venerdì 24 aprile 2015

Giornata Mondiale del libro: perché non leggiamo?


Ieri 23 aprile era la Giornata mondiale del libro e del diritto d'autore, prima di una serie di iniziative, Il Maggio dei Libri, la campagna nazionale promossa dal Centro per il Libro e la Lettura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, sotto l'Alto Patronato della Presidenza della Repubblica e in collaborazione con l'Associazione Italiana Editori.
Maggio è il mese della primavera: sbocciano i fiori, la natura si risveglia, il mondo torna a tingersi di colori sgargianti. I promotori vorrebbero che questo mese sbocciassero anche i libri: maggio quindi come metafora della riscoperta del piacere della lettura. Leggere è capire, emozionarsi, scoprire, sognare. Leggere è vita.
L'obiettivo di questa campagna è rimarcare la funzione sociale della lettura come elemento chiave della crescita personale, culturale e civile. E per riuscirci è necessario portare i libri tra le gente, farli conoscere, farli amare, sottolineando il loro valore emotivo e affettivo. Grazie a Il Maggio dei Libri nasceranno in ogni parte d'Italia migliaia eventi: dalle presentazioni agli aperitivi letterari, dai dibattiti alle iniziative  iniziative nelle scuole, nei parchi, in piazza o in biblioteca.
Per la Giornata mondiale del libro in Italia è stata lanciata la campagna #ioleggoperché, iniziativa voluta dall'Associazione italiana editori con l'obiettivo di stimolare coloro che non leggono. Ovvero quasi la metà degli italiani. I dati sono sconfortanti: secondo una una ricerca elaborata dall'Istat e dall'istituto di ricerca Nielsen solo il 43% degli italiani ha letto almeno un libro, in calo rispetto al 2011 quando i lettori erano il 49%. I "lettori forti", vale a dire le persone che leggono in media almeno un libro al mese, restano stabili nel tempo, costituendoo il 14,3% del totale.

Ma perché In Italia si legge così poco?
Per mancanza di tempo?  Sembra una causa poco probabile se si ci sofferma su quante ore gli italiani, giovani e meno giovani, trascorrono sui social network o guardando la televisione. Sbaglia però chi mette sul banco di accusa le nuove tecnologie: anche se i contenuti degli new media sono, in una certa misura e da un certo punto di vista, in competizione per la nostra attenzione, il nostro tempo e il nostro portafoglio, producono un effetto virale che contribuisce a diffondere la conoscenza e l'informazione. Basti pensare al fenomeno degli e-book, che, nel 2012 hanno registrato, in controtendenza, un aumento del 17%.
Per colpa della crisi? Anche in questo caso, la minore disponibilità di risorse finanziarie da sola non basta a giustificare la diminuzione dei lettori. 
Basso livello culturale, mancanza di politiche scolastiche che educhino alla lettura, scarsa incentivazione all'acquisto e nessun tipo di promozione da parte dei media. Per gli editori sono questi i fattori che ostacolano la lettura.
Anche a voler guardare il bicchiere mezzo pieno, il quadro che ne emerge è sconfortante, per usare un eufemismo. La verità è che, da anni, in Itali assistiamo ad una lenta ma inesorabile campagna denigratoria che ha come vittima sacrificale la cultura. Sapere non è importante. L'unica cosa che conta è chi conosci e a quali compromessi sei disposto pur di avere successo. 
Un paese dove al desertificazione delle librerie va di pari passo con quella valoriale. 
Il primo passo per invertire questa tendenza sta nel ripartire da un'educazione civica che consideri il libro come uno strumento necessario per la crescita personale di ogni individuo ma soprattutto per la costruzione della società civile.  Una società composta da uomini liberi e pensanti, capaci di compiere le proprie scelte in piena consapevolezza. Come diceva Gianni Rodari: "Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo". Leggere aiuta a costruire la propria personalità, a razionalizzare, a diventare delle persone migliori.
Ma leggere è prima di tutto un piacere, il problema è che nessuno ce lo insegna più. 



Neri Marcoré - Io leggo perché 23/04/2015

mercoledì 22 aprile 2015

Giornata della Terra: verso uno sviluppo sostenibile?


Un proverbio dei Nativi Americani recita: "La terra non ci è stata regalata dai nostri padri, ci è stata data in prestito dai nostri figli."
Cosa significa? Significa che il dovere di ogni essere umano è quello di preservare il pianeta in cui viviamo, prima che sia troppo tardi, prima che non rimanga più niente da tutelare. Per questo oggi si parla sempre più spesso di sviluppo sostenibile, cioè quello sviluppo che risponde alle esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie.
Il filosofo france Serge Latouche ha coniato il termine decrescita felice, con cui si fa riferimento ad un modello economico basato sulla riduzione controllata, selettiva e volontaria della produzione e dei consumi, con l'obiettivo di stabilire delle relazioni di equilibrio ecologico fra l'uomo e la natura. Il tutto senza perdere di vista l'uguaglianza tra gli esseri umani.
Siamo dunque di fronte al fallimento del capitalismo?
Per alcuni la decrescita non implica la rinuncia allo scambio dei beni e delle merci, ma una loro riduzione a favore di una maggiore qualità della vita diffusa e di un benessere ecologico a tutela della vita sulla Terra. Di certo, dagli studi sul rapporto tra economia e felicità, è ormai emerso che non c'è nessuna relazione univoca tra benessere e ricchezza: quando si è poveri l’aumento di beni si traduce subito e facilmente in aumento di benessere, ma superata una certa soglia di ricchezza, quella che consente di soddisfare i bisogni ordinari della vita, l’aumento di reddito non si traduce più in felicità. L’economia capitalistica, quindi, sembra essere arrivata a un punto di saturazione, non tanto in termini del PIL quanto piuttosto in aumento di felicità. La conclusione è che, da qualche decennio, il benessere delle persone nei Paesi capitalisti non cresce più.
Senza tenere in considerazione che una volta terminate le risorse rinnovabili, i nostri discendenti dovranno fare i conti con un nuovo deficit, difficilmente recuperabile, quello ecologico. È necessario che ogni individuo si renda conto che il processo di autodistruzione del pianeta può essere invertito soltanto riducendo i consumi e la produttività, limitando l'inquinamento e gli sprechi e lasciando che il pianeta rigeneri piante, atmosfera e modi di vivere. 
Sull'onda di questa nuova sensibilità e consapevolezza oggi 22 aprile si festeggia la Giornata della Terra, voluta dall’Onu per sensibilizzare tutti alla difesa del Pianeta e di tutte le forme di vita che lo popolano.



Un appuntamento per ricordare e, soprattutto, per ricordarci che il pianeta è uno solo, ma anche un modo per sentirci più vicini, gli uni fratelli degli altri. Una vera e propria chiamata all'azione che si propone di mobilitare milioni di persone, ipotizzando almeno 2 miliardi di azioni verdi.
Nello specifico, nell'anno dell'Expo l'Earth day viene declinato nell'ottica del tema della sostenibilità alimentare. Al Circo Massimo di Roma è stata organizzata una giornata in cui agire per il diritto al cibo e alla sana alimentazione, all’interno della campagna “Una sola famiglia umana, cibo per tutti: è compito nostro". Questa campagna nasce dall’appello lanciato da Papa Francesco a tutta l’umanità a mobilitarsi per rimuovere tutte quelle cause che rendono la fame e la disuguaglianza dell’accesso al cibo, una deriva incontrollabile che va bloccata quanto prima.
Un'altra iniziativa che riscuoterà grande successo è quella lanciata dalla Nasa, che per oggi 22 aprile lancia l'hashtag  #NoPlaceLikeHome, invitando tutti a condividere sui social foto e video che rappresentino la straordinaria specificità e unicità di ogni luogo terrestre. Del resto nessuno posto è come casa. Senza dimenticare che la Nasa stessa ci ricorda che, malgrado le scoperte legate alla scoperta dello spazio, non è stato ancora scoperta nulla che eguagli la straordinarietà dell'ecosistema della Terra.
Cambiare non è solo possibile ma necessario. 
Quindi non importa dove abitiate, cosa facciate, come viviate, il momento per agire è ora.


martedì 21 aprile 2015

Raccontami di un giorno perfetto di Jennifer Niven


Secondo voi esiste un giorno prefetto? 
Un giorno perfetto, dall'inizio alla fine. Un giorno in cui non succede niente di tragico, o di triste o di ordinario.
Questa è la domanda che tormenta Theodore Finch.
Theodore Finch non è un adolescente come gli altri. Non c'è niente di ordinario in lui. È esagerato, sopra le righe, violento, confuso, ispirato, solo, romantico, ossessionato. Disturbo della personalità borderline, lo chiamano. 
Una mattina decide di salire sulla torre campanaria della sua scuola per buttarsi.  Per lasciarsi tutto alle spalle, per smettere di sentire, per non essere più solo.
Invece lassù incontra Violet, Violet Markey. Ex cheerleader, ex blogger, ex fidanzata del ragazzo più ambito della scuola. Violet era un sacco di cose prima che sua sorella Eleanor morisse in un incidente stradale. Ora è solo un guscio vuoto: non scrive più, non vive più. Si limita a sopravvivere, a restarsene rannicchiata in un angolo sperando che il dolore passi, che vivere diventi giorno dopo giorno meno faticoso.
Theodore e Violet. All'apparenza così diversi, ma sotto la pelle così simili. Lo stesso amore per le citazioni, per la letteratura, per la scrittura, la stessa sensibilità.
Il libro di Jennifer Niven parla di loro: del loro amore, della loro voglia di esplorare il mondo, di trovare l'incanto dove gli altri vedono l'ordinario, di separare le parole belle da quelle brutte, di dare un senso anche alle tragedie, di capire cosa sono destinati a diventare.
Ma questo romanzo parla anche di altro. Parla di disordini mentali, di solitudine, di suicidio. Di etichette. Di come purtroppo ancora oggi chi si trova a affrontare questi problemi sia soggetto a una forte stigmatizzazione. Di come non ci sia nessuna comprensione.per chi soffre di depressione o di un qualsiasi altro disturbo della mentalità. Di come si pianga qualcuno che è morto in un incidente ma non ci sia nessuna pietas per chi si toglie la vita.
Forse non è vero che non esiste nessuno che non può essere aiutato, forse esistono persone che sono e saranno sempre dei sopravvissuti, che camminano staccate da terra, ancorate al mondo dei sogni.
La verità è che chiedere aiuto è la cosa più difficile che ci sia. A nessuno piace sentirsi debole. Ma questo libro, tra le righe, ci dice proprio questo: se avete la sensazione che qualcosa non vada, non abbiate paura, chiedete aiuto. Fatelo. 





Indicazioni terapeutiche: per chi si sente diverso, per chi non ha ancora trovato il suo centro di gravità permanente, per chi non butta via il proprio tempo ma parte alla ricerca della montagna, sicuro che sia là ad aspettarlo.

Effetti collaterali: All the bright places. Questo è il titolo originale del libro. Viaggiare verso luoghi luminosi.
Trovare un posto, uno qualsiasi, dove non ci siano etichette né ghettizzazioni, dove essere quello che si è, dove tutti i colori si fondono in un abbacinante bianco, un luogo dove sentirsi tutti d'oro e fluttuanti, fino ad essere talmente sé stessi da perdersi in un buco nero e non tornare più indietro.


venerdì 17 aprile 2015

Mare d'inverno di Grazia Verasani


Tre amiche e una casa al mare. Fuori è inverno, il resto delle persone sembra essersi ritratto dalla vita, come se fosse possibile chiudere fuori il mondo, dimenticare l'amore, il dolore, la vita.
Vera, Agnese e Carmen come i tre moschettieri.Amiche da sempre, unite da quel legame unico fatto di spietata sincerità e segreti inconfessabili condivisi. Quando ci si conosce a memoria, in francese par coeur, quando ci si conosce fino al punto che i pensieri dell'altro diventano i nostri, come con una poesia, come se un po' di quel ritmo ci appartenesse.
Agnese è un'insegnante, delusa dal suo lavoro, impantanata in un matrimonio, che serba ormai un lontano ricordo della fiamma della passione di un tempo. Vera è una cinica giornalista di successo, che sembra aver perso ogni speranza nell'amore. Carmen è un'attrice e doppiatrice, bulimica di cibo e di attenzioni, sempre pronta a gettarsi a capofitto in una nuova storia, terrorizzata dalla solitudine.
Quando Carmen, abbandonata dal suo ennesimo compagno, chiede il loro aiuto, Vera e Agnese si precipitano da lei. 
Si ritroveranno in una desolata cittadina romagnola a riflettere su disillusioni e fallimenti sentimentali, ognuna con il suo carico di delusioni, speranze, convinzioni, che si mescolano e  si ridefiniscono. Tre donne, alla soglie dei cinquant'anni, costrette a fare i conti con le proprie scelte e le proprie convinzioni.
Grazia Verasani ci regala una romanzo breve, essenziale anche nello stile, dove confidenze e paure femminili si fondono, una storia sull'amicizia femminile, che sa essere spietata, ma che può essere anche la più grande ancora di salvezza a cui una donna può aggrapparsi.

Indicazioni terapeutiche: per chi crede nell'amicizia , per chi ha passato (e  passa ancora) pomeriggi interi a sfogarsi con le amiche, consapevole che non forse cambierà nulla, ma che una buona amica è l'antidoto migliore per ogni delusione.

Effetti collaterali: come sostiene Dacia Maraini un rapporto d'amicizia è sempre un rapporto d'amore. Un amore forse più forte di quello romantico perché libero dalla catene delle passioni, un amore che non è schiavo né del tempo né dello spazio, che consola dove gli altri hanno ferito, che riscalda quando tutto intorno è un gelido inverno.


giovedì 16 aprile 2015

Presentazione "La Linea Gotica. La Versilia e l'Apuania nella bufera. Ricordi e testimonianze"

Sabato 11 aprile presso la Sala conferenze della Croce Bianca di Querceta è stata presentato il libro “La Linea Gotica. La Versilia e l'Apuania nella bufera. Ricordi e testimonianze”, un volume voluto fortemente dal Circolo culturale Sirio Giannini, che nasce dalla volontà di testimoniare, attraverso le esperienze dirette coloro che l'hanno vissuto quel particolare periodo storico.
Alla presentazione hanno partecipato Ettore Neri, sindaco di Seravezza, Giuseppe Tartarini  presidente del circolo, Laerte Neri, scrittore e  autore teatrale e la sottoscritta, oltre ai curatori dell'opera Paolo Capovani Giorgio Salvatori. 
Quello che io e Laerte abbiamo cercato di fare, spero riuscendoci, è rileggere il libro in chiave attuale, sottolineando la sua contemporaneità. Come ha sottolineato Laerte, il passato è interessante quando ci parla, quando tocca delle corde del nostro essere, quando parla a noi, ma soprattutto di noi.
Queste testimonianze lo fanno. Un miscuglio di sentimenti annodati come una matassa che è difficile da sbrogliare: paura, speranza, morte, nascita, amore.
Il libro è venuto alla luce dopo quasi tre anni di ricerche condotte da un gruppo di lavoro del Circolo culturale Sirio Giannini composto da Paolo Capovani, Giorgio Salvatori, Mara Salini e Carlo Torlai. Ma questo lavoro ha coinvolto anche molte persone, sia per quanto concerne al ricerca del territorio, sia per la fase di editing.
I curatori si sono impegnati a ricercare testimonianze su quello che ha significato il periodo tra l' 8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945. Un periodo storico che è una parentesi buia, complicata, della storia del nostro Paese. Le zone della Versilia, così come i territori limitrofi di Montignoso, sono stati teatro di scontri, uccisioni, stragi ma anche della lotta di liberazione da parte dei partigiani e dalla voglia di ricominciare, sentimenti che hanno gettato i semi per la democrazia che è venuta dopo, nella quale oggi noi viviamo.
È nata così l'idea di redigere non tanto un saggio storico ma una raccolta di testimonianze, che altrimenti sarebbero rimaste solo racconti orali e sarebbero andate perdute.
Quando ho iniziato a leggere il libro sono stata immediatamente colpita dalla forza dei racconti, dal loro modo di essere al tempo stesso particolari e universali.
La vita di ogni persona è ordinaria e al tempo stessa mitica. Si vive, si muore. E nel mezzo accadono tante cose: ci innamoriamo, abbiamo figli, invecchiamo. Ogni giorno compiano decine di azioni, alcune probabilmente ci sembrano insignificanti. Ci svegliamo, facciamo la spesa, cuciniamo, andiamo a lavoro. Noi siamo importanti e anche le nostre vite lo sono, e vale la pena registrarne ogni dettaglio. Perché i dettagli sono importanti. Ecco cosa serve scrivere certe storie, affinché ci ricordino come abbiamo vissuto, come il mondo è passato davanti a noi. Proprio quello che hanno fatto i curatori di questo libro, e tutti coloro che hanno collaborato alla sua realizzazione: hanno fissato tutti i dettagli di tante vite, vite che hanno fatto la storia.

Giuseppe tartarini e la sottoscritta, Eisa Bandelloni, durante il mio intervento

E allora abbiamo di un bambino che inforca la bicicletta per cercare i genitori in una Marzocchino bombardata. Un ragazzo che lascia la sua casa a Stazzema con sua madre e sua sorella più piccola per rifugiarsi a Tonfano. La storia di una giovane che viene avvertita e probabilmente salvata, da un tedesco. Quella di Giancarlo che pascola la sua mucca, Colombina, e diventa una guida degli americani. Piccole storie di singole persone che non si sono accorte che stavano vivendo la Storia, quella con la "s" maiuscola, quella che si studia sui libri a scuola.
Questo libro, che raccoglie tante voci diverse, vuole essere più di una semplice testimonianza, aspira ad essere un ponte tra generazioni. Viviamo in un mondo che si è evoluto più negli ultimi 100 anni che nei mille anni anni precedenti. Un mondo più facile forse, più veloce. Un mondo lontanissimo da quello dei nostri nonni o padri. E proprio perché viviamo in un mondo che sembra lontanissimo da quello narrato in queste pagine, un mondo dominato dalla prosperità e dalle nuove tecnologie, dove nessuno di quelli nati dopo la fine del seconda guerra mondiale, sa cosa significhi patire la fame, vivere sotto i bombardamenti, lasciare la propria casa i propri averi per “sfollare” sulle montagne. Proprio perché sembrano storie di un mondo che non esiste più, la voglia di raccontare e ricordare non deve venir meno. Mi vien in mente la canzone di Guccini “Il vecchio e il bambino”.

I vecchi subiscono le ingiurie degli anni
non sanno distinguere il vero dai sogni
i vecchi non sanno, nel loro pensiero,
distinguer nei sogni il falso dal vero. 

Racconta la storia di un anziano che passeggia con un bambino e gli parla di com'era la vita quando era giovane. Parla di un passato che non ritornerà mia più. L'analogia è evidente: il vecchio e il bambino rappresentano, ciascuno con la propria identità e le proprie aspirazioni, il cammino stesso dell'uomo. Incerto, fragile, ma pieno di speranza quello del bambino, cadenzato, stanco, denso di nostalgia e di rassegnazione quello del vecchio. Il vecchio, prendendo per mano il bambino, lo conduce in un viaggio nel quale racconta se stesso e la sua visione del mondo, rendendolo così partecipe dell suo vissuto e delle speranze, di quello che è stato per lui ma anche di quello che potrebbe essere  per l'altro.

Un carro armato americano entra a Querceta per l'assalto alla Linea gotica
Questo è stato l'intento per cui è nato questo volume: far sì che le esperienze vissute dai nostri nonni, babbi, mamme, amici, non muoiano con loro ma sopravvivano nella memoria di chi resta. Che non si dimentichi che la nostra democrazia è nata dal sacrificio di tante persone. Che valori come la libertà, la pace, l'indipendenza non ci sono stati regalati. Che tutto ciò siamo non è altro che la somma delle azioni di chi è venuto prima di noi. Isaac Newton, scienziato e fisico vissuto tra il XVII e XVIII secolo, disse: “Se ho visto più lontano è perché stavo sulle spalle di giganti.
Grazie a questo libro, pagina dopo pagina, ci immergiamo e immedesimiamo nella paura, nello sconforto,ma anche nel coraggio, nella voglia di lottare di quei giorni, ricordi che possono e devono diventare nuova linfa per combattere le battaglie di oggi, che anche se diverse forse non sono meno dure.

mercoledì 8 aprile 2015

I 49 racconti di Ernest Hemingway

Ho letto Hemingway da adolescente. Ho deciso di riprendere in mano le sue opere ora per provare a capire dove stia la sua grandezza.
Quando scrivi, o ci provi, capisci quanto è difficile non essere banale, racconatre di sé e del mondo senza cadere in stereotipi abusati o ricorrere a virtuosismi inutile.
Hemingway ci riesce:descrive in maniera semplice il più difficile dei personaggi, evoca con poche parole paesaggi straordinari.
Hemingway non seduce , racconta.
E lo fa, non solo nei suoi romanzi più noti, ma anche in questa raccolta I 49 racconti. In Italia il racconto è da sempre considerato il fratello minore del romanzo. Quello sfigato che nessuno considera. Come se scrivere un racconto fosse un'arte più facile, più abbordabile, e per questo degna di meno considerazione.
Ci ha pensato Hernest Hemingway a sfatare questo luogo comune. Lo scrittore americano ci regala, infatti, quarantanove delizie, piccole pillole di vita che spaziano dall'amore alla guerra, dall'Africa alla Spagna, dalla caccia alle corride.
Si dice che un buon scrittore per essere tale debba aver vissuto molto o possedere una grande immaginazione. Per Hemingway vale la prima. I suoi libri, seppur non raccontino storie vere, richiamavano molte episodi della sua straordinaria vita: la prima guerra mondiale, gli anni giovanili passati a Parigi, la rivoluzione in Spagna, le corride, i safari in Africa, Cuba. La sua stessa vita sembra uno dei suoi libri, realtà e finzione che si mescolano.
Pagina dopo pagina, emerge sempre più chiaramente perché Hemingway sia stato un vero innovatore dell'intera narrativa del '900.  È la sua cifra stilistica che ha fatto di questi racconti, e di tutte i suoi libri più in generale, delle pietre miliari non solo per i lettori di tutto il mondo, ma per chiunque aspiri ad avvicinarsi alla scrittura.
Il tono è asciutto, senza fronzoli, privo di inutili sovrastrutture. Semplicità e ritmo, queste sono le armi segrete di Hemingway. Tutti i suoi scritti sono caratterizzati da brevi descrizioni, alternanza di sequenze narrative e dialoghi, fugaci riflessioni sul senso della vita.
Il lettore è letteralmente catapultato all'interno delle storie, quasi potesse entrare in scena per toccare con mano viva i personaggi e dialogare con loro. Siamo stati con Macomber a caccia nella savana, abbiamo ripercorso la vita di Harry che aspetta il soffio della morte all'ombra di un albero di mimosa, ci siamo innamorati di Luz e poi siamo stati lasciata da lei, abbiamo sognato di essere per un giorno toreri come Paco. E ogni volta abbiamo avuto la sensazione che il racconto fosse finito troppo presto. Perché, come diceva Leonardo da Vinci, la semplicità è la vera perfezione: l'assenza di elementi ridondanti libera la scrittura dalla retorica inutile, sprigionando così tutta la sua potenza espressiva.

Hemingway aveva una passione sfrenata per la pesca e la caccia

Indicazioni terapeutiche: per chi sogna di vivere avventure straordinarie, per chi vuole rivivere la storia del '900 da protagonista.

Effetti collaterali: Hemingway è celebre per il suo stile asciutto ma anche per la sua capacità di saper nascondere, nella sua semplice prosa, grandi verità e riflessioni su ciò che significhi vivere, desiderare, morire. Forse il senso della nostra vita non sta nelle stelle, ma nelle piccole cose, nella polvere che si posa sui nostri oggetti, nelle parole che diciamo, nelle orme che lasciamo dietro di noi.