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giovedì 19 dicembre 2019

La vita bugiarda degli adulti di Elena Ferrante


Dopo aver divorato la saga de L'amica geniale, come tanti lettori, aspettavo con ansia l'uscita del nuovo libro di Elena Ferrante. La vita bugiarda degli adulti non ha deluso le mie aspettative, anzi, devo ammettere che è l'unico romanzo che sono riuscita a finire negli ultimi mesi.
Giovanna è la figlia adorata di una coppia borghese della Napoli bene. I suoi genitori, entrambi professori, sono persone colte che l'hanno cresciuta nel mito della cultura e delle buone maniere. Ma l'immagine della famiglia perfetta è destinata ad andare in mille pezzi: Giovanna si renderà conto presto che il mondo degli adulti è una realtà fondata sulle bugie e sulle apparenze.



Io invece sono scivolata e continuo a scivolare anche adesso , dentro queste righe che vogliono darmi una storia  mentre in effetti non sono niente, niente di mio, niente che sia davvero cominciato o che sia davvero arrivato a compimento: solo un garbuglio che nessuno, nemmeno chi in questo momento sta scrivendo, sa se contiene il filo giusto di un racconto o è soltanto un dolore arruffato, senza redenzione.

L'episodio, destinato a porre fine alla spensierata infanzia della protagonista, è apparentemente insignificante: ascolta infatti inavvertitamente una conversazione tra i suoi genitori, durante la quale il padre ammette che la figlia sta diventando brutta come sua sorella Vittoria. Vittoria altri non è che la zia rinnegata, la parte "marcia" della famiglia, da cui i genitori di Giovanna hanno preso le distanze, metaforicamente e non. Vittoria abita infatti nella parte bassa di Napoli, quella popolare, quella povera, quella ignorante. La ragazza spinta da una morbosa curiosità andrà a conoscere la zia, iniziando un pellegrinaggio tra Napoli alta e bassa, tra forma e sostanza, tra menzogne e verità.
La presa di coscienza di non essere più bella agli occhi della sua stessa famiglia ha infatti spalancato una crepa nella personalità di Giovanna. Come nel celebre romanzo pirandelliano, Uno, nessuno e centomila, la scoperta dello scollamento tra l'immagine che Giovanna ha di sé e quella percepita dagli altri apre ad una voragine di ragionamenti, spingendo la giovane verso sentimenti quali lo smarrimento e di turbamento. Di certo, le tematiche relative alla frantumazione dell'io sono funzionali alla storia di formazione della protagonista: Giovanna è una ragazza che dovrà imparare a  sue spese che crescere è un percorso non scevro di dolori e delusioni e che soprattutto comporta inevitabilmente l'affrancamento da parte della cieca accettazione genitoriale. 

Il tempo della mia adolescenza è lento, fatto di grandi blocchi grigi e improvvise gibbosità di colore verde o rosso o viola. i blocchi non hanno ore, giorni , mesi, anno, e le stagioni sono incerte, fa caldo e freddo, piove e c'è il sole. Anche le protuberanze  non hanno un tempo sicuro, il colore conta più di ogni datazione. la tinta stessa, del resto, che prendono certe emozioni è di durata irrilevante, chi sta scrivendo lo sa.

Contraddicendomi in parte con quello che ho scritto in apertura, devo ammettere che, sebbene ben costruito e scritto in maniera piacevole, ho trovato più interessante la prima parte, mentre da metà in poi il libro perde di mordente, diventando un po' troppo adolescenziale. Ciononostante ho trovato questo romanzo pieno di spunti e riflessioni: la lunga strada verso la vita adulta non può che passare per l"uccisione freudiana " di quei perfetti genitori, che poi così tanto perfetti non sono in realtà. 

Indicazioni terapeutiche: per chi non ha perdonato i propri genitori.

Effetti collaterali: L'età adolescenziale è quella più dura: il periodo dei sentimenti assoluti, delle scelte da cui non si può tornare indietro, dell'odio per sé stessi. Si impara a proprie spese che la verità è merce rara e che basta una parola per spazzare via anni di certezze. Crescere è una vera e propria lotta per la sopravvivenza: bisogna dimenticare ciò che si è stati, perdonando sé stessi e la propria famiglia, per fare spazio al nuovo sé adulto.


mercoledì 23 ottobre 2019

Joyland di Stephen King




Estate 1973, Heaven's Bay, Carolina del Nord. Devin Jones è uno studente universitario senza molti soldi che trova un impiego estivo in un luna park, Joyland. Appena arrivato farà la conoscenza degli strani personaggi che abitano quello che, a tutti gli effetti, appare un mondo a parte, quello dei giostrai. Un universo popolato da veggenti in grado di predire il futuro come la stravagante Madame Fortuna e operai tuttofare come Lane Hardy, l'addetto alla manovrazione della Ruota del Sud. Una comunità con un gergo tutto suo, la Parlata: i frollocconi sono i visitatori del parco, lo sparaspara è il tirassegno, i bigné sono le ragazze più carine.

Quando c’è in ballo il passato, tutti diventiamo romanzieri.

Lasciato dalla sua ragazza, Devin troverà il sostegno e la forza per superare la delusione amorosa facendosi dei nuovi amici, Tom e Erin. Ma non solo, consocerà anche Annie che vive assieme a suo figlio, Mike, affetto dalla distrofia di Duchenne, in una solitaria casa sulla spiaggia. Ognuno di loro avrà un ruolo fondamentale in quell'estate, destinata a rimanere impressa nella mente del protagonista per il mistero, che, suo malgrado, si troverà a dover districare.
Come ogni luogo un po' magico, il parco nasconde infatti un terribile segreto: pare che il castello del Brivido sia infestato dal fantasma di una ragazza, Linda Gray, uccisa dal suo fidanzato durante un giro sulla giostra. L'assassino non è mai stato scovato e da allora lo spirito della giovane brutalmente ammazzata vaga inquieto, incapace di andare avanti.


La fine del primo amore non è paragonabile alla morte di un vecchio amico e alla sofferenza di un’altra persona cara, ma lo schema si rivelò lo stesso, esattamente identico. Se la rottura con Wendy fu la fine del mondo, causando prima quei famosi pensieri suicidi (per quanto sciocchi e vaghi) e poi il cambiamento epocale che modificò il corso della mia tranquilla esistenza, dovete capire che all’epoca non avevo nessun termine di confronto. Anche quello è essere giovani.

Joyland è un libro diverso dal solito King. Il maestro dell'horror sembra lasciare la strada maestra per prendersi una pausa in un vecchio parco divertimenti. Se cercate suspense e tensione, mi dispiace non sarete accontentati. In questo romanzo, lo scrittore americano mescola sapientemente una storia di formazione, un po' di soprannaturale, una spruzzata di giallo e...voilà, il successo è garantito!

Indicazioni terapeutiche: per gli amanti di Stephen King.

Effetti collaterali: La scrittura di King è capace di evocare come poche la malinconia legata alla giovinezza, un periodo della vita dove tutto è nuovo, potente, totalizzante. Il primo amore e la sua fine. Il primo grande dolore.
La gente pensa che il primo amore sia tanto dolce, e lo diventi ancora di più quando il legame si spezza. Conoscerete almeno un migliaio di canzoni pop e country sull’argomento, con qualche povero scemo dal cuore infranto. Ma quella prima ferita è la più dolorosa, la più lenta a guarire e lascia una cicatrice orribile. Che ci sarà di dolce…


mercoledì 16 ottobre 2019

Un dolore così dolce di David Nicholls

È l'estate del 1997 e Charlie si trova davanti alla sfida più grande della sua vita, crescere, definire la propria personalità, scegliere che tipo di persona diventare. 
Niente è nitido, anzi tutto appare confuso e vago, come un oggetto nascosto nella nebbia alle prime luci dell'alba. Il futuro è ancora troppo incerto per avere un qualsiasi appeal e il presente troppo tetro per Charlie. Sua madre se ne è andata di casa, e lui è rimasto a vivere con suo padre, che, caduto in depressione, trascorre le sue giornate bevendo e ciondolando davanti alla TV. Anche Charlie ha risentito di quest'abbandono, tanto che i suoi voti sono crollati e, finito il liceo, passa le sue giornate in solitudine leggendo, in balia del senso di impotenza e di sconfitta.
Sarà un pomeriggio come tanti che incontrerà Fran e, spinto dalla voglia di conquistarla, si unirà ad una compagnia teatrale che sta mettendo in scena Giuletta e Romeo. Nonostante la ritrosia iniziale, Charlie si ritroverà catapultato in una nuova esperienza che lo spingerà a mettersi in discussione e rivedere i suoi piani per il futuro.

Ti sembra di avere tanto tempo e poi all'improvviso il tempo si accorcia e dvi scegliere. ma scegliere significa rinunciare. Apri una porta e tutte le altre si chiudono per sempre. Puoi fare quello che vuoi, ti dicono,a parte questo  e quest'altro e quest'altro ancora...

Un dolore così dolce è un romanzo sulle prime volte: il primo amore, che abbaglia come il sole d'estate e lascia accecati, le prime sbronze, la prima volta, le prime responsabilità, le prime decisioni da adulto. Un romanzo pervaso di nostalgia che tuttavia a mio avviso non convince pienamente. La storia, anche se ben raccontata, è già sentita. Un romanzo di formazione a cui manca qualcosa, una scintilla che lo renda qualcosa di più di una lettura piacevole ma non certo indimenticabile.

Indicazioni terapeutiche: per chi ancora fantastica sul primo amore.

Effetti collaterali: Il protagonista racconta la Sua Memorabile Estate , quella della sua prima e mai dimenticata cotta, da un presente, nel quale appare una persona risolta, che è stata capace di fare pace con il proprio passato. Un adulto in grado di guardarsi indietro e di cogliere il significato più grande di quell'acerbo sentimento: la capacità che ha il primo amore di strapparci dall'anonimato, di farci sentire sicuri, invincibili, immortali.
Non dura quasi mai. Ma quella sensazione non scompare, si trasforma in un'indelebile ricordo da custodire, un dolore così dolce da difendere ad ogni costo.

mercoledì 2 ottobre 2019

Divorare il cielo di Paolo Giordano

Ci sono incontri, persone, luoghi che ti entrano entro. Sensazioni da cui non è possibile fuggire. È così che Teresa decide di lasciare la sua vita borghese per lanciarsi in una nuova vita, di inseguire Bern e il suo sogno di un mondo diverso.
Ma facciamo un salto indietro. Teresa ha sedici anni e vive a Torino ma trascorre tutte le estati nella casa della nonna paterna a Speziale, in Puglia. Qui conoscerà Bern, Nicola e Tommaso, tre ragazzi affidati ad una strana coppia, Cesare e Floriana, che abitano in una cascina vicino a lei. Teresa è attratta dal loro modo di vivere, così lontano dal suo, un'esistenza totalmente libera e permeata dall'anticonformismo e da una forte spiritualità. Teresa resta affascinata in particolar modo da Bern, da quel suo sguardo serio, dalla sua grande forza di volontà e dal suo idealismo.


Cosa vuole dirci? Che ogni impresa gloriosa dell'uomo nasce dall'infrazione e dal peccato, ecco cosa. Che ogni unione tra esseri umani è un'unione di luce e di tenebra, anche questo matrimonio.

Ma Bern è tutt'altro che un porto sicuro, è un fuoco che arde incessante, una candela destinata a consumarsi velocemente. La sua bruciante necessità di trovare uno scopo,  qualcosa che vada oltre il concreto, l'umano e il quotidiano, in cui riversare la propria fede, si trasformerà nella sua più grande condanna. Teresa si aggrapperà al suo sentimento, in maniera cieca, quasi ingenua, finendo per esserne travolta.
Come un sasso che prendendo velocità si trasforma in valanga, gli eventi subiranno infatti un'accelerazione improvvisa:  la vita investirà i protagonisti del romanzo di Paolo Giordano, che tenteranno di sopravvivere, di rimanere fedeli a sé stessi, mentre il mondo intorno a loro vortica e cerca di inghiottirli.

Non si finisce mai di conoscere qualcuno... Sarebbe meglio non iniziare affatto. La verità sulle persone. Era a questo che si riferiva, credo. Arriva mai un punto in cui possiamo affermare di saperla? La verità su Bern, quella su Nicola e Cesare e Giuliana e Danco, la verità su Tommaso e di nuovo quella su Bern, soprattuto su di lui come sempre. Ora che ho messo ordine nella sua storia, nella nostra storia, posso dire di conoscerlo davvero? Sono certa che la nonna risponderebbe di no, che qualsiasi persona sensata risponderebbe di no: perché la verità sulle persone, su chiunque, semplicemente non esiste.

Non è semplice riassumere in poche righe l'intera trama di questo libro perché i piani temporali si frammentano, le voci narranti si rincorrono, la trama di fa densa, toccando argomenti come la religione, l'infertilità, l'ecologia, la maternità. Il bene e il male si confondono e ogni personaggio svela, pagina dopo pagina, aspetti sconosciuti di sé. Il tema della conoscenza è infatti centrale: quanto possiamo dire di conoscere noi stessi e le persone che amiamo? Fino a dove è giusto spingersi per realizzare le  proprie utopie?
Divorare il cielo è il racconto dell'intreccio delle vite di un gruppo di ragazzi animati dalla voglia di evadere dalle convenzioni, il bisogno quasi disperato di creare qualcosa che sia puro, non contaminato, una casa, un orto, un amore, un figlio, di affermare sé stessi in maniera assoluta. Divorare il cielo sta a significare proprio questo, la volontà estrema che azzera tutto il resta, la passione totale che è ab - soluta, sciolta da ogni legame, che fa sentire vivi ma chiede come contropartita un prezzo alto. A volte troppo. 


Indicazioni terapeutiche: per chi non è mai appagato, per chi vede il cielo solo come un involucro vuoto, per chi ha una fame che non può essere saziata.


Effetti collaterali: Per molti il comportamento di Teresa è incomprensibile. Lasciare un futuro certo per l'incerto, votarsi totalmente ad un uomo, fare di una masseria il centro del proprio mondo. Eppure questo libro celebra questo, una forma di amore assoluto, che si nutre solo di sé stesso, che non ha bisogno né di conoscere né di capire, ma è capace di bastarsi. Non serve chiedersi perché o interrogarsi sul come, è sufficiente arrendersi, lasciandosi trasportare dalla corrente del flusso delle cose.




domenica 22 settembre 2019

Persone normali di Sally Rooney


Cos'è la normalità?
Potremmo dunque dire che la normalità è un costrutto sociale che ingloba i comportamenti, le idee e le caratteristiche che risultano adeguate alla vita in società. In altre termini, la normalità di definisce per antitesi, partendo dal concetto di patologico: tutto ciò che, nell'ambito di una comunità, non è ritenuto deviato o sbagliato o pericoloso.


Marianne aveva un furore che per un po' gli è entrato dentro e gli ha fatto credere di essere come lei, di avere la sua stessa innominabile ferita spirituale e che nessuno dei due sarebbe mai riuscito a trovare un posto nel mondo. Ma lui non è mai stato fallato quanto lei. Era lei che lo faceva sentire così.

I due protagonisti di questo romanzo, Connell e Marianne, sono tutto, tranne che ordinari. Da una parte c'è Connell, con la sua naturale tendenza al conformismo, costantemente spinto dal desiderio di essere benvoluto. Una sorta di bisogno primordiale di "essere una brava persona". Come se tutta la sua esistenza dovesse ridursi al mero tentativo di dimenticare le sue origini proletarie, di elevarsi dalla sua classe sociale.
Dall'altra Marianne che, almeno in apparenza, è immune al giudizio altrui. Marianne che sembra galleggiare al di sopra dei commenti, negativi o positivi che siano. Marianne, che nonostante tutto, è animata dalla ferocia di essere amata, di trovare qualcuno che la comprenda e la apprezzi. Eppure tutte le sue scelte sono orientate da una un profondo sentimento di autodistruzione, che la portano a impegnarsi in relazioni degradanti con uomini al limite del sadico.

Ha avuto una vita anomala fin dalla più tenera età, questo lo sa bene. Ma molto è ormai ricoperto dal tempo, allo stesso modo in cui le foglie cadono e coprono un pezzo di terra ,e alla fine ci si confondono. Le cose che le sono successe sono sepolte nella terra del suo corpo. Cerca di essere una brava persona. Ma sotto sotto sa di essere una persona cattiva, corrotta, sbagliata, e tutti i suoi sforzi per essere come si deve, per avere le opinioni giuste, per dire le cose giuste, questi sforzi nascondono solo ciò che è sepolto in lei, la sua parte malvagia.

In questo suo ultimo libro, Sally Rooney si addentra all'interno della relazione di due ragazzi, alla continua ricerca di un equilibrio tra l'essere sé stessi e la necessità di essere accettati dagli altri, sempre al limite tra "sano" e "malato". Connell e Marianne incarnano la quintessenza della nevrosi posto-moderna, la difficoltà di costruire legami veri, di essere autentici, di essere fedeli alla propria natura.
Persone normali gioca tutto sulle mille sfaccettature del concetto di normalità, prendendolo e capovolgendolo, più e più volte. Due persone "non" normali che tipo di rapporto avranno? E soprattutto, esistono relazioni sbagliate che fanno sentire le persone giuste o, al contrario, una relazione "sana" può trasformare due individui fuori dall'ordinario in più conformi alla media?


Indicazioni terapeutiche: per chi crede che la normalità sia un concetto sopravvalutato.

Effetti collaterali: Ciò che l'autrice mi sembra voglia dimostrare è lampante: l'amore accade. Non solo alla gente perbene. Non è una questione di meritocrazia. L'amore è, per sua natura, un sentimento spigoloso e complesso che cambia le persone: Connell e Marianne si conosciuti, riconosciuti, amati. Se non si fossero incontrati sarebbero gli stessi? Evidentemente no.



venerdì 13 settembre 2019

Patria di Fernando Aramburu


Cosa fa di un romanzo un grande romanzo?
La critica letteraria ha provato a dare tante risposte. L'introspezione psicologica dei personaggi. Lo stile narrativo. L'originalità della trama.
Nella mia personale opinione un grande romanzo è quello capace di intrecciare il corso della Storia, i grandi eventi ricordati sui libri scolastici, con le storie, il racconto delle vite delle persone comuni. Come tanti altri autori prima di lui, cito su tutti Elsa Morante, Fernando Arambaru attinge alla vicende storiche del proprio Paese, nello specifico alla lotta armata dell'Eta per l'indipendenza dei Paesi Baschi negli anni 70/80, per raccontare la storia di due famiglie, il cui destino è legato a doppio filo. Da un lato Txato e Bittori, dall'altro Miren e Joxian. Due coppie che si conoscono da sempre. Un'esistenza condivisa fatta di amicizia, gite con i figli , feste paesane, passioni e ideali condivisi. 
Due famiglie il cui legame verrà inesorabilmente reciso da un atto di infinita violenza: il Txato viene assassinato davanti casa, vittima di un attentato dell'ETA. Joxe Mari, il figlio di Miren e Joxian, è uno dei sospettati, in quanto militante nella lotta armata per la liberazione di Euskal Herria, il Paese Basco.

Mi sono resa conto di una cosa. Ci sforziamo di dare un senso, una forma, un ordine alla vita, e alla fine la vita fa di noi quello che le va.

Niente sarà più come prima. E come potrebbe. La morte del Txato spazza via ogni possibilità di futuro, inghiotte ogni verosimile felicità, lasciando la vedova Bittori e i figli, Nerea e Xabier, naufraghi incapaci di andare avanti, vittime due volte, della morte e dell'odio, del fanatismo e della vergogna.
Il merito di Patria è però la capacità di andare oltre, di non soffermarsi sul solo dolore della parte lesa, ma di provare a scavare più a fondo, di indagare come l'estremismo, di qualsiasi genere, schiacci ogni persona, annulli ogni legame, faccia terra bruciata di tutto ciò che non è la Causa. Anche Joxe Mari e i suoi parenti, in maniera diversa ma non meno profonda, cadono vittime dell'ossessione di un ideale a cui è stato sacrificato troppo, di una "guerra" inutile, di una rivoluzione che non ha portato a niente, che ha lasciato sul campo solo delusioni, rancori e morti ammazzati.

Però un uomo può essere una nave. Un uomo può essere una nave con lo scafo d'acciaio. Poi passano gli anni e si formano delle incrinature. Di lì passa l'acqua della nostalgia, contaminata di solitudine, e l'acqua della consapevolezza di essersi sbagliato e di non poter rimediare all'errore, e quell'acqua che corrode tanto, quella del pentimento che si sente e non si dice per paura, per vergogna, per non fare brutta figura con i compagni. E così l'uomo, ormai nave incrinata, andrà a picco da un momento all'altro.

Perché aldilà della semplice divisione tra separatisti e non, questo romanzo riesce a trovare un massimo comune divisore, un elemento che accomuna tutti i personaggi di questo commuovente  e complesso affresco: l'autore ci racconta dell'incapacità di vedere l'altro aldilà dei propri biechi risentimenti, della fede in un'idea che travolge ogni compassione, di un'amicizia che si trasforma in odio. Ma è anche un sublime racconto sul perdono, sulla voglia di non arrendersi al dolore. Uno spaccato dell'animo umano, con tutti si suoi baratri e e le sue più alte vette.  Il talento dell'autore sta proprio qua: nella capacità di concepire una trama nella quale il non detto superi ciò che viene narrato, dove il vuoto tra le righe si faccia denso, diventando capace di emozionare, commuovere, appassionare.


Indicazioni terapeutiche: per chi crede che non esistano solo il bianco e il nero, ma infinite sfumature di grigio.

Effetti collaterali: Non sempre il tempo ricuce ogni ferita. Spesso, anzi, la sofferenza diventa una cara compagna di vita, una silenziosa spettatrice, un'assenza più forte di ogni presenza. Se perdonare è dunque difficile, comprendere è necessario. Perché alla fine cos'è l'esistenza umana se non la ferrea volontà di dare un ordine al caos, di trovare un disegno predeterminato in un casuale susseguirsi di eventi, di trovare un senso alla morte e quindi, di riflesso, alla vita?


venerdì 22 marzo 2019

L'estate muore giovane di Mirko Sabatino


Avere dodici anni è stupendo: il domani è un 'enorme strada bianca davanti a te tutta da scrivere.
Avere dodici anni è terribile: i mostri sembrano invincibili e sembra impossibile riuscire a non soccombere in un mondo di giganti, pronti a schiacciarti da un momento all'altro.
Avere dodici anni è come vivere in una terra di mezzo: un non-luogo di nessuno dove si incontrano l'oceano dell'ingenuità con il mare della dura realtà.

La giovinezza è l'unica parte che conta davvero nella vita di un uomo.

Estate 1963. In un paesino del Gargano tre ragazzini condividono quella che sarà l'ultima stagione della loro infanzia. I lunghi roventi pomeriggi trascorsi sulla panchina nella piazza principale, le lotte coi bulli, i segreti e le corse lungo la scogliera selvaggia presto saranno un lontano ricordo.
Primo cerca di scendere a patti con il vuoto che ha lasciato suo padre morendo, prendendosi cura di sua sorella Viola. Damiano, bello come Paul Newman, è diviso tra l'affetto dei suoi genitori in perenne lite fra loro, una mamma bellissima e un padre troppo geloso. Mimmo timido e riservato è destinato a diventerà sacerdote, così ha infatti deciso la sua famiglia.
Tre ragazzi differenti ma uniti da un legame indissolubile, immaturi e ingenui come solo i bambini possono essere, ma capaci di grandi slanci, consci della potenza dei sentimenti, del valore dell'amicizia e del dovere di proteggere chi si ama. Diversi ma uguali in una profonda condizione di solitudine e smarrimento: ognuno a modo suo è lasciato a sé stesso, impegnato a combattere la sua silenziosa battaglia, crescere senza perdere la parte migliore di sé.


Sogna, Primo, fallo sempre. Ma pianta i tuoi sogni nella terra: cresceranno robusti e non voleranno via.

Primo, Damiano e Mimmo si ritroveranno, loro malgrado, ad affrontare la crudeltà del mondo adulto. Un mondo che non fa sconti, che spezza il debole e incattivisce l'anima. Un mondo di predatori e vittime, dove vige la legge della giungla, dove soltanto il più forte sopravvive.
I tre protagonisti del romanzo stringeranno un patto di sangue dalle nefaste conseguenze che darà l'avvio ad un seria tragica di eventi. Eppure non c'è un'ombra di giudizio da parte dell'autore, Mirko Sabatino, anzi una rassegnata presa di coscienza: la sorte dei tre ragazzi sembra essere già stata segnata, stabilita ancor prima della loro nascita da un giocatore di dadi senza misericordia. Un futuro scritto nella terra arida della Puglia con lacrime e sangue, una terra in cui Dio è morto e agli oppressi è negata ogni flebile speranza.
L'estate muore giovane è un libro che colpisce come un pugno allo stomaco, riecheggiando il miglior Ammaniti. Una tragedia alla quale il lettore assiste attonito, maturando la dolorosa consapevolezza che spesso ogni tentativo è vano. Spesso il Male vince e dei morti non resta che una pallida memoria destinata a sbiadire negli anni.


Indicazioni terapeutiche: per chi non cerca una consolazione, per chi vorrebbe rincorrere la purezza di quando era bambino.

Effetti collaterali:  Nella vita vera quasi mai c'è un lieto fine. L'umanità si potrebbe dividere in due grande categorie: chi è stato sopraffatto e tutti gli altri, i sopravvissuti.  Tuttavia anche chi si è salvato si porta dietro profonde ferite: beffardo premio di consolazione rimane il magro conforto dell’accettazione di ciò che è stato e non può cambiare e, soprattutto, di ciò che sarebbe potuto essere.


mercoledì 13 febbraio 2019

So che un giorno tornerai di Luca Bianchini


Per molti la vita è una retta, un binario che tende all'infinito, una stazione da cui passa un treno soltanto. Per altri invece è un circolo, l'eterno ritornare di situazioni, sentimenti e pentimenti, il perpetuarsi di prove ed errori, di gioie e delusioni, di amori e tradimenti.

Alla fine, ognuno di noi s'innamora di chi ci guarda per un attimo e poi ci sfugge per sempre.
Trieste, fine anni '60. Angela è la ragazza più bella del quartiere, un futuro carico di promesse, divide le sue giornate tra le scorribande con il fratello Riccardo e la venerazione dei suoi numerosi ammiratori. Qualcosa però nell'ingranaggio della sua vita spensierata si inceppa, quando, poco meno che ventenne, rimane incinta di un "jeansinaro" calabrese, Pasquale, che messo alle strette le confessa di essere spostato e la abbandona al suo destino. 
Angela rimasta sola, tradita dal suo "grande" amore, si scoprirà troppo immatura ed egoista per confrontarsi con il suo nuovo ruolo di genitore: fuggirà da Trieste, la sua città natale, per rifugiarsi nella braccia comprensive di un altro uomo, Ferruccio, rifacendosi una vita a Bassano. Manterrà con la figlia un rapporto sporadico, fatto di aspettative disilluse e una conoscenza troppo superficiale, un sentimento troppo inconsistente per essere assimilato all'amore assoluto tra madre e figlia.
Emma sarà allevata dai nonni materni, il club dei Pipan, con a capo il nonno che rimpiange la dominazione austriaca, e viziata dall'affetto degli zii: diventerà una ragazza ribelle e libera, forte come soltanto chi è dovuto crescere senza un appiglio sicuro può essere. Sarà proprio lei a riunire la sua "famiglia" inesistente, perdonando i suoi genitori per la loro assenza e segnando, di fatto, un nuovo inizio per tutti.


"Allora lascia che ti dica l'unica cosa che ho capito: non arrenderti come ho fatto io. Nella vita bisogna stare bene, e c'è un solo modo per farlo: provare tutte le strade."

So che un giorno tornerai è la storia di vite bloccate, incapaci di andare avanti: Emma che ha passato la vita ad elemosinare un po' d'affetto dai suoi genitori. Angela che rimpiange il suo amore giovanile. Ferruccio che aspetta con pazienza che sua moglie lo scelga per restare. Pasquale che è scappato davanti alle responsabilità ma spera di avere una seconda occasione. 
Un libro leggero, che forse pecca a tratti di superficialità, non approfondendo la psicologia dei personaggi e seguendo una trama fino troppo plausibile. Una lettura dei buoni sentimenti, sulla forza del perdono e sulla capacità che ha la vita di rimescolare le carte, regalandoci il tanto sperato lieto fine. Poco plausibile ma di buon auspicio.

Indicazioni terapeutiche: per chi crede nelle seconde possibilità.

Effetti collaterali: Trieste come luogo di frontiera, il multiculturalismo, la difficoltà di crescere e confrontarsi con le proprie origini. Le premesse per una trama piena di spunti c'erano tutte. In realtà la storia si appiattisce dopo le prime venti pagine e, ancora peggio, non ho sentito nessuna empatia né per la protagonista Emma, che ha trasformato il rifiuto dei suoi genitori in un becero anticonformismo fine sé stesso, né tanto meno per sua madre Angela, troppo presa da sé stessa e dalle sue follie amorose, per comprendere il dolore causato dalle sue continue fughe. Due donne cieche, a tratti ottuse, condannate a ripetere i  medesimi errori, perché incapaci di mettersi in discussione, di vedere aldilà dei propri biechi desideri. Troppo vuote per capire la pienezza dell'esistenza e le sue innumerevoli sfumature.



venerdì 1 febbraio 2019

La simmetria dei desideri di Eshkol Nevo

In effetti, l'amicizia è una faccenda strana, secondo me. Sono ormai cinque anni che traduco dall'inglese articoli accademici di argomento umanistico o sociale, e non ho ancora trovato un articolo che analizzi la questione in profondità. Certo, oggi tutto dev'essere statistico ed empirico, mentre è difficile quantificare e calcolare distanza e vicinanza, fedeltà e tradimento, amore e nostalgia. E forse non è neppure necessario.
Il legame apparentemente indissolubile tra quattro ragazzi di Haifa è la colonna portante di questo romanzo: durante la finale dei Mondiali di calcio del 1998 quattro amici decidono di scrivere su tre biglietti i desideri che vorrebbero realizzare, con l'impegno di conservarli fino al mondiale successivo per verificare quanto da loro auspicato si sia realmente concretizzato.
Non hanno ancora trent'anni ma hanno già condiviso insieme molte esperienze, la scuola, i viaggi, l'esercito. Nonostante questo, ciò che li lega maggiormente è la loro spinta verso il futuro, le speranze e i sogni, la voglia di scendere a patti con le proprie paure e di scrivere il proprio domani.

Qualcosa di fondamentale è sballato in ciascuno di noi, no?, ho commentato io. Per il semplice fatto che siamo esseri umani.

Churchill è il carismatico del gruppo, capace di affascinare le persone, soprattutto le donne, con la sua personalità esuberante, sogna di diventare un grande avvocato e realizzare qualcosa di importante. Amichai è sposato con Ilana la piagnona, una donna che i suoi amici faticano a capire ed apprezzare, ha due gemelli e vende polizze per malati di cuore, anche se spera un giorno di aprire una clinica di medicina alternativa.  Ofir lavora nella pubblicità, è il più bravo con le parole, ma sente di aver tradito la propria stessa natura perché ha venduto l'anima al mostro del marketing. Infine Yuval, il narratore, timido e silenzioso: è attraverso i suoi occhi che viviamo le vicende raccontate nel libro. Proprio lui, il più sensibile e introverso, guiderà il lettore attraverso gli amori e i dolori, i timori e le illusioni di questo gruppo di ragazzi, sullo sfondo di una terra difficile come Israele.

Io con lei mi sento normale, ha detto Ilana. mi sento a posto. sento che la mia tristezza è a posto. Che la mia pesantezza è a posto. Che il fatto che ogni tanto ho bisogno di nascondermi dal mondo è a posto. Mi sento capita quando sono con maria. Capita fino in fondo.

La simmetria dei desideri di Eshkol Nevo non è soltanto la storia di un'amicizia con la A maiuscola ma una parabola sulla crescita personale, sulla ricerca di un senso più profondo della vita, sulla solitudine e sui legami tra le persone. Un romanzo scorrevole ma non scontato, che regala, al tempo stesso, sprazzi di ironia e riflessioni profonde. Un viaggio nell'animo umano destinato a non finire mai.


Indicazioni terapeutiche: per chi crede che gli amici siano un'oasi nel deserto che permette di dimenticare il deserto.

Effetti collaterali: per uno strano gioco del destino (sempre che esista) i desideri dei quattro protagonisti saranno rimescolati come carte dal vento. Quanto di ciò che vogliamo è davvero un nostro desiderio interiore o quanto, invece, è frutto delle circostanze? E soprattutto è pensabile ipotizzare una sorta di armonia come punto di arrivo del proprio percorso? O forse, dal momento che viviamo in una realtà disarmonica, un tentativo del genere è destinato a fallire in partenza?

mercoledì 3 ottobre 2018

La vita fino a te di Matteo Bussola

Premetto che pur non conoscendolo personalmente, Matteo Bussola mi è piaciuto fin da subito. Da quando ho iniziato a leggere i suoi primi post, prima che diventassero virali, fino a  trasformarlo in un personaggio pubblico prima, e in uno scrittore poi. O meglio, probabilmente uno scrittore lo era sempre stato, ma è come sbocciato grazie al successo incontrato sui social network.
Ancora oggi continua a condividere i suoi pensieri, le sue esperienze e riflessioni su piattaforme come Facebook, come milioni di altre persone del resto. Ciò che fa la differenza è la sua indiscutibile capacità di raccontare il vissuto quotidiano con uno sguardo capace di scorgere ciò che ai più rimane celato. Di scandagliare l'animo umano, mettendolo a nudo in tutte le sue sfaccettature. Di trasformare l'ordinario in straordinario, come l'artista che scorge la poesia in un umile filo d'erba.
Al centro del suo ultimo libro,  La vita fino a te, che in realtà più che è un romanzo è una raccolta di aneddoti e considerazioni, c'è l'amore in tutte le sue forme. O meglio ci sono le relazioni con l’altro.  Perché cos'è l’amore se non prima di tutto una forma di sguardo sull’altro?


Ti accorgi che l'unica sabbia che conta è quella che scorre nella clessidra dei giorni, le orme più belle quelle che testimoniano la strada fino a qui, il cammino insieme che abbiamo scelto, perciò viva i giardini vissuti, la merda che contiene più verità di molto altro, i cani che ti saltano in braccio sporchi di terra o che si sdraiano al sole, per tutto il resto ci sarà tempo di sicuro e quando non ci sarà: pace, avremo pavimenti meno impeccabili e maglioni pieni di peli e forse inciamperemo ogni tanto nelle buche, ma sapremo comunque di non aver rinunciato alla parte migliore di quello che c'è.

Attraverso il racconto di episodi di vita quotidiana l'autore si racconta, partendo dal proprio passato, per tracciare un ipotetico cammino a ritroso che lo ha portato fino a Paola, la sua attuale compagna con la quale ha avuto tre bambine. Un percorso che non è stato né rettilineo né facile. Un viaggio che ha avuto come punto di partenza l'accettazione delle rispettive differenze, che si è alimentato della voglia di conoscersi e "spostarsi da sé stessi", per approdare alla fine alla consapevolezza che ogni relazione duratura si fonda su un’accoglienza incondizionata.
Una strada irta di ostacoli in cui è facile smarrirsi, perdendo di vista non solo l'altro ma perfino sé stessi. Perché la paura di sbagliare, di restare, di rimanere ingabbiati è sempre in agguato. La verità è che, come sostiene Bussola, siamo convinti di sapere quello di cui abbiamo bisogno, ma a volte invece la vita è più intelligente di noi, e così ci dona non ciò che vorremmo ma ciò che ci serve per crescere, non importa quanto questo possa essere talvolta doloroso o frustrante.

Ogni vita è una specie di iceberg narrativo di cui gli altri scorgono solo la parte visibile, mentre tre quarti se ne stanno nascosti sotto il pelo dell'acqua e non se ne accorge mai nessuno a volte non te ne accorgi nemmeno tu. [...] L'importante è non credere nemmeno per un istante che quel che vedono gli altri, nel bene o nel male, sia tutto quello che sei, e non credere che quel invece gli altri non vedono valga meno, soltanto perché non lo vedono. Non è importante se nessuno lo vede, o se lo vedono in pochi, tu quella parte rispettala, difendila, sentila, proprio come l'aria che ti entra nei polmoni ogni giorno, ogni secondo, che nessuno vede nemmeno quella, così come non vedranno mai il tuo stomaco, o il tuo fegato, o i battiti del tuo cuore, mentre sono proprio questi a tenerti in vita.

La lezione di Matteo Bussola è in fondo di una semplicità disarmante: se si è pronti a mettersi in gioco, ad accantonare le proprie insicurezze, accogliendo la diversità altrui, l'amore diventa non una possibilità ma LA POSSBILITÀ, non dico di essere migliori, ma di vivere una vita piena e densa di significato. 
Indispensabile diventa allora la presa di coscienza che non è possibile fondare l'amore sul bisogno, ma, al contrario, occorrerebbe fondare il bisogno sull'amore. Che l'amore che salva non è un mai un approdo ma solo un punto di partenza. Che, come afferma l'autore, l'amore non ci completa ma ci comincia. 


Indicazioni terapeutiche: per chi non è ancora stanco di cercare il buono nel mondo.

Effetti collaterali: i sentimenti non dovrebbero mai diventare un'arma di ricatto. Non bisognerebbe mai urlarsi "sei cambiato" o "non sei più quello di prima" o chiedere al proprio partner di rinunciare a qualcosa, ad un hobby, un lavoro, un'amicizia, un sogno. Non bisognerebbe soprattutto mai chiedere a qualcuno di rinunciare alla necessità di restare fedeli a se stessi, come se si trattasse di una sorta di affronto alla propria relazione.


giovedì 27 settembre 2018

Le assaggiatrici di Rosella Postorino

La capacità di adattamento è la maggiore risorsa degli esseri umani, ma più mi adattavo e meno mi sentivo umana.
È l'autunno del '43 quando Rosa Bauer fugge da Berlino per rifugiarsi a casa dei suoceri, nel villaggio di Gross-Partsch, vicino alla Tana del Lupo, il quartier generale dove Hitler si è nascosto. Suo marito Gregor è lontano, a combattere sul fronte orientale russo.
Insieme ad altre nove donne, Rosa, viene reclutata come "assaggiatrice": è una cavia, selezionata come la altre per testare le pietanze destinate al Führer, al fine di scongiurare potenziali avvelenamenti. Chiuse tra le pareti di una caserma e sotto la minaccia continua del controllo delle SS, tra il gruppo di donne si svilupperà una sorta di legame carnale, un'amicizia dettata più dalla paura e dalla necessità, che non da una volontà consapevole. In particolar modo, Rosa rimarrà affascinata da Elfriede, dal suo carattere spigoloso, dalla sua lingua tagliente, dai segreti che riesce a celare e a scorgere fissando le persone negli occhi.
Quella di Rosa diventa una vita per il Führer, che pure lei ha imparato ad odiare. Un'esistenza dominata dalla paura, dal senso di colpa, dalla mancanza. Un'esistenza che la porta a mettere in discussione tutto ciò in cui credeva, maturando la consapevolezza di quanto la vita umana abbia ben poco valore. Come si fa a dare valore a una cosa che può finire in qualsiasi momento, una cosa così fragile? Si dà valore a ciò che ha forza, e la vita non ne ha; a ciò che è indistruttibile, e la vita non lo è. Tant’è vero che può arrivare qualcuno a chiederti di sacrificarla, la tua vita, per qualcosa che ha più forza. La patria, per esempio.

Per anni ho creduto fossero stati i suoi segreti- i segreti che non poteva confessare, che non volevo ascoltare -a impedirmi di amarlo davvero. Era una stupidaggine. Di mio marito non sapevo molto di più. Avevamo vissuto appena un anno sotto lo stesso tetto, poi lui era partito per la guerra: no che non lo conoscevo. Del resto, l'amore accade proprio tra sconosciuti, fra estranei impazienti di forzare il confine. Accade fra persone che si fanno paura.

Non c'è in Rossella Postorino nessuno giudizio: la sopravvivenza ha avuto la meglio sulla morale. Quelle descritta dalla scrittrice è un'umanità mutilata, spezzata, profanata. Rosa è una donna che è scesa a patti con la propria coscienza, ma ne ha pagato caro il prezzo. L'impossibilità di dimenticare, di lasciarsi tutto alle spalle. Non racconterà mai nessuno quello che ha vissuto alla mensa di Krausendorf, delle persone con cui ha condiviso per mesi ogni pasto, dei sensi di colpa che la schiacciano senza abbandonarla mai.
Certi ricordi sono come fantasmi,  destinati ad abitare l'animo umano per sempre. Si sopravvive ma non si è più gli stessi, prigionieri dei propri segreti, si diventa inaccessibili, incapaci di aprirsi agli altri e tornare ad amare di nuovo. Ma d'altronde come è possibile volersi bene nell'inganno?

Io non sapevo se il resto della specie preferisse vivere da miserabile, pur di non morire; se preferisse vivere nella privazione, nella solitudine, pur di non calarsi nel lago di Moy con una pietra al collo. Se considerasse la guerra un istinto naturale. È una specie tarata, quella umana: i suoi istinti, non bisogna assecondarli.


L'autrice di questo romanzo si è ispirata alla storia vera di Margot Wölk, morta pochi anni fa ultranovantenne, che, ricordando i suoi tempi da assaggiatrice, ammette come ogni volta dopo un pasto scoppiasse in in un pianto liberatorio, perché significava che era ancora viva. Ma, a scanso di equivoci, è giusto sottolineare come Le assaggiatrici non sia romanzo storico né ambisca ad esserlo: la vicenda storica è solo un punto di partenza per una riflessione più ampia.
Il cibo si trasforma nel filo conduttore di un'ossessione che accompagnerà la protagonista per il resto della vita, un amore-odio viscerale. Mangiare significava nutrirsi e quindi sopravvivere, ma allo stesso tempo ciò implicava tenere in vita Hitler e il suo regime. Servire la causa. In realtà né Rosa né le altre sue compagne hanno avuto mai scelta. Non sono mai state molto di più di gruppo di donne chiuse in una mensa, braccate come un branco di animali al macello dal sentore costante della morte, senza alcuna possibilità di sottrarsi al loro angoscioso destino.
O forse no. Forse Rosa avrebbe potuto decidere da che parte stare. Come Elfriede. Scegliere di non rinnegare sé stessa, anche a costo della propria vita.


Indicazioni terapeutiche: per chi vuole scoprire quale sia il prezzo della sopravvivenza.

Effetti collaterali: molti potrebbero trovare fuori luogo la voglia di Rosa di amare, di essere desiderata, accolta. Io no. Non l'ho trovato un espediente narrativo slegato dal testo ma funzionale alla storia. Nonostante sia cosciente di vivere in un'epoca amputata, di non avere nessun diritto di parlare d'amore, vi è in lei una parte che brama di essere desiderata, di fremere, di sentirsi viva nonostante intorno a lei vi sia soltanto violenza e morte. Una parte disposta a sacrificare tutto pur di essere qualcosa di più di uno stomaco da riempire, di un pezzo di carne vittima di un ingranaggio infinitamente più grande e terribile di lei.

venerdì 21 settembre 2018

Eleanor Oliphant sta benissimo di Gail Honeyman


Si può palare di alienazione e dolore strappando un sorriso?
Sembra un'impresa possibile ma Gail Honeyman ci riesce, dando vita ad un personaggio capace di entrare in punte di piedi nell'animo di chi legge, a volte indisponendo, altre suscitando tenerezza. Eleanor Oliphant è la protagonista di questo libro, una sorta di favola moderna che ci restituisce un po' di sano ottimismo e, perché no, di fiducia nel mondo.

Se qualcuno ti chiede come stai, si aspetta che tu risponda BENE. Non devi dire che la sera prima ti sei addormentata piangendo perché erano due giorni di fila che non parlavi con un’altra persona. Devi dire: BENE. [...] Ai giorni nostri la solitudine è il nuovo cancro, una cosa vergognosa e imbarazzante, così spaventosa che non si osa nominarla: gli altri non vogliono sentire pronunciare questa parola ad alta voce per timore di esserne contagiati a loro volta, o che ciò possa indurre il destino a infliggere loro il medesimo orrore.

Ma chi è Eleanor Oliphant? È la collega scostante che nessuno vorrebbe, la vicina solitaria che parla con le piante, la tipa stramba da tenere a distanza, che dice sempre la battuta fuori-luogo e non sembra curarsi delle comuni norme della civile convivenza. Una ragazza anonima e asociale, destinata a vivere ai margini delle vite altrui.
Eppure la protagonista di questo romanzo non sembra, almeno in apparenza, risentire dello strano isolamento in cui si è auto-confinata: ha una casa, un lavoro, un tranquillo tran-tran impermeabile al mondo esterno.  A lavoro dal lunedì a venerdì, i lunghi weekend trascorsi chiusa in casa, in compagnia di qualche bottiglia di alcol e cibo scadente take-away. Mai uno sgarro. Un'unica strada dritta da percorrere in completa solitudine.
Eleanor Oliphant non ha bisogno di niente. Sta benissimo.
O forse no?
Forse dietro la facciata di stravagante normalità si nasconde l'orrore di un trauma infantile troppo da grande da elaborare, troppo spaventoso da condividere, qualcosa di così devastante che può soltanto essere sepolto nell'angolo più buio e nascosto del proprio animo.


Io ero Eleanor, la piccola, triste Eleanor Oliphant, con il mio lavoro patetico, la mia vodka e le mie cene da sola, e lo sarei sempre stata. Niente e nessuno – e certamente non quel cantante, che si stava sistemando i capelli durante l’assolo di chitarra di un altro membro della band – avrebbe potuto cambiare le cose. Non c’era speranza, le cose non si potevano riparare. Io non potevo essere riparata. Al passato non si poteva sfuggire, né lo si poteva disfare.

Gail Honeyman costruisce una storia di redenzione, sul potere salvifico dell'amicizia e sulla possibilità di scendere a patti con le proprie ferite. Nessuno si salva da solo, ma ciascuno di noi, se riceve l'aiuto di una mano tesa, può sbocciare, rifiorire, non certo diventando perfetto, ma accettando le proprie imperfezioni.
Eleanor Oliphant sta benissimo è un romanzo costruito con sagacia e intelligenza, in cui l'ironia diventa la chiave per affrontare un passato oscuro e un presente grigio. Anche se non siamo in presenza di un capolavoro non importa perché Eleanor è un personaggio capace di farsi amare, nonostante l'antipatia iniziale e tutte le sue idiosincrasie, e soprattutto in grado di restituirci un po' di sana speranza. E per una volta il lieto fine è la giusta ricompensa.


Indicazioni terapeutiche: per i solitari, i misantropi, i cinici, perché si ricredano e non smettano mai di coltivare la speranza di una felicità inattesa.

Effetti collaterali: Richard Bach affermava che siamo tutti impostori in questo mondo, poiché facciamo tutti finta di essere qualcosa che non siamo. Eleanor Oliphant è diversa: come lei, sono poche le persone che non sono in grado di dissimulare, di adeguarsi con un sorriso forzato. Tanto che a volte la solitudine auto-imposta sembra la scelta migliore, quella che mette al riparo da un gran numero di ferite inutili. In realtà la storia di Eleanor ci dimostra l'esatto contrario: c'è sempre una via, un modo di essere che coniughi la fedeltà a se stessi con la possibilità di amare ed essere riamati.


lunedì 17 settembre 2018

Il barone rampante di Italo Calvino

È sempre difficile analizzare un classico, quasi avventato, perché c'è sempre in agguato il pericolo di cadere nel banale, di ricalcare quello che altri hanno già detto, magari anche in un modo migliore. Tuttavia ho decido di correre il rischio, per parlare di quanto questo celeberrimo romanzo, che ho deciso di rileggere a distanza di anni, mi abbia colpito. Di quanto sia ancora oggi attuale, in una società globalizzata e massificata, nella quale le scelte dei singoli sembrano sempre meno incisive, in cui l'originalità ha ceduto il passo all'omologazione.


Quando ho più idee degli altri, do agli altri queste idee, se le accettano; e questo è comandare.

La trama è nota: nel 1776 il barone Cosimo Piovasco di Rondò, in seguito ad un diverbio con il padre su un piatto di lumache, decide di salire su un albero,  per non ridiscenderne mai più. Questo atto di ribellione è in realtà una metafora di qualcosa di più grande, che va aldilà del semplice disagio giovanile.
Quella di Cosimo non è solo una scelta per la vita ma una scelta di vita: con il suo profondo atto di rottura prenderà le distanze dalla sua famiglia per affermare la propria individualità, rigettando ogni tipo di norma che non sia quella dettata dalla propria moralità. Non vivrà infatti come un selvaggio al di sopra delle regole, ma, al contrario, tutta la sua esistenza sarà orientata e guidata da un rigido codice di principi morali.
Attraverso il protagonista di questo romanzo, Italo Calvino ha voluto rappresenta la figura dell'intellettuale che, pur mantenendo una certa distanza, da' il proprio contributo all'evoluzione della società. Contrariamente a quanto si potrebbe ipotizzare, Cosimo infatti non condurrà una vita votata alla solitudine, tutt'altro: dall'alto delle cime frondose di magnolie, lecci e ulivi sarà parte attiva della propria comunità: combatterà i pirati, progetterà fontane e sistemi per prevenire gli incendi, caccerà ogni tipo di animale, vivrà tresche segrete e avventure al limite dell'inverosimile.


Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così.

Come nel caso del barone di Münchhausen, le storie di Cosimo mescolano realtà e fantasia ma ciò non toglie forza al messaggio del libro, anzi ne amplifica la portata: la ribellione non è fregarsene delle regole di convivenza civile o non avere nessuna etica. Anzi il protagonista di questo libro dimostra il contrario. La vera libertà è vivere assecondando la propria natura, seguendo inflessibilmente i propri principi. La vera libertà è il coraggio di essere diversi, di emergere dal branco, di reagire alle critiche della massa. 
Cosimo è un eroe dei nostri giorni perché dimostra che, se si è disposti a pagarne il prezzo, si può scegliere di essere liberi, liberi non solo dalle imposizioni materiali ma dai vincoli mentali, da tutto ciò che ci limita, ci inibisce, ci soffoca. Una condizione che è più mentale che materiale. L'insegnamento che Calvino lascia a tutti, in special modo ai più giovani, è chiaro: siate fedeli a voi stessi e accettatevi, solo così anche gli altri finiranno con l'accettarvi.
D'altra parte, come affermava Nietzsche, la vera felicità non è fare tutto ciò che si vuole, ma è voler tutto ciò che si fa.


Indicazioni terapeutiche: per chi sogna di fuggire dalla prigione della quotidianità.

Effetti collaterali: come muore un uomo che ha vissuto tutta la vita osservando la terra dall'alto? Semplicemente volando via. Un finale aperto che ci lascia con la più bella delle speranze: chi è veramente libero non vive forse per sempre?



martedì 28 agosto 2018

L'animale femmina di Emanuela Canepa

Vincitore del Premio Calvino 2017 all'umanità: ho comprato questo libro attratta dalla recensioni positive. Purtroppo la promessa di consegnare una storia che mettesse a nudo le fragilità femminili, in una sorta di educazione sentimentale in cui le prospettive si ribaltano non è stata tuttavia mantenuta. Forse non sono stata io in grado di cogliere il messaggio dell'autrice, ma, in verità, questo romanzo non si è dimostrato all'altezza delle mie aspettative e dopo un'inizio promettente si è perso per strada, non riuscendo a trasmettere il pathos e il coinvolgimento che mi sarei aspettata. 

Sono mesi che mi tormenta ai limiti dello stalking. Ragionare con lei è impossibile. Non vuole la soluzione più efficace sul piano dei diritto. Vuole che qualcuno le restituisca la vita che ha perso. O almeno un responsabile su cui infierire. Un cadavere per placare la rabbia. Tutte cose che io non posso darle.

Rosita è una ragazza fuggita dal sud e da una madre oppressiva, che vive a Padova dove frequenta con scarsi risultati la facoltà di Medicina. La sua vita sembra destinata ad un grigiore perenne: una vita modesta, niente amici né relazioni stabili, nessuno con cui condivider il peso dei propri fallimenti. Un giorno incontra per un caso fortuito un ricco e stimato professionista, l'avvocato Lepore, che rimasto colpito dalla sua situazione le offre il suo aiuto, assumendola part-time nel suo studio.
Nonostante l'apparente atto di disinteressata generosità, l'avvocato Lepore si rivela ben presto tutt'altro che un benefattore:  Rosita scopre velocemente di essere al cospetto di un uomo cinico, imprigionato dalla propria visione del mondo e dal bisogno di catalogare tutte le persone che incontra. In particolar modo, sembra provare una particolare avversione per l'intero genere femminile: come reagirà Rosita alle sue continue provocazioni? Riuscirà, nonostante la sua fragilità emotiva, ad opporsi al soverchiante maschilismo del suo titolare o né rimarrà schiacciata?

A un certo punto ho capito che continuare a sperare era solo una scelta tossica. A partire dai quattordici anni nella mia testa ha cominciato a prendere forma un pensiero spontaneo e ossessivo di cui mi vergognavo a morte, ma che non riuscivo a censurare: “Devo andarmene da questa casa o mi verrà una brutta malattia”. Per molto tempo non ho avuto il coraggio di farlo. Poi mi sono detta che dovevo tentare, e alla fine, non so bene come, ci sono riuscita. Perché sapevo che là dentro sarei morta. E io invece volevo vivere.

Andando avanti nella lettura emergono i veri motivi alla base della misoginia dell'avvocato Lepore: non aggiungo altro per no rivelare troppo della trama ma, a mio avviso, la ricostruzione del passato dell'uomo non basta a giustificare un così gretto atteggiamento. Probabilmente perché non appartengo alla categoria di chi giustifica gli errori del presente in nome delle sofferenze del passato.
D'altra parte non sono neanche riuscita a provare empatia per la protagonista: una ragazza insicura, quasi al limite dell'o sprovveduto, che si lascia coinvolgere in maniera del tutto passiva in torbidi intrighi pur di non perdere quel briciolo di sicurezza che le era stata donata. Nemmeno il twist in the end è riuscito farmi ricredere e risollevare un romanzo che, per la maggior parte del tempo, naviga tra le acque poche profonde della noia.
L'animale femmina ci consegna un quadro fosco dei rapporti tra uomini e donne (ma non solo), dominati dalle menzogne e dall'egoismo, in cui sono proprio le donne ad avere la peggio, vittime delle proprie illusioni, imprigionate in storie a senso unico, in cui donano tutto senza ricevere nulla in cambio. Come se l'amore potesse prescindere dal rispetto di sé. Come se l'amore fosse una stampella. Come se l'amore dovesse colmare l'immenso buco generato dalle proprie insicurezze. 
Ma davvero nel 2018 si può ridurre la complessità delle relazioni umane al ruolo dell'"animale femmina", ossia ricorrendo allo stereotipo della naturale tendenza delle donne a sottomettersi alle pretese maschili?  


Indicazioni terapeutiche: per chi vuole scavare nell'animo umano.

Effetti collaterali: La misoginia non trova giustificazioni, così come il becero femminismo che assolve le donne a prescindere in quanto tali. Su un punto Emanuela Canepa non ha fatto differenze: tutti i personaggi del racconto sono ugualmente colpevoli, vittime e carnefici, costretti a convivere con le proprie cicatrici e con il rimorso del dolore inflitto a chi più amavano.


mercoledì 1 agosto 2018

Oceano Mare di Alessandro Baricco


Una visione onirica, una carrellata di immagini e situazioni che ammaliano il lettore, un libro senza trama apparente che mischia poesia e filosofia. Un balsamo per l'animo. Questo e molto di più è stato per me, Oceano Mare.
In bilico sull'orlo della terra, cullato dalla preghiera incessante del mare, sorge un luogo fuori dal tempo, la Locanda Almayer, dove le persone si rifugiano per guarire, o più spesso, per sfuggire ai mali del mondo. Scorrendo le righe incontriamo il pittore Plasson, che cerca di dipingere dove inizia il mare; la bella Elisewin, talmente fragile da aver paura perfino del rumore dei suoi passi; il professor Bartleboom che sta scrivendo un'enciclopedia sui limiti. E Ann Deverià che deve guarire da una strana malattia, l'adulterio. E ancora il misterioso Adams, che nasconde un terribile segreto.


Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio. Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità. 

Cosa lega questi personaggi? In apparenza, nulla. In realtà, tutto. Lo stesso spasmodico bisogno di trovare un senso, una strada tra le infinite possibilità, una pace che metta a tacere i tumulti del cuore, che mormora incessantemente come le onde che si infrangono sulla battigia.
È proprio il mare l'unico comune denominatore.
Il mare con il suo ventre marino capace di dare la vita ma anche di toglierla, culla segreta di antichi misteri, teatro di naufragi e terribili sciagure, capace di portare un uomo alla pazzia ma anche di guarirlo.
Il mare amico fidato, indifferente spettatore, rasserenante compagno, gelido nemico.
Il mare fine ultimo e principio di ogni cosa.


Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi. E qualcuno un padre, un amore, qualcuno capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume immaginarlo, inventarlo e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio. Questo, davvero, sarebbe meraviglioso. Sarebbe dolce, la vita, qualunque vita. E le cose non farebbero male, ma si avvicinerebbero portate dalla corrente, si potrebbe prima sfiorarle e poi toccarle e solo alla fine farsi toccare. Farsi ferire, anche. Morirne. Non importa. Ma tutto sarebbe, finalmente, umano.

Su Alessandro Baricco è già stato tutto. Il mondo dei lettori si divide tra chi lo ama e chi non lo sopporta. Personalmente, credo che i giudizi sugli autori lascino il tempo che trovano, ciò che mi interessa sono i libri, e come quest'ultimi ci parlino, ci coinvolgano, ci emozionino.
Oceano Mare è un libro di un'intensità sconvolgente, un concentrato di lirismo e suggestione, di difficile definizione. Non è un romanzo nel senso stretto del termine: a tratti sconfina talmente nel surreale da sembrare un fiaba, altre volte ancora trascende nella metafisica.


Io non è che volevo essere felice, questo no. Volevo...salvarmi, ecco: salvarmi. Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri. Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l'onestà, essere buoni, essere giusti. No. Sono i desideri che salvano. Sono l'unica cosa vera. tu stai con loro, et i salverai. Però troppo tardi l'ho capito. Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile: e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti male.

Un'opera dalla molteplici interpretazioni che ho fatto fatica ad inquadrare, ma che più probabilmente fugge ad ogni tentativo di banale classificazione. La verità è che la scrittura di Baricco è talmente evocativa e visionaria che sembra cantare come una sirena, ammaliando il destinatario, che si lascia travolgere con piacere, abbandonandosi senza riserve e lasciandosi guidare, così come il mare ipnotizza e sconvolge, spaventa e affascina, in un abbraccio da cui è impossibile sciogliersi.


Indicazioni terapeutiche: per chi cerca un senso, sapendo che non lo troverà.

Effetti collaterali: il capitolo sul naufragio è da pelle d'oca. Impossibile non andare con il pensiero ai fatti di cronaca legati alle tragedie degli sbarchi dei tanti disperati che fuggono dalla miseria e dalla guerra in cerca non dico di un futuro migliore, ma almeno possibile. Un racconto di una brutalità a tratti intollerabile ma che descrive a pieno la disumanità di certe situazioni. E dell'uomo, che tra tutte le bestie è la più crudele.




mercoledì 25 aprile 2018

E tu splendi di Giuseppe Catozzella


Arigliana, un paese inventato incastonato tra le colline lucane, è il teatro di una storia in cui si intrecciano l'innocenza del protagonista, appena bambino,  e la brutalità di un mondo che fa sconti a nessuno.
Pietro, dopo essere stato bocciato a scuola, viene mandato dal padre a trascorre l'estate, assieme alla sorella Nina, a casa dei nonni. Pietro si sente solo: la mamma è "andata avanti",  ad aspettarli in un posto migliore. Ma a lui non importa, continua a parlarle e a chiederle consiglio ugualmente, anche se ogni volta che lo fa avverte una morsa alla pancia. La nostalgia che lo assale in alcuni momenti è talmente forte che assume le sembianze di un cane che gli lacera la carne. Un dolore sì forte ma che nel tempo è diventato così familiare che Pietro gli ha dato un nome: Canetto.

Certe volte mi prendeva tutto un desiderio di essere di più di me, mi sentivo così piccolo e così grande insieme che sarei voluto scoppiare, e quella era una di quelle volte.

La vacanza al paese dei nonni materni sarebbe dovuta essere come una boccata d'aria fresca, il ritorno ad una tranquillità perduta, ma non andrà così. Il lento tran-tran del piccolo paese di case di pietra è destinato infatti ad essere travolto per sempre: ad Arigliana arrivano gli stranieri. La comparsa sulla scena di un gruppo di immigrati verrà accolta con astio dagli abitanti che, chiusi nella loro diffidenza, non sembrano, almeno in un primo momento, disposti ad accettare di buon grado i nuovi venuti.
Si sa, le novità spaventano, perché non è possibile controllare ciò che non si conosce.
Ma come sempre accade, ogni cambiamento, pur piccolo che possa essere, è destinato ad innescare un'imprevedibile catena di eventi. Saranno proprio i nuovi arrivati infatti a dare il via a un tentativo di rivalsa, riattizzando una voglia di lottare che sembrava sopita per sempre, tornando a far vibrare la speranza di un Sud, stanco e rassegnato, in cui si mescolano sogni e disillusioni. Tutto è destinato a trasformarsi o si tratta soltanto di un miraggio?

Poi si è girato verso il quadretto appeso in cucina, e mi ha chiesto di leggere quello che c'era scritto. Io non avevo voglia, ma nonno ha insistito. Così ho letto. «Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né la speranza, né la ragione, né la storia,» ho detto.

Giuseppe Catozzella, dopo il successo del romanzo Non dirmi che hai paura, torna ad affrontare uno dei temi più attuali e dibattuti dei nostri tempi, quello dell'immigrazione. Ma non solo. Questo libro non fa riflettere soltanto su tematiche come l'integrazione, la paura del diverso, il razzismo; l'autore sceglie infatti volutamente di ambientare il suo racconto in un paese del profondo Sud Italia, dove neanche Cristo è mai arrivato. Un luogo fuori dal tempo, che incarna tuttavia una certa mentalità italiana, quella rassegnata all'inefficienza, all'ingiustizia, al malaffare. Chi ci vive è condannato ad un'esistenza vissuta all'ombra di uno spettro, quello della mafia, che spegne ogni iniziativa, soffocando qualsiasi seme di speranza o volontà di cambiamento.

Io i miei nonni li odiavo, perché ai miei nonni mancava l'unica cosa che fa di un uomo un uomo: il coraggio.

Eppure un barlume di speranza è possibile. Nonostante la xenofobia, l'ingiustizia, la rabbia, sembra voler dire l'autore, si può scegliere: scegliere di non arrendersi, di non perdere la voglia di lottare, di vivere, di splendere. Catozzella sceglie di raccontare e raccontarsi attraverso gli occhi del protagonista, uno sguardo carico di fragilità, capace tuttavia di cogliere le spietate contraddizioni della nostra società, in cui imperversa una guerra tra poveri, mentre chi fomenta l'odio e l'intolleranza si arricchisce in silenzio. Perché le cose che salvano nella vita sono salate: le lacrime, il sudore, il mare. 

Indicazioni terapeutiche: per chi lotta contro il pregiudizio per essere migliore, per chi vede nel diverso un'opportunità, per chi non si rassegna alla prevaricazione.

Effetti collaterali: La grande assente d questa storia è la mamma di Pietro. È lei che consegna al figlio il messaggio che racchiude la lezione profonda di questo romanzo. Mai abbandonarsi alla paura. Mai rinunciare. mai chiudersi in sé stessi. Anche se il mondo è un luogo spaventoso, senza pietà, crudele.  Anche se il nostro unico desiderio è chiudere tutto il male fuori.“E TU SPLENDI.”
E' questo il testamento spirituale che la mamma consegna al figlio, citando - come spiega lo stesso Catozzella -la trascrizione sbagliata di uno stralcio dalle “Lettere luterane” di Pier Paolo Pasolini: “Ti insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece.”


venerdì 13 aprile 2018

Mi vivi dentro di Alessandro Milan



Non tutte le storie d'amore hanno un lieto fine, ma non per questo non meritano di essere vissute, o raccontate. Questo libro è la testimonianza di un sentimento che semplicemente non finisce, ma va oltre. Oltre la morte, la malattia, la sofferenza.

"Io non sarò mai la mia malattia" diceva Francesca. Era il suo urlo di rabbia contro il tumore, era il motivo che la spingeva a mettere su il suo bel musino di tolla e a parlarne con il sorriso sulle labbra. Questa invece è, a oggi, la mia debolezza più grande. Quella malattia che lei, anche se in modo tragico, alla fine ha messo via, per me è ancora una ferita aperta. E come tutte le ferite, brucia. Vorrei ascoltare le righe di Wondy e riuscire a sorridere. 

Alessandro e Francesca sono una coppia come tante, o forse, come poche, innamorata e affiatata, quando nella loro vita irrompe il tumore. Francesca è una piccola donna dagli immensi occhi blu e i biondi capelli arruffati, fragile solo all'apparenza. Francesca è una forza della natura, coraggiosa, positiva, sempre allegra: è una Wonder Woman in carne ed ossa, per questo per gli amici è semplicemente Wondy. Con l'innato entusiasmo che la contraddistingue affronterà ogni visita, ogni ricovero, ogni ricaduta, scegliendo di raccontare, per essere un'ispirazione per altri malati come lei, la sua battaglia in un libro.
Accanto a lei suo marito, il suo compagno di vita, che ha vissuto con lei quel viaggio senza ritorno, cercando di barcamenarsi tra il timore di non essere abbastanza e la paura del futuro, un futuro nel quale sarebbe rimasto da solo a lottare contro i fantasmi di una disperazione troppo grande da arginare.


Oggi è un signor bonsai. Ha affrontato il gelo dell’inverno, ha superato l’abbandono di chi si doveva prendere cura di lui, ha attraversato il dolore dell’assenza da solo. Chissà, a un certo punto avrà anche pensato di lasciarsi andare. Ma oggi splende. Di verde smeraldo. Il “dopo” nel quale prendersene cura è arrivato,quando sembrava troppo tardi. Invece non è mai troppo tardi. Oggi, quel bonsai sono io. 

Questo libro parla di lui. Del suo tentativo di essere all'altezza della donna che aveva amato, di non lasciarsi schiacciare, di essere forte per sé stesso e per i suoi due figli, Mattia e Angelica.
Come si fa?
Come si sopravvive alla notizia che tua moglie ha un mese di vita? Come riesci a guardarla negli occhi, sapendo il poco tempo che vi resta da vivere insieme?
Alessandro Milan, giornalista di Radio24, riesce a verbalizzare, senza troppa retorica o inutile pathos, un dolore indicibile. Lo fa in nome di un obiettivo più nobile, testimoniare che non solo un percorso è doveroso, ma è possibile tornare a sorridere, salvarsi, andare avanti. Soprattutto, continuare a vivere.
Mi vivi dentro è un inno alla resilienza: la morte fa parte della vita, così come la sofferenza, ma si può scegliere. Scegliere di non accartocciarsi su sé stessi, ma farsi attraversare dalle emozioni negative, morire un po' per rinascere. Un po' ammaccati, fiaccati, spezzati, ma più forti prima.


Indicazioni terapeutiche: per i resilienti, per chi è sopravvissuto, per chi ogni giorno si veste del suo miglior sorriso per affrontare il mondo.

Effetti collaterali:  Non vi racconterò stupide favolette. Wondy ha perso la battaglia. Perché lei voleva vivere. Francesca amava follemente vivere. Se cercate l'happy ending questo libro non fa per voi. Ci si commuove e si piange, molto. Ma anche se quella di Alessandro e Francesca non è una favola, qualcosa insegna. L'unico modo per vivere veramente a pieno la propria esistenza è vivere senza paura.

lunedì 26 marzo 2018

L'Agnese va a morire di RenataViganò

Leggere un romanzo che affronta un tema come quello della Resistenza significa prima di tutto interrogarsi su quanto oggi abbia senso parlare a distanza di oltre 70 anni di quegli anni, la guerra, l'occupazione tedesca, il fascismo, la guerra civile.
Il riaccendersi di sentimenti nostalgici e il ritorno in auge di gruppi politici come Casa Pound e Forza Nuova, ci impone di interrogarci sul fatto che se questi gruppi neo-fascisti siano da considerarsi o meno un pericolo per la nostra democrazia. Non si tratta tuttavia soltanto del ritorno di slogan come “Prima gli italiani” o di invocare l’uomo forte della Provvidenza che riporti l’Italia ai suoi antichi fasti, ma siamo di fronte al perpetuarsi di conflitti, come quello in Siria, che vede, come sempre, come vittime al primo posto, i civili.

L'Agnese va a morire è un romanzo che parla della guerra che irrompe nella vita di una donna, l'Agnese, portandole via tutto, suo marito "il Palita", la sua casa, la sua quotidianità.
Sarà un episodio apparentemente banale, un soldato tedesco ubriaco che spara per gioco alla gatta Beniamina, ultimo rimasuglio di un'idea di famiglia squarciata dall'occupazione nazista e dalla guerra civile, a innescare una catena di eventi inarrestabile. In preda alla rabbia, l'Agnese abbraccia un fucile e colpisce il soldato addormentato, innescando la rappresaglia del nemico che la costringe a fuggire e darsi alla macchia. Nello stesso  momento in cui dà la morte firma per riceverla, contrassegnando il suo destino: andare a morire.

Aveva ragione l'Agnese. "Quello che c'è da fare, si fa". Lei era abituata a contare poco sugli altri. Da tutta la sua vita, più di cinquant'anni, si arrangiava da sola. Si sentiva un po' stanca, le pareva che il cuore fosse diventato troppo grande, una macchina nel petto, una cosa estranea e meccanica che andava per suo conto, e lei faticava a portarla in giro. Non pensava mai a quello che avrebbe fatto dopo la guerra. Ne desiderava la fine per "quei ragazzi", che non morisse più nessuno, che tornassero a casa. Ma lei non aveva più la casa, non aveva più Palita, non sapeva dova andare.

Lasciandosi la sua vecchia vita alle spalle, l'Agnese si unisce ai partigiani: essendo poco tagliata per la battaglia, si occupa dell'approvvigionamento dell'accampamento diventando quella figura materna di cui i combattenti avevano un disperato bisogno. Nel campo nascosto tra i canneti delle valli di Comacchio, trova quasi una sorta di nuova dimensione, una specie di famiglia allargata di cui prendersi cura, un nuova spinta per vivere e sopravvivere.
Ma è solo un'illusione fugace. La Guerra non è altro che un oceano di lacrime e sangue, di morte e solitudine.


C'era però chi diceva qualche cosa: il partito,i compagni, tanti uomini, tante donne, che non avevano paura di niente. Dicevano che così non poteva andare, che bisognava cambiare il mondo, che è ora di farla finita con la guerra, che tutti devono avere il pane, e non solo il pane, ma anche il resto, e il modo di divertirsi, di essere contenti, di levarsi qualche voglia. I fascisti non volevano, e loro ci si buttavano contro malgrado la prigione e la morte.

L'autrice tratteggia una protagonista, ispirata ad una donna realmente esistita, indimenticabile: l’Agnese è una donna che non si ferma davanti a nulla, che agisce e basta perché è l'unica cosa che possa fare, che possano fare tutti quelli che hanno abbracciato la causa partigiana, sotto la pioggia, nell'afa insopportabile, bagnati fradici, nella nebbia, nel fango e nel freddo dei boschi.
L’Agnese, come lascia presagire il titolo, morirà catturata durante un rastrellamento, portando a compimento il fato che si era scelta. Una fine ingloriosa. Del suo ardore, del suo coraggio, della sua tempra non resta che un mucchio di stracci neri sulla neve.
Renata Viganò rende merito con quest'opera a tutti i Palita, a tutte le gatte Beniamina, alle centinaia di vittime senza nome, all'Agnese e a tutte le donne che si unirono alla causa.  Un inno all'eroismo sfrontato di tutti coloro che hanno lottato fino a "trovarsi nella folla che ha costruito la strada della libertà".


Indicazioni terapeutiche: per chi vuole ripercorrere la nostra storia, immergendosi negli anni in cui affondano le radici della democrazia in cui viviamo oggi.

Effetti collaterali: Prime della morte del marito, l'Agnese non si era mai occupata di politica, dal momento che riteneva si trattassero di "cose da uomini". Ma la sua perdita è destinata a cambiare le sue priorità: il partito e la lotta armata diventano lo strumento per superare la distinzione della società tra ricchi e poveri, tra vittime e carnefici, tra chi domina e chi è dominato. La Resistenza si configura non più soltanto come una guerra di liberazione ma come un movimento finalizzato alla costruzione di un paese giusto ed ugualitario, dove tutti possano aspirare non solo a sopravvivere ma ad amare, divertirsi, essere felici . Questo era il partito, e valeva la pena di farsi ammazzare.


venerdì 16 marzo 2018

Mi chiamo Lucy Barton di Elizabeth Strout



New York. Una camera di ospedale dalla cui finestra si coglie lo spettacolo della vetta scintillante del Chrysler. Dentro due donne che non si vedono da tanto tempo. Una è ricoverata a seguito delle complicanze di un intervento chirurgico, l'altra la assiste.
Nell'arco di pochi giorni, cinque per l'esattezza, parleranno come non hanno fatto mai e come non faranno più. Le due donne non sono persone qualunque, ma sono legate dal legame più ancestrale e contraddittorio che possa esistere: sono madre e figlia.


E quella sera, nella stanza dell'ospedale, mia madre era la madre che avevo sempre avuto, per quanto diversa potesse sembrare con quella voce quieta, inderogabile, e la faccia più tenera del solito.

La voce narrante appartiene alla figlia, ricoverata a causa di una misteriosa infezione, che, con suo grande stupore, vede apparire al suo capezzale la madre che non vede da molto tempo.
"Ciao Bestiolina". Due semplici parole capaci di spazzare via l'assenza di anni.
L'asettica stanza dell'ospedale prenderà vita popolandosi di figure che arrivano dalla provincia dell'Illinois: alla protagonista non resterà che ascoltare dalla voce calma e rassicurante di sua madre, così diversa da come la ricordava,  il racconto delle disavventure dei suoi ex concittadini, persone che credeva di aver dimenticato, perché tornino a galla i dolorosi ricordi della sua infanzia. La miseria, gli abusi, il senso di inferiorità.
Il racconto diventa allora un patto di tregua, un modo per riannodare un filo spezzato, un legame sepolto dalle incomprensioni e dalla lontananza.
Ma come si parla alla propria madre quando il silenzio ha ricoperto anni di sofferenza e povertà, quando la tua vita è piena di non detti, quando la persona che avrebbe dovuto proteggerti è quella che ti ha ferito maggiormente?
Il passato è un fardello è troppo pesante. Eppure sua madre è lì accanto a lei, nel momento in cui ne ha più bisogno, senza allontanarsi né dormire mai.


Mi meraviglia come riusciamo a trovare modi per sentirci superiori a un'altra persona, o a un gruppo di persone. Succede dappertutto, di continuo. Comunque lo si chiami, a mio giudizio è il fondo del barile di chi siamo, questo bisogno di trovare qualcuno da snobbare

Mi chiamo Lucy Barton è un romanzo breve, quasi asciutto, mai banale però . Solleva al contrario numerosi riflessioni sull'importanza della famiglia di origine, delle radici, di certi vuoti che non si placano mai.
Il dolore dei figli dura per sempre. Questo sembra essere il messaggio che Elizabeth Strout ci consegna.
L'amore tra una madre e i suoi figli è grande, grandissimo, immenso, ma anche imperfetto. Quando la tua vita è piena di verità taciute,  perdonare chi  al tempo stesso è sia la fonte del tuo dolore e delle tue insicurezze sia una persona che non puoi fare a meno di amare diventa un'impresa destabilizzante. Tuttavia fare pace con questa amara consapevolezza, accettare cioè l'idea che le persone non siano come noi le avremmo volute è un primo doloroso passo verso una vita serena e piena.



Indicazioni terapeutiche: per chi ha fatto pace con i fantasmi del proprio passato e ha deciso di guardare avanti.

Effetti collaterali: Come si conquista  la felicità se non ci è stato insegnato l'amore?
Attraverso il racconto di sé stessi e su sé stessi.
La protagonista di questo romanzo persegue la ricerca  del suo equilibrio per mezzo della passione per la scrittura. Perché come dice la Strout ciascuno ha soltanto una storia. Scriverete la vostra unica storia in molti modi diversi. Non state mai a preoccuparvi. Tanto ne avete una sola.


sabato 3 marzo 2018

Stoner di John Williams


Si dice che Dio stia nei dettagli. Che la grandezza si nasconda nelle pieghe più umili nella vita, nei dettagli appunto, che restano invisibili agli occhi disattenti della maggior parte delle persone.In questo senso, Stoner è un romanzo quasi perfetto, perché seppur apparentemente incentrato su una storia banale, una vita piatta, costruisce un universo denso di significati, catapultandoci nel mondo interiore del protagonista.  Se raccontare in maniera epica una vita avventurosa è difficile, come si può definire la capacità di glorificare una vita ordinaria? Il genio di un fuoriclasse?
Di certo c'è del talentuoso in John Williams, che riesce nella mirabolante impresa di dare vita ad un romanzo destinato a diventare un classico della letteratura americana. Uscito più di cinquanta anni fa, nel 1965, questo libro è stato ripubblicato nel 2013, diventando, grazie al passa-parola,  un caso editoriale, tanto che Tim Kreider sul New Yorker lo ha definito il "più grande romanzo americano di cui non avete mai sentito parlare".

La Verità, il Bene, il Bello. Sono appena dietro l’angolo, nel corridoio accanto; sono nel prossimo libro, quello che non hai ancora letto, o sullo scaffale più in alto, dove non sei ancora arrivato. Ma un giorno ci arriverai.

William Stoner è un semplice ragazzo di campagna, figlio di contadini nel Missouri, destinato a spaccarsi la schiena, come suo padre prima di lui, piegato su un arido pezzo di terra. Iscritto alla facoltà di Agraria, rimane folgorato dall'amore per la letteratura inglese e, unico colpo di testa della sua vita, decide di abbandonare la strada che qualcun'altro aveva tracciato per lui per intraprendere la carriera di ricercatore universitario.

A quarantatré anni compiuti, William Stoner apprese ciò che altri, ben più giovani di lui, avevano imparato prima: che la persona che amiamo da subito non è quella che amiamo per davvero e che l’amore non è una fine ma un processo attraverso il quale una persona tenta di conoscerne un’altra.

L'intera esistenza di Stoner sarà in realtà condannata ad una sorta di limbo, una zona grigia, come se il protagonista non fosse capace di scrollarsi di dosso la mediocrità e la malinconia che lo affliggono, come una strana malattia da cui non riesce a guarire.
Tutto lo sviluppo di romanzo è caratterizzato infatti dalla forte contrapposizione tra il mondo interiore del protagonista, ricco di sfaccettature, e l' apparente distacco con cui vive ogni tappa della propria vita.  Stoner sopravviverà ad un matrimonio profondamente infelice, alla stroncatura della sua carriera accademica, all'impossibilità di costruire un rapporto con la figlia. Si farà scivolare addosso l'odio della moglie e le scorrettezze dei colleghi, armato soltanto di un ostinato stoicismo e di un fatalismo, che affondano le radici in una caparbia etica del sacrificio, eredità dei suoi antenati.

Bisogna innamorarsi, per capire un po’come si è fatti.

Stoner è un personaggio che commuove, impietosisce, scuote. Che irrita per la pacata rassegnazione con cui affronta la vita.  Stoner è il nostro vicino di casa, la persona che fa la fila alla posta accanto a noi, il vecchio seduto da solo al giardinetto. Il prototipo dell' uomo ordinario che vive una vita ordinaria del tutto priva di qualsiasi colpo di scena.
Ma se si è capaci di grattare la scorza della superficie c'è molto di più. Stoner è anche passione intellettuale, dedizione al lavoro, coerenza e senso di responsabilità. Stoner è la sensibilità e la capacità di guardare il modo e di emozionarsi, di capire, in fondo, che la nostra vita è tutto qui.
Stoner siamo un po' tutti noi.


Indicazioni terapeutiche: per chi crede che la vera impresa eccezionale sia essere ordinari.

Effetti collaterali: Stoner rinuncia all'unico amore che abbia mai conosciuto. Lo fa senza rancore né acredine. Anzi il ricordo di quel germoglio di felicità lo accompagnerà per il resto della sua vita.
Può l'amore di pochi mesi bastare per un 'esistenza intera?
Il protagonista non rimpiangerà mai il suo passato, né si farà domande.
D'altra parte, questo è un romanzo che non da' risposte, ma che lascia al contrario tanti interrogativi inespressi, spingendo ciascun lettore a riflettere sul modo in cui conduce la propria esistenza.