, anzi. Viviamo in una società, quella dell'immagine, che ci giudica per ciò che sembriamo. Sta ad ognuno di noi lottare per la propria diversità, decidere di non omologarsi alla massa, scegliere di essere invece che di apparire.
Un giorno finalmente capiremo che la nostra felicità non dipende dal peso o dalla taglia o dalla bellezza dei nostri capelli. Si tratta di un percorso accidentato ma alla fine ne vale la pena: la ricompensa è la certezza di essere amati, aldilà dei nostri difetti e anzi forse proprio per quelli.


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