venerdì 25 settembre 2015

Gli sdraiati di Michele Serra

Sarò sincera, questo romanzo non ha attirato le mie simpatie. E come potrebbe? Non si può certo dire che Michele Serra abbia dato un'immagine lusinghiera delle nuove generazioni. Tutt'altro.
A questo va aggiunto che, anche se il libro è di poco più di cento pagine, lo stile discontinuo e spesso ridondante non ne fa una lettura agile. Mi è parso a tratti troppo pretensioso, quasi voglia aspirare a finalità pedagogiche, a tratti tanto banale da scadere nella noia. I soliti luoghi comuni sui giovani che non hanno voglia di fare nulla.

Chi sono gli sdraiati?
Sono gli adolescenti di oggi.
Se i loro genitori sono stati i protagonisti delle rivoluzione  giovanile del '68, impegnati nella politica, agitati dal sacro fuoco di cambiare il mondo, i loro figli sono individui abulici, persi tra le pieghe della vita, senza uno scopo apparente. Esseri fluttuanti, bradipi da divano, perennemente collegati alla rete, alienati dalla realtà, disinteressati a qualsiasi dialogo con un adulto, indifferenti ad ogni responsabilità o impegno.
Siete arrivati in un mondo che ha già esaurito ogni esperienza, digerito ogni cibo, cantato ogni canzone, letto e scritto ogni libro, combattuto ogni guerra, compiuto ogni viaggio, arredato ogni casa, inventato e poi smontato ogni idea... e pretendere, in questo mondo usato, di sentirvi esclamare “che bello!”, di vedervi proseguire entusiasti lungo strade già consumate da milioni di passi, questo no, non ce lo volete – potete, dovete – concedere. Il poco che riuscite a rubare a un mondo già saccheggiato, ve lo tenete stretto. Non ce lo dite, “questo mi piace”, per paura che sia già piaciuto anche a noi. Che vi venga rubato anche quello.
Ma è davvero tutto qui?
Di sicuro lo scrittore non si sente esente da colpe come padre e come adulto. Consapevole di aver forse sognato ogni sogno possibile, ha tirato i remi in barca e si limita ad osservare impotente una generazione senza aspirazioni né aspettative, condannata a vivere un eterno presente, da chi ha rubato loro ogni futuro possibile.
Man a mano che si procede nella lettura l'autore immagina di scrivere il grande romanzo della sua vita, La grande Guerra finale, dove descrive un'epica guerra tra una moltitudine di vecchi, più resistenti e risoluti, e i pochi sonnolenti giovani. Tra le righe mi è parso di leggere un'ammissione di colpa dello stesso autore, quasi a voler guardare oltre l'apparenza della superficialità dei giovani di oggi. Non è forse vero che nella sanguinosa battaglia finale regala la vittoria ai giovani?

Indicazioni terapeutiche: per tutti quei genitori che non capiscono i loro figli.

Effetti collaterali: Nel mio paese i vecchi usano dire "a mi' tempi qui era tutta campagna". Che c'entra, direte voi? C'entra nel senso che l'abitudine a rimpiangere il passato è una costane della storia umana. Il divario generazionale c'è sempre stato e sempre ci sarà.  Gli storici ed economisti parlano di distruzione creatrice, ovvero il cambiamento o l'innovazione che in una società libera può impattare su determinati settori così intensamente da obbligare gli individui che vi appartengono ad evolversi.
Oggi il mondo è innegabilmente diverso da 30 anni fa: un mondo dove i vecchi lavorano e i giovani riposano non non si era mai visto. Può darsi.  Il cambiamento è inevitabile. Pena l’estinzione.



martedì 22 settembre 2015

Cosa sognano i pesci rossi di Marco Venturino

Co'è la vita? Cos'è la morte? E SOPRATTUTTO esiste qualcosa che non è più vita ma non è ancora morte??
Per Pierluigi Tunesi esiste. Ex dirigente d'azienda, ridotto all'immobilità della terapia intensiva di un grosso ospedale in seguito ad un'operazione andata male. O meglio l'operazione è riuscita, il problema è che il paziente è quasi morto.
Parabola di un uomo declassato da essere umano a pesce rosso: prigioniero del suo corpo osserva la vita dal suo letto, vita alla quale non sente più di appartenere.

Dicevamo: i pensieri. Già queste, queste guizzanti anguille della coscienza che spuntano improvvise e spesso importune, innescate da stimoli eterogenei e multiformi, sono l'unico contatto con il mondo esterno - quello che mi guarda, che mi osserva e che, quando vuole, se na va di qua, verso quell'esistere fuori che non mi appartiene più - e Tunesi Pierlugi, il pesce rosso, l'osservato, il muto, l'immobile, il prigioniero del corpo relegato in questo letto che, come una vasca di un acquario troppo piccolo, è l'unico esistere che mi compete.
Dall'altro lato del vetro dell'acquario, il dott. Luca Gaboardi, responsabile del reparto di rianimazione, che osserva i pesci, i pazienti, a volte li salva, più spesso li perde. Un medico, la cui umanità si sta sfaldando giorno dopo giorno, sfibrato dalla giornaliera inutile lotta contro la Morte. Perché dopo anni che passi a combatterla la Morte ti si appiccica addosso, ti segue ovunque vai, anche fuori dall'ospedale, ricoprendo tutto di una patina di cinismo che ti lascia indifferente a qualsiasi lampo di bellezza.

Cosa sognano i pesci rossi è una profonda riflessione non solo sul difficile rapporto con la malattia e la morte, ma su ciò che sono i malati oggi, numeri in ospedali che sono sempre più aziende, vittime di medici che si sentono supereroi, ingranaggi di una macchina sempre più disumanizzata. Si intuisce leggendo il suo romanzo che Marco Venturino è un medico rianimatore, uno del mestiere, uno che ha vissuto e conosce le dinamiche degli ospedali. Uno scrittore, ma prima di tutto una persona, che ha provato a raccontare una storia da un punto di vista diverso.
Siamo di fronte ad un libro duro, che stordisce e non lascia scampo. Non aspettatevi nessun abbellimento o tantomeno l'happy end, perché questo romanzo, come la vita, non fa sconti.

Indicazioni terapeutiche: per chi si interroga sul concetto della vita e della morte, e sul labile confine che le separa. Sconsigliato agli ipersensibili e ai claustrofobici.

Effetti collaterali: La maggiore tristezza che la morte porta con sé è la certezza che, malgrado l'assenza, il dolore, il cambiamento, la vita va avanti. Tutto continua con la sua solita cadenza.
La crudele verità è che la vita andrà avanti, mentre qualcuno, che amiamo e che faceva parte della nostra quotidianità, inaspettatamente ha smesso di esistere.


venerdì 18 settembre 2015

Scrivimi ancora di Cecelia Ahern

Rosie e Alex sono amici da sempre. Cresciuti insieme il destino li dividerà ma, anche se separati da migliaia di chilometri, il loro rapporto resterà l'unico punto fermo della loro vita.
Perché esistono poche persone nel mondo, per alcuni una sola, per altre nemmeno quella, che sono come un faro nella tempesta, un porto sicuro al quale ritornare. Persone che ci conoscono nel profondo, che desiderano per noi solo il meglio. Questo è Rosie per Alex. Questo è Alex per Rosie.
Un'amicizia che ha in sé la gemma dell'amore, anche se impiegheranno anni per capirlo.
Non era un'amicizia come le altre. Eravamo inseparabili, ma costantemente separati. Ho capito che non importa dove sei, o con chi sei. Resterai, profondamente, sinceramente, nel mio cuore.
L'intero romanzo ( che in verità mi ha ricordato un po' Un giorno di David Nicholls) racconta la vita di Rosie e Alex e di come il destino sembra divertirsi a mettere loro i bastoni fra le ruote. L'originalità di Scrivimi ancora è il fatto di essere raccontato in chiave "epistolare" attraverso le lettere, le mail,  i bigliettini che si scambiano non solo i due protagonisti, ma tutti i personaggi che gravitano intorno a loro. Messaggi testimonianza di anni passati a rincorrersi, a perdersi, a ritrovarsi.
Scappare non è un modo per risolvere le cose. Puoi sfuggire più veloce e lontano che puoi, ma la verità è che, dovunque tu vada, resti sempre dove sei.
Ma non è solo una storia d'amore: la scrittrice Cecelia Ahern ci racconta la vita di Rosie, gli sbagli, i treni mai presi, la voglia di rialzarsi dopo ogni caduta. Non si è mai arresa e, attraverso le sue vicende, l'autrice ci insegna che non importa quanto la tua vita può andare in pezzi, ciò che conta è la capacità. ogni volta, di ricominciare, per costruire un nuovo cammino. Rosie è l'emblema di ciò che tutti noi dovremmo sempre tenere a mente: non è mai troppo tardi per essere ciò che saresti potuto essere.


Indicazioni terapeutiche: per tutti quelli che credono nel destino e nell'anima gemella.

Effetti collaterali: Non posso nascondere che questo libro mi ha lasciato uno strano retrogusto, una sorta di velo malinconico appiccicato alla pelle. Ma come, hai la fortuna di incontrare a sette anni l'uomo della tua vita e te lo lasci scappare? Che senso hanno avuto tutti quegli anni passati ad accontentarsi di altro?
Nemmeno l'happy end mi consola dal fatto che certe scelte si pagano care: il tempo sprecato non torna più indietro.


martedì 8 settembre 2015

Magra da morire di Camille de Peretti


Camille è bella, intelligente, di buona famiglia. Camille è stata cresciuta come una principessa da una madre che da lei non si aspetta niente di meno che la perfezione. 
Camille è la classica  brava ragazza che vive compiacendo gli altri: vuole fare l'attrice ma rinuncia alle sue aspirazioni per frequentare una scuola di economia.
Camille vomita. Vomita i sogni a cui non riesce a rinunciare, vomita per non litigare con sua madre, vomita per non sfogare la rabbia che prova.
Camille soffre di anoressia-bulimia.
La bulimica è grassa perché mangia in modo spaventoso, mangia in fretta, sempre, senza riflettere mai: l'atto del mangiare non è stimolato dal bisogno fisico di nutrirsi, ma del desiderio puramente mentale di riempirsi.
L'anoressica è magra perché ha smesso di mangiare. E se ha smesso di mangiare è perché non ha più fame, mai più. Il suo corpo, pensa, non ha più bisogno di niente. 
La bulimica-anoressica è un essere ibrido. Né magra, né grassa, riesce così a nascondere al mondo la sua malattia. Un grido silenzioso che passa inosservato.

Vomito. In tutti i posti possibili e immaginabili. a più non posso. Dappertutto, qualsiasi cosa, in qualunque momento. Vomitavo con l'indice e il medio uncinati in fondo alla gola. Ho vomitato a Parigi e a Londra, ho vomitato a Tokyo. Ho vomitato appena sveglia, sotto il sole e sotto la pioggia. In pieno giorno. Mi alzavo nel bel mezzo della notte per vomitare. Vomitavo nei gabinetti della casa di mia madre, nei gabinetti degli appartamenti delle mie amiche, in quelli della mia scuola e in quelli delle discoteche. Poi mi sono stancata dei cessi. Allora mi sono messa a vomitare dappertutto. 
Il libro è la storia autobiografica raccontata in prima persona dalla stessa Camille de Peretti e di come ad un certo punto, la sua malattia sia diventata la sua vita e viceversa. Disturbo ossessivo compulsivo lo chiamano gli psichiatri. Passare ogni momento cosciente a pensare al cibo, ad odiarlo, a idolatrarlo. Contare le calorie, sottrarle, pesare il cibo, buttarlo, vomitarlo, in un gioco al massacro dove chi perde è solo il proprio corpo.

Anche se lo stile è scorrevole l'autrice non riesce a creare nessuna empatia con il lettore. Emerge una ragazza che "normalizza" quasi la sua malattia, non rendendosi conto probabilmente delle serie conseguenze a cui può andare incontro. Un modo affettato e snob di scrivere e di vivere che la rende antipatica anche nella sua disperazione.
Quello che ho trovato più discutibile è il messaggio che trasmette, in modo più o meno consapevole. Chi ha ideato il sottotitolo "Come sono uscita dalla bulimia-anoressia" non credo si sia dato pena di leggere il libro: non traspare infatti nessuna speranza né voglia di guarire. Quello che si evince, neanche troppo tra le righe, è una sorta di autocompiacimento. Una resa ancora più amara perché accompagnata dalla consapevolezza che da una simile assurdità non si guarisce mai.

Indicazioni terapeutiche: per chi crede che anoressia e bulimia siano malattie dell'anima.


Effetti collaterali: In tempi di body shaming, sovraesposizone mediatica e incapacità di accettarsi, i disordini alimentari non sono certo passati di moda, anzi. Viviamo in una società, quella dell'immagine, che ci giudica per ciò che sembriamo. Sta ad ognuno di noi lottare per la propria diversità, decidere di non omologarsi alla massa, scegliere di essere invece che di apparire.
Un giorno finalmente capiremo che la nostra felicità non dipende dal peso o dalla taglia o dalla bellezza dei nostri capelli. Si tratta di un percorso accidentato ma alla fine ne vale la pena: la ricompensa è la certezza di essere amati, aldilà dei nostri difetti e anzi forse proprio per quelli.


mercoledì 2 settembre 2015

Le ali della vita di Vanessa Diffenbaugh

Dopo il successo de Il linguaggio segreto dei fiori , Vanessa Diffenbaugh torna con un nuovo libro che prova a raccontarci come amare sia, allo stesso tempo, la cosa più difficile e più facile dl mondo. Questa volta ci parla dell'amore di una madre per i suoi figli, dell'incapacità di arrendersi, della difficoltà di crescere. Ci racconta del desiderio di riscattarsi, perché non è mia troppo tardi per ritrovare le proprie ali. 
Letty è stata una madre giovanissima e inadeguata che ha lasciato che fossero i suoi genitori a crescere i suoi due figli, Alex e Luna. Quando la lasciano per tornare in  Messico cade nella disperazione più profonda: come farà ad andare avanti? Dopo aver passato tutta la vita a sfuggire alle responsabilità, riuscirà a riprendersi il suo ruolo di madre?
Sbaglio dopo sbaglio imparerà a conoscere realmente i suoi figli, Alex con la passione per la matematica, la scienza e gli uccelli, Luna dolce e confusionaria. E grazie a loro riuscirà a rimettere insieme i cocci della sua vita e a perdonarsi per non essere stata all'altezza delle altrui aspettative. Non esiste, infatti, fallimento più insopportabile di quello di deludere chi credeva in te.
Letty amava i suoi bambini. Era lì, sotto la paura, sotto il distacco: un amore soffuso di soggezione, così luminoso che faceva male a guardarlo.
Un romanzo intenso che ci insegna cosa significhi essere una famiglia: non esistono famiglie di seria A o di serie B ma persone che scelgono di stare insieme, di condividere una vita in comune, affrontando le difficoltà giorno per giorno. È la storia di Alex e Letty che imparano, giorno dopo giorno, come essere madre e figlio, di come l'amore può curarci permettendoci di spiccare il volo.

Indicazioni terapeutiche: per chi crede che essere madre sia un'avventura eccitante e spaventosa.

Effetti collaterali: Gli uccelli migratori si riorientano al tramonto. La ragione esatta è sconosciuta, ma al crepuscolo, quando il sole scende dietro la linea dell'orizzonte, gli uccelli che stanno volando nella direzione sbagliata correggono la loro rotta all'improvviso.
Anche l'amore fa questo. Come una bussola dell'anima, può farci ritrovare la rotta per tornare a casa, laddove si trova il nostro cuore.