martedì 20 dicembre 2016

Il prigioniero del cielo di Carlos Ruiz Zafon




Come si suol dire non c'è due senza tre. Non avevo ancora chiuso l'ultima pagina de Il gioco dell'angelo che mi sono gettata nelle atmosfere de Il prigioniero del cielo, impaziente di ritrovare Daniel, Fermin, David, i personaggi a cui mi sono affezionata.
Sarò sincera mi aspettavo che questo romanzo rispondesse a tutte i quesiti sollevati nei primi dalla penna di Zafon. Missione compiuta?
In parte.
Possiamo dire che questo terzo capitolo si configura come un libro di raccordo, che tira la fila degli eventi già raccontati, mettendo in luce collegamenti che erano rimasti nascosti, e al, tempo stesso, getta le basi per il quarto capitolo, Il Labirinto degli Spiriti.


Un buon bugiardo sa che la menzogna più efficace è sempre una verità a cui è stato sottratto un elemento fondamentale.

Torniamo di nuova a Barcellona, questa volta nel 1957. Daniel Sempere è ormai adulto: si è sposato con Bea e lavora nella libreria di famiglia. Sembrano ormai dimenticati le inquietudini della giovinezza, quando inseguiva il fantasma di Julian Carax.
Una mattina, mentre si trova da solo, entra nella libreria un uomo piuttosto strano per acquistare una rara copia del Conte di Montecristo come regalo per Fermin, con tanto di dedica sibillina: “A Fermin Romero de Torres, che è tornato dal mondo dei morti e possiede la chiave del futuro. Firmato 13”.
Scosso da questo incontro per nulla piacevole e preoccupato per l'evidente stato di ansia dell'amico, Daniel chiede a Fermin cosa lo turbi. Il suo racconto aprirà una porta sul doloroso passato che è tornato a tormentarlo.
Attraverso un flash back, torniamo quindi indietro di venti anni, scoprendo in tal modo l'intera storia di Fermìn, cos'è successo davvero a Isabella, la madre di Daniel, e che fine ha fatto David Martìn.


- Le fa ancora male?
- A volte.
- Le cicatrici non se ne vanno mai, non è vero?
- Vanno e vengono, credo.


Il prigioniero del cielo ruota indiscutibilmente intorno al personaggio di Fermin, che attraverso i suoi ricordi ci trascina dentro gli orrori della Spagna franchista, la false accuse, la prigione, le torture e l'ascesa di personaggi viscidi e senza scrupoli, come Mauricio Valls, direttore del carcere di Montjuïc.
È lui, la spia ironica e sagace, il buono della storia, l'unico che resta sempre fedele a sé stesso e ai suoi valori, la lealtà e l'amicizia. Nonostante le sofferenze subite, in lui è rimasta una luce, capace di scaldare chi lo circonda. Se Andreas Corelli è il Diavolo tentatore, Fermin, in chiave antitetica, simboleggia l'angelo custode, colui che dall'ombra si prende cura dei suoi protetti.


Il futuro non si desidera, si merita.

Zafon ci consegna un libro, certamente meno articolato ( e purtroppo anche meno corposo) dei precedenti, che ruba spazio all'azione per dedicarsi maggiormente alla dimensione affettiva e introspettiva dei personaggi. L'animo umano si configura come un campo di battaglia tra sentimenti opposti che scuotono gli attori in scena, come se i tumulti interiori non fossero che un riflesso della violenza che alberga nel mondo reale.
Come nelle sue altre opere, lo scrittore spagnolo mischia con sapienza realismo e mistero, paura e coraggio, bene  e male, creando un mix perfetto che tiene incollato il lettore alle pagine. Il finale aperto vi lascerà col fiato sospeso, costringendovi a correre in libreria per sapere come va a finire la storia.

Indicazioni terapeutiche: per chi ama Zafon e la Barcellona creata dalla sua penna.

Effetti collaterali: Non esiste una ricetta magica che ci tenga al riparo dalle delusioni, dall'amarezza, dai rimorsi. Vivere implica imparare a gestire la rabbia, la frustrazione, il dolore. Non c'è altra via che convivere con la parte più buia di noi. L'alternativa è la pazzia.


martedì 13 dicembre 2016

Il gioco dell'angelo di Carlos Ruiz Zafon


Chiusa l'ultima pagina de L'ombra del vento, non vedevo l'ora di rituffarmi nelle atmosfere della Barcellona che scaturisce dalla penna di Zafon. Il gioco dell'angelo è una sorta di prequel: in questo secondo capitolo della tetralogia Il cimitero dei libri dimenticati facciamo un salto indietro. Ci troviamo infatti negli anni '20 e, con lo scorrere della pagine, capiamo che c'è un filo conduttore che, come è prevedibile che sia, lega le vicende narrate nel primo romanzo.
David Martin è un ragazzino che, rimasto orfano, si guadagna da vivere lavorando in un giornale. Il suo sogno è quello di diventare uno scrittore famoso, come il ricco Pedro Vidal, l'unico amico che, mosso a compassione dalla vita che misera che conduce e dalla sua solitudine, cerca di aiutarlo. Sarà proprio Vidal a procurargli un ingaggio con due loschi editori per pubblicare una serie di libri con lo pseudonimo di Ignatius B. Samson.

So che alberga nel cuore grandi speranze, ma che nessuna di esse si è realizzata, e so che questo, senza che lei se ne renda conto, la sta uccidendo un po’ ogni giorno che passa. 

In realtà la vita di David continua ad essere un inferno: costretto a scrivere senza sosta per rispettare le scadenze del suo contratto, vittima di continui mal di testa, si chiude sempre più in sé stesso, passando i giorni e e le notti a scrivere, sepolto vivo nell'inquietante casa che ha deciso di affittare.
Quando l'unico romanzo che pubblica con il suo nome viene stroncato dalla critica e perde il suo unico vero amore, l'angoscia lo assale. Scopre, inoltre, di avere un tumore al cervello e di essere condannato a morire, solo e abbandonato da tutti come ha vissuto.
È allora che compare sulla scena un''inquietante personaggio, l'editore Andreas Corelli che gli promette 100.000 franchi e la guarigione in cambio del suo impegno per scrivere un libro che possa fungere da testo sacro per una nuova religione. David decide di accettare ma ben presto si rende conto di aver stretto un patto maledetto e di aver perduto la sua anima per sempre.

In questo romanzo ritroviamo alcuni elementi che assicurano la continuità con L'ombra del vento: il Cimitero dei libri dimenticati, la libreria dei Sempere e il personaggio di Isabella, che, come si intuisce già dalle prime righe, altri non è che la madre di Daniel. Ma in realtà è un libro molto diverso dal precedente. Più oscuro, più tetro, oserei dire, privo di speranza. Quando Martin accetta di scendere a patti con Corelli segna infatti in modo irrimediabile la sua esistenza. Non c'è ritorno, né via di scampo.

E ogni vita d'artista è una piccola o grande guerra a cominciare da quella con se stessi e con i propri limiti. Per raggiungere qualunque obiettivo, c'è bisogno prima di tutto dell'ambizione e poi del talento, della conoscenza e, infine dell'opportunità.

Ho letto molte recensioni  negative su quest'opera, ritenuta da molti troppo fantasiosa e sconclusionata. Non sono d'accordo.
Trovo che l'aver lasciato più spazio all'elemento sovrannaturale abbia dato una marcia in più a questa storia. Punto focale è il personaggio di Andreas Corelli, che, come tutti gli indizi fanno presagire , incarna l'alter ego di Lucifero, l'angelo caduto scacciato dal suo stesso padre. Ma esiste davvero questa diabolica figura o è solo il frutto della pazzia dello stesso David Martin?
Questa è una delle tante domande sollevate dalla storia che però non trovano  riposta nell'epilogo.
E qui veniamo alla seconda critica che molti hanno mosso a Zafon, il non aver saputo dare una spiegazione a tutti le questioni aperte durante il racconto. Il finale stesso, dall'alto valore simbolico, si presta inoltre a più letture.
Non ritengo che questa caratteristica sia giocoforza un difetto, o il risultato di un romanzo scritto frettolosamente. Il gioco dell'angelo è un libro a più livelli di significazione che affronta tematiche complesse come la fede, il rimorso, la disillusione, il dovere, prestandosi a molteplici interpretazioni. Non siamo di fronte al classico giallo, nel quale seguendo le mollichine lasciate lungo la strada, si giunge facilmente alla soluzione ma si tratta di un romanzo che chiama in causa il lettore e le sue competenze, richiedendogli uno sforzo cognitivo superiore alla media.
Credo che, in ogni caso, con la lettura del terzo volume, Il prigioniero del cielo, tutti gli elementi, anche quelli più confusi, diverranno più chiari.

Le interessano le stesse cose che a lei. I libri, la letteratura, l'odore di questi tesori che ha qui e la promessa di passione e avventura dei romanzi popolari. Le interessa sconfiggere la solitudine e non perdere tempo a capire che in questo schifo di mondo niente vale un centesimo se non abbiamo qualcuno con cui condividerlo. Già sa l'essenziale. Il resto lo impara e se lo gode strada facendo.

Personalmente ho amato questo libro, che mi ha ricordato nella prima parte le atmosfere di Dickens, mentre il corpo centrale del racconto è giocato sul filo dell'opposizione tra realtà e dimensione onirica, normalità e pazzia, tanto che lo stesso lettore non riesce più a scindere ciò che è un'allucinazione da ciò che non lo è. Nonostante le ombre, ho parteggiato sempre per il suo protagonista, un individuo dallo straordinario talento costretto a lottare con le unghie e coi denti per un briciolo di felicità, punito per aver osato volare troppo alto, condannato a ferire chiunque abbia mai amato.

Indicazioni terapeutiche: per chi ha letto L'ombra del vento.

Effetti collaterali: Per alcuni lo stesso Corelli non esiste ma è l'incarnazione del lato oscuro dello stesso protagonista, delle sue rabbie più nascoste, un mostro nato dal suo odio più profondo, un golem spaventoso nato per annientare tutti i suoi nemici. Il male che ci fa più paura non è forse quello che alberga nel nostro animo?



martedì 6 dicembre 2016

L'ombra del vento di Carlos Ruiz Zafon



Cosa c'è di meglio per un booklover di un romanzo che ha come protagonista un libro?
Questa non è una storia qualunque, ma parla di libri maledetti, di errori imperdonabili e amori perduti per sempre.
In una Barcellona  degli anni '40, avvolta dalla nebbia, grigia e minacciosa, Daniel Sempere, ragazzino figlio di un libraio, si imbatte casualmente nel romanzo di uno scrittore sconosciuto, le cui opere vengono sistematicamente bruciate da un losco individuo.

Una volta Julián ha scritto che le coincidenze sono le cicatrici del destino. Le coincidenze non esistono, Daniel: siamo solo marionette mosse dalla nostra incoscienza.

Il giovane Daniel, grazie all'aiuto dell'amico Férmin Romero de Torres, un individuo dalle mille risorse e dalla parlantina vivace, ricostruirà le vicende del misterioso scrittore, un complesso intrigo nel quale si intrecciano amore e odio, amicizia e tradimento, vita e morte. Scoprendo con crescente inquietudine che il fantasma dell'autore che insegue da così tanto tempo, gli assomiglia più di quanto vorrebbe ammettere.
La storia si sviluppa infatti su due diverse linee temporali: quella del protagonista e quella dello scrittore, Julian Carax, uniti da uno stesso destino, quello di vivere un amore impossibile, e condannati, sembra, ad essere vittime degli stessi errori.

"Scrivi dei libri. Scrivili per me. Per Penelope.”
Julian annuì, e solo allora comprese quando gli sarebbe mancato l'amico.
"E conserva i tuoi sogni." disse Miquel. "Non puoi sapere quando ne avrai bisogno."
"Sempre" sussurrò Julian, ma il ruggito del treno soffocò le sue parole.


Carlos Ruiz Zafon è riuscito a costruire un libro che fonde più generi: thriller, giallo, gotico, romanzo di formazione. Il risultato non è però un'accozzaglia di stili ma una storia ben congegnata, nella quale le tessere del puzzle sono destinate ad incastrasi alla perfezione.
Il personaggio a mio parere riuscito meglio è Fermin, che nasconde un passato di miseria con un surplus di ostentata allegria, dispensando saggezza e ottimismo. Simbolo di lealtà e fedeltà fa da contraltare all'antagonista della trama, l'ispettore Fumero, un individuo animato solo dall'odio e dal desiderio di una vendetta.


Si ama davvero una sola volta nella vita, Julián, anche se non ce ne rendiamo conto. 

L'ombra del vento, il primo romanzo della saga Il cimitero dei libri dimenticati ha sancito il successo di Zafon nel mondo. Quello che ho apprezzato  è soprattutto la capacità di questo scrittore di tratteggiare un universo di personaggi incatenati al loro fato, che si diverte a giocare con loro come fossero burattini, in una sorta di determinismo ineluttabile.  La stessa ambientazione,  una Barcellona teatro degli scontri della guerra civile, cupa, tetra, misteriosa e minacciosa, sembra incarnare le emozioni stesse degli attori di questa storia, piegati dal dolore e dal peso delle loro scelte.
Ma un barlume c'è. Il messaggio che lo scrittore vuole trasmettere è chiaro: l'importanza della letteratura. Le parole sono materia viva. Esse si animano e prendono vita ogni volta che qualcuno sfoglia una pagina di un libro. La parola scritta contiene in sé il dono dell’eternità , risuonando nel percorso di ogni lettore, incarnando le sue speranze o le sue delusioni più profonde.

Indicazioni terapeutiche: per chi ha lottato per un amore impossibile, per chi non si stanca di cercare la verità, per chi ha la fortuna di avere al suo fianco un amico fidato.

Effetti collaterali: Nei libri di Julian c'è un'idea che ho sempre sentito mia: continuiamo a vivere nel ricordo di chi ci ama. È questa l'unica vera immortalità: se si è stati amati, il proprio ricordo è destinato a non svanire mai.




Presentazione del libro "Non faccio finta" di Laerte Neri


C'è ancora spazio nel mondo di oggi per la poesia?
Quella dei versi stampati sulla carta che fruscia, quella che, a dispetto della forma e dei tempi, tocca qualche corda dentro di noi?
Per Laerte Neri sì.
Nasce così Non faccio finta, una raccolta di poesie pubblicata da Marco Del Bucchia Editore che vuole prima di tutto creare un momento di incontro, un ponte tra le persone. 
Mentre scrivere un racconto presuppone più tecnica, più ragione  e meno pancia, la poesia è soprattutto metafora, un linguaggio primario e primordiale che può emozionare o meno, ma, in ogni caso, arriva subito.
La poesia diventa un mezzo per cogliere l'invisibile, un modo per mettere in prospettiva gli avvenimenti, le sensazioni, gli umori.
Il titolo dell'opera richiama il primo componimento, nel quale l'io lirico confessa tutti i suoi limiti e le sue idiosincrasie. Ma non c'è resa, solo la presa di coscienza che la ricerca di un senso è possibile, basta non smettere di cercare.

Non faccio finta
Non faccio finta di essere un intellettuale,
però so pensare.
Non faccio finta di stare male.
a volte sono giù.
Non faccio finta di essere più di quel che sono
ma neanche meno.
Non faccio finta di non capire,
a volte sono lento.
Non faccio finta di essere preparato,
a volte non ho voglia di studiare.
Non faccio finta di essere gentile,
e a volte non  lo sono.
Non faccio finta di aver voglia di andare,
con loro non ci so comunicare. (...)





Il libro si divide in quattro macrosezioni:

  • La verità è ancora più in là, che ha come tema centrale la possibilità legata alla giovinezza, dove tutte le scelte sono ancora in divenire.
  • Con la paura per mano, che coincide con l'entrata nell'età adulta, una fase più matura e contraddistinta dal superamento di tutte quelle paure che da nemiche si fanno compagne di viaggio, legate al giudizio altrui, all'imponderabilità del futuro che perde parte delle sue attrattive, al timore di non essere "abbastanza".
  • Fra papaveri e fiordalisi e Cavalleggeri ( o della risata segreta dei cavalieri e dei cavali sensibili), la terza  e la quarta sono sezioni più libere. Uno dei focus è l'amore, non inteso come mero trasporto passionale, ma come progettualità, come cammino costruito giorno per giorno insieme all'altro. Un presente dove il possibile è ancora possibile, dove il divertimento e la leggerezza non sono perduti per sempre ma rivivono grazie alle emozioni, alla capacità di sentire. Perché se non senti l'amore, non puoi nemmeno riceverlo.

Una raccolta che, come lo stesso autore ha sottolineato, non ambisce a mandare nessun messaggio preciso ma cerca di far emozionare, riflettere, ricordare. Non c'è infatti un modo giusto per leggere una strofa, un significato precostituito, un messaggio implicito.


Corbezzolo
Vorrei essere il corbezzolo
che sta di lato a casa mia,
che è rigoglioso di frutti
e di fiori,
che è bellissimo anche se nessuno lo guarda,
che dona i suoi frutti anche se nessuno li mangia,
che è in armonia con l'azzurro di casa mia
e con l'orto di mio nonno
e con tutte le cose.


C'è semmai la ricerca di una verità, che non è mai assoluta, ma soggettiva e momentanea. "Leggendo la poesia giusta, contatto una parte profonda di me che bussa per essere ascoltata. - scrive Laerte Neri nella sua prefazione  - Scrivendo la poesia che mi scorre vicina, provo a dare un'identità alla mia verità (e anche una verità alla mia identità). Ecco, la ricerca della verità è la mia poetica. In queste poesie ho cercato una verità."
La verità ha a che fare con l'essere vivi, col sentire e il sentirsi. 
La poesia, come la letteratura più in generale, è come uno specchio, dove ognuno scorge qualcosa che risuona nel proprio percorso.
Questo è il lascito di cui questa opera ci fa dono. 
Un impulso vitale.
Un modo per riconnettersi con una propria parte di sé, quella bambina, quella adolescenziale, quella immatura, quella vera. Quella che è andata perduta. O forse no. Forse è sempre stata lì.





martedì 29 novembre 2016

Alle radici del male di Roberto Costantini




Dopo Tu sei il male ho sentito quasi il bisogno fisico di conoscere il resto della storia, il tormentato passato che ha fatto di Michele Balestrieri l'uomo che è diventato. Eccomi accontentata. Alle radici del male ha il pregio di trasportare il lettore indietro fino all'infanzia del protagonista, laddove tutto ha avuto inizio.

Libia, anni 60. Un Mike adolescente, cresciuto nel culto dello zio fascista,  cerca la sua strada, insofferente ai consigli del padre che lo vorrebbe più attento alle logiche di potere, meno idealista e più pragmatico. In un paese, diviso tra italiani e libici, tra la sabbia sollevata dal ghibli e il blu del mare, viviamo il suo l’amore per la vicina di casa americana Laura Hunt, e  il patto di sangue con Ahmed, Nico e Karim, la banda dei MANK, a capo di  una serie di attività illecite. Senza dimenticare la devozione per Italia, la madre così triste e solitaria, e l'attaccamento del giovane Balestrieri a valori quali lealtà, coraggio, sacrificio. Fa da teatro uno scenario politico in divenire, agitato da forze nascoste,  sullo fondo un intrigo internazionale e un accordo tra i poteri forti che precipiteranno la situazione, fino all'ascesa al potere di Gheddaffi e l'espulsione di ventimila italiani dalla Libia.

Roma, 1982. Balestrieri è un giovane commissario a cui non importa né degli altri, né del suo lavoro, né tanto meno di sé stesso. Incalzato dai ricordi, tiene a distanza il mondo, sicuro di aver perso tutto quello che valeva la pena possedere. Un bellimbusto più interessato alle donne ed alla bella vita che ai delitti. Ma il vento del cambiamento è pronto a soffiare ancora. Sarà l'omicidio di una giovane argentina a innescare una catena di eventi che lo catapulterà, suo malgrado, in quel passato da cui vuole solo fuggire. Nemici e alleati vecchi e nuovi lo accompagneranno in questa indagine che metterà finalmente la parola fine ai suoi tormenti e alle sue domande giovanili.

Roberto Costantini

Roberto Costantini costruisce un prequel ancora più intenso del primo libro.Sono rimasta ffascinata della prima parte, una sorta di romanzo di formazione che richiama le atmosfere del vecchio cinema, un film su tutti, C'era una volta in America di Sergio Leone. Una malinconia di fondo che pervade ogni pensiero, ogni riga, ogni pagina. Una nostalgia per una felicità perduta per sempre, un rimpianto che continua a vivere sopito nell'animo del tenebroso Balestrieri.

Indicazioni terapeutiche: per chi ha una dipendenza per le trilogie.

Effetti collaterali: Il supremo peccato. L'atto di uccidere. Prendere la vita di un altro essere umano. Per difesa, per vendetta, per odio, per amore. Cosa fa di una persona un assassino? Nessuno è malvagio. Semplicemente alcuni decidono di dimenticare chi sono.




lunedì 14 novembre 2016

Le ragazze di Emma Cline

Nelle prime ore del 9 agosto 1969, a Los Angeles, Sharon Tate, promettente attrice e moglie di Roman Polanski incinta di otto mesi, fu uccisa insieme ad altre quattro persone nella sua abitazione, una villa a Beverly Hills, da un gruppo di uomini armati che erano riusciti a entrare in casa sua. Gli assassini erano i seguaci di una setta guidata da Charles Manson, mandante degli omicidi, che fu condannato alla pena di morte, poi commutata in ergastolo.
Parte da qui, da questo massacro che  per la sua efferatezza e la violenza è diventato uno delle pagine più buie della storia americana, Emma Cline per costruire il suo romanzo d'esordio che, appena uscito, è già stato acclamato come uno dei successi di questa stagione,
Evie è una quattordicenne sola e in cerca dell'amore e dell'approvazione che non ha ricevuto dai genitori, quando si imbatte per caso in un gruppo di ragazze di una comune che orbita intorno alla figura di Russell, un capo carismatico dalla voce suadente e gli occhi ipnotici, capace di piegare la volontà altrui ai suoi voleri. 

Far parte di quel gruppo amorfo, convincersi che l'amore poteva venire da ogni direzione. così da non restare delusi se non ne veniva abbastanza dalla direzione sperata.

La protagonista rimarrà colpita da questo mondo senza regole, dalle ragazze del gruppo, libere e selvagge. Da Suzanne, la ragazza che avrebbe sempre voluto essere. Come attirata da una forza magnetica inarrestabile, si unisce al gruppo di Russel. Evie l'ingenua. Evie il bersaglio facile, esposto, ansiosa di concedersi. Evie che desidera ardentemente far parte di qualcosa.

Emma Cline
Inizia così un viaggio in un mondo parallelo, fatto di droghe, di abbracci mollicci, di sorrisi allentati, di falò allucinogeni e violenze travestite da gesti amorevoli. Fino all'epilogo, la violenza che si spoglia felina delle su vesti stracciate. Un orrore alimentato da un odio profondo, consumato quasi distrattamente, come si scarta una caramella appiccicosa.
Una Evie adulta, ormai scevra di qualsiasi di anelito e svuotata di ogni aspettativa, ripercorre i suoi ricordi, interrogandosi su cosa le abbia impedito di imboccare la strada sbagliata. Se, in qualche modo, si sia trattato di una diversa levatura morale o se sia stato solo merito del caso. È stata risparmiata davvero o in realtà non c'è mai stata per lei alcuna possibilità di salvezza, come se fosse stata condannata a rimanere per sempre quella ragazza sola e impacciata che nessuno ha mai amato veramente?

Io gliela invidiavo, quella fiducia, il fatto che qualcuno potesse cucire insieme le parti vuote della tua vita fino a farti sentire che sotto di te c'era una rete, capace di legare ogni giorno al successivo.

La ragazze è un romanzo forte e intenso, malinconico e crudo che si interroga sulle ragioni profonde che animano le persone, su ciò che distingue i buoni dai cattivi. Al centro del racconto non c'è il leader della comunità, ma loro, le ragazze. Helen con i codini e l'aria maliziosa. Donna dai modi sguaiati e la voce rozza. Roos schiva e silenziosa. Un universo di personaggi femminili che si muovono come stralunati pianeti, ansiose di piacere, di vivere aldilà degli schemi, lucciole impazzite intorno ad una luce troppo forte.

La resistenza che opposero aveva una sua folle dignità: nessuna era scappata. fino alla fine, le ragazze erano state più forti di Russell.

E poi c'e Suzanne, con i capelli neri e la sua bellezza selvaggia. Vicina e altezzosa allo stesso tempo. Capace di prendere Evie sotto la sua ala, compagne di un viaggio verso il nulla, così diverse ma così simili. Con la stessa fame che graffia l'anima, quella smania di amore e di carezze che spinge a compiere qualsiasi azione, anche la più brutale.


Indicazioni terapeutiche: per chi almeno una volta nella vita ha desiderato scardinare ogni imposizione, rompere ogni catena, vivere ogni sentimento in maniera assoluta. 

Effetti collaterali: il romanzo parla di un'ossessione, quella di Evie per Suzanne capace di annichilire tutto il resto. Nessuno era mai stato capace di guardarla davvero, perciò da un certo momento in poi era stata lei a definirla. A darle un posto dove valesse la pena vivere, anche se questo significava perdere tutto il resto. Demolire l'individualità, offrirsi in sacrifico come polvere all'universo. Perché a volte sentirsi importante per qualcuno è l'unica cosa che conta.


mercoledì 9 novembre 2016

Tu sei il male di Roberto Costantini


Acquistato per caso, Tu sei il male di Roberto Costantini si è rivelato uno tra i libri più avvincenti che mi sia capitato di leggere ultimamente. Non il solito thriller ma un romanzo che affronta tematiche più profonde, tanto che molti critici l'anno paragonato, per la sua complessità,  a Uomni che odiano le donne.
Quasi settecento pagine per questo affresco impietoso della società italiana a cavallo tra gli anni '80 e il 2006 che non fa sconti: il giallo di Costantini mette in scena una serie di delitti ad opera di un misterioso Uomo invisibile, sullo sfondo di un'Italia corrotta, dove si mescolano razzismo, piccola delinquenza, interessi della Chiesa, faccendieri corrotti e manovre politiche di sottobanco.

Il libro si divide in due grandi blocchi tra i quali intercorrono ventiquattro anni.
Roma, 11 luglio 1982. La sera della vittoria italiana contro i tedeschi, Elisa Sordi, giovane impiegata di una società del Vaticano, scompare nel nulla. L’inchiesta viene affidata a Michele Balistreri, giovane commissario di Polizia dal passato oscuro, che prende tuttavia sottogamba il caso. Solo quando il corpo di Elisa viene ritrovato sulle rive del Tevere si butta a capofitto nelle indagini. Troppo tardi. I suoi tentativi naufragheranno contro un muro di silenzi. Il caso resterà irrisolto.
Roma, 6 luglio 2006. Mentre gli azzurri battono la Francia ai Mondiali di Germania, Giovanna Sordi, madre di Elisa, si uccide gettandosi dal balcone.  Il suicidio dell’anziana risveglia i rimorsi mai sopiti del commissario Balistreri, ora a capo della Sezione Speciale Stranieri della Capitale. È un uomo molto diverso, ormai  una lontana ombra del sé stesso più giovane, che ha perso ogni arroganza e certezza.  Un'anima afflitta che tiene a bada i propri demoni a forza di antidepressivi e buoni propositi.

Se la prima volta le cose fossero andate diversamente, forse non avrei ucciso tutte le altre. Me lo chiedevo spesso all'inizio. Dopo tanti anni non so nemmeno più quante siano e la domanda è cambiata: sarei un essere migliore se avessi ucciso solo lei, in un unico attimo di follia? Oggi non odio più le donne che uccido, dopo tanti anni sono solo bambole di pezza. Odio invece quegli uomini saggi, uomini che pontificano. Ciascuno di loro avrebbe potuto trovarsi al mio posto quella prima volta.

Alla morte della madre di Elisa Sordi, annientata dal dolore e abbandonata dalla giustizia, si aggiunge un nuovo caso, l'uccisione di una prostituta rumena che innescherà un'indagine dai risvolti imprevedibili. Balestrieri e la sua squadra seguiranno le flebili tracce che dal campo rom del Casilino di Roma li condurranno fino a Dubai e ritorno. Una scrittura serrata e densa di particolari che, come in un gioco di scatole cinesi, condurrà il lettore attraverso i segreti più oscuri dei palazzi romani e dell'animo umano.
Il focus indiscusso è lui, Balestrieri. Pecora nera della famiglia, nato e cresciuto in Libia da padre siciliano, prima militante in Ordine Nuovo e poi agente dei Servizi Segreti in seguito all'assassinio di Aldo Moro. Grazie all'aiuto del fratello, entra in polizia, cominciando così una nuova vita. Un personaggio che subisce nel corso del racconto un'evoluzione o meglio un'involuzione: tanto sfrontato e presuntuoso da giovane, quanto amareggiato e rassegnato nella sua versione invecchiata. Un individuo segnato dai suoi stessi errori, a cui ha cercato di fare ammenda rinunciando alla vita stessa.
Ma i fantasmi del passato non l'hanno mai abbandonato. Anzi. Col passare degli anni, sussurrano sempre più insistentemente al suo orecchio. A nulla sono valsi i tentativi di condurre una vita morigerata, rinunciare all'alcol, ai vizi e  alle donne. Balestrieri sembra destinato a non trovare nessuna pace. a convivere con la consapevolezza di abitare un mondo corrotto e malato. Spetterà a lui, cavaliere dall'armatura ammaccata e lo sguardo sgualcito, cercare quella verità scomoda, nascosta sotto un cumulo di menzogne, affrontando un Male elusivo quanto tenace, che ha molteplici volti, uno più ingannevole dell’altro. Perché la malvagità spesso si nasconde dietro una facciata di normalità.

Indicazioni terapeutiche: per chi sa che le apparenze ingannano. Non sempre.

Effetti collaterali: Nel romanzo, Costantini ha affiancato alla figura del tormentato protagonista una sorta di "alter ego buono", Angelo Dioguardi, amico di una vita, irreprensibile giocatore di poker dal cuore d'oro. Scelta non causale. D'altra parte la storia dell'eterna lotta tra il Bene e il Male non è che un gioco si specchi, la continua commistione tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. L'oscurità che lambisce l'animo di Balestrieri alberga in ognuno di noi. È proprio questo che ci spaventa. La certezza che il male non è qualcosa di estraneo, di diverso da noi, che ognuno di noi è capace di crimini orribili.





lunedì 31 ottobre 2016

Breve storia di due amiche per sempre di Francesca Del Rosso




Finché morte non ci separi.
Amiche per sempre. Quante di noi l'hanno detto. Ogni donna si è aggrappata all'idea di un legame destinato a durare per sempre. Ma è davvero possibile?
Un'amicizia può rinascere? Può superare anni di incomprensioni e silenzi, azzerare le distanze e tornare a tirare fuori il meglio di noi?
Se è un vero sentimento sì. 

È proprio lei. Clara in carne e ossa. Lei che mi ha buttato via come un cerino usato. Per un istante immagino di rifarle la stessa domanda di quella sera di tanti anni fa. "Perché non hai risposto alla mia lettera?"
Tessa è una donna in crisi, costretta a fare i conti con il tradimento del marito che ha incrinato una vita apparentemente felice. Dopo anni di lontananza, incontra casualmente la sua ex amica del cuore, Clara, dalla quale si era sentita abbandonata senza motivo. Il primo incontro è destabilizzante: più di venti anni prima la loro amicizia che sembrava totale, incrollabile, era naufragata in silenzio, senza un reale motivo. Un tradimento mai superato, un rimpianto che non ha mai abbandonato Tessa.

Francesca Del Rosso

Malgrado le titubanze iniziali, le due donne riusciranno ad andare oltre la patina dell'apparenza e recuperare l'intesa perduta. Tessa scoprirà che, dietro l'immagine di una donna vincente e sicura di sé, Clara nasconde delle inaspettate fragilità. Finirà così per mettere in discussione la loro eterna competizione, rendendosi conto di essere più forte di quanto pensasse.
Sarà soltanto alla fine di un lungo percorso che le riporterà alle origini, ad una pianta di melograno carica di fiori, simbolo del loro rapporto rinato dalle ceneri, che le due protagoniste capiranno che darsi una seconda possibilità è la scelta migliore.
Francesca Del Rosso torna, dopo il successo di Wondy, con un romanzo che è un inno all'amicizia femminile, mescolando la nostalgia per le occasioni perdute con la fiducia nei veri legami, quelli che resistono al tempo e sono destinati a durare per sempre.
Perché l'amicizia è un viaggio che non finisce mai.


Indicazioni terapeutiche: per chi sa che le vere amiche esistono.


Effetti collaterali: Esistono affinità elettive che non si spengono, che resistono ai matrimoni, ai figli, alle cartelle di Equitalia, alle sconfitte e alle gioie più grandi. Accade. Accade che ti giri e guardando la tua amica e scorgi nei suoi occhi il riflesso della te stessa adolescente, quella parte segreta di te che solo poche persone possono vantare di conoscere.


lunedì 17 ottobre 2016

La sirena di Camilla Läckberg



Un po' per caso mi è capitato tra le mani il sesto episodio della fortunata serie creata dalla scrittrice Camilla Läckberg, che vede ancora una volta protagonista la coppia Patrick-Erica, poliziotto instancabile e volenteroso lui, scrittrice con un intuito infallibile lei.
Questa volta i due saranno impegnati a risolvere il mistero che avvolge due episodi apparentemente scollegati tra loro: il caso dello scrittore emergente Christian Thydell, perseguitato da lettere anonime, e la sparizione del suo amico Magnus. Ben presto l'ispettore Patrik Hedströmnon arriverà alla conclusione che c'è un nesso tra i due misteri. Scoprirà inoltre altri strani avvenimenti che hanno coinvolto due insospettabili abitanti di Fjällbacka. Cosa si cela dietro un'apparente facciata di normalità?
Indizio dopo indizio, le indagini porteranno alla scoperta di un terribile segreto, un fantasma tornato dal passato che sembra determinato ad ottenere la sua vendetta.

Alcune donne avevano una determinazione tale che nulla avrebbe potuto spezzarle. Piegarle, forse, ma mai spezzarle.

Gli elementi che hanno decretato il successo della scrittrice svedese ci sono tutti: una trama sapientemente costruita, un cast di personaggi che abbiamo imparato a conoscere ed apprezzare ben delineati, quel quid di atmosfera lugubre e sottilmente angosciante che in un giallo non guasta mai.
Tuttavia c'è un ma.
L'attacco non è dei migliori e la storia stenta a decollare per le prime duecento pagine. Poi la svolta: il romanzo si trasforma in un coinvolgente susseguirsi di colpi di scena e scoperte che travolgono il lettore. Peccato forse per l'epilogo un po' troppo stringato, incapace di rispondere a tutte le domande lasciate aperte, che mi ha lasciato, personalmente, un po' a bocca asciutta.
Cifra stilistica di questa autrice resta  la volontà di dare ampio spazio alle vicende personali dei personaggi. Può piacere o meno, ma si deve ammettere che a volte la sovrabbondanza di tali dettagli, non proprio indispensabili alla struttura narrativa, tende dilatare in modo esagerato il tempo del racconto.
Nonostante l'iniziale ritmo lento, con La sirena la Läckberg non tradisce le attese dei suoi fan, disvelando la verità a piccole dosi, grazie ai numerosi flash-back, fino al climax finale, la rivelazione che spiazza ogni aspettativa. Come ogni giallo di successo che si rispetti.

Indicazioni terapeutiche: per quelli che sono consapevoli che il passato a volta ritorna.

Effetti collaterali: Emily Dickinson diceva che il passato non è un pacchetto che si può mettere da parte. Ogni persona è la somma di tutto ciò che vissuto, ma anche di ciò che sarebbe potuto accadere.
Non importa quanto ne siamo feriti, quanto vogliamo prenderne le distanze, il nostro passato non ci lascia mai.


lunedì 3 ottobre 2016

Il bordo vertiginoso delle cose di Gianrico Carofiglio


A noi interessa soltanto il bordo vertiginoso delle cose.
Parto da qui, da questo verso di una poesia di Robert Browning che ne ha ispirato il titolo, per addentrarmi tra le emozioni di questo libro di Gianrico Carofiglio, una sorta di romanzo di formazione dal retrogusto amaro e dalla nota malinconica. Una riflessione sulle cause del fallimento e dei suoi margini incerti, su quel labile confine, precario e instabile, che separa presente e passato, successo e sconfitta,  felicità e insoddisfazione.

Erano momenti di pura felicità, quelli in cui mi raccontavo il mio futuro misterioso di scrittore. Una felicità così violenta e così perfetta da lasciarmi senza fiato.

Enrico Vallesi è uno scrittore in crisi che, dopo il successo del suo primo e unico libro, ha perso ogni ispirazione e si è ridotto a fare il ghostwriter. La vita sentimentale non va meglio, dal momento che a quarantotto anni, archiviata la sua ultima storia, si ritrova ancora più solo.
È un uomo sul bordo di una voragine, ancorato ad un passato lontano che gli impedisce di andare avanti.  In cerca di una voce propria e di un nuovo equilibrio decide di tornare nella sua città natale, Bari, un'immersione nella sua giovinezza che segna una ripartenza, che suona come mettere un punto, un fare un passo indietro per prendere meglio la rincorsa e lanciarsi, senza paure né dubbi, verso un futuro meno spaventoso.

Chissà cosa succede poi, dopo aver parlato. Dopo l’ultima pagina, quando il romanzo finisce. 

L'autore ricostruisce con uno stile asciutto e mai lezioso, attraverso continui salti temporali tra l'io narrante adulto e la sua versione liceale, una profonda antitesi come condizione esistenziale di ogni essere umano. Una sorta di ricerca del tempo perduto, capace di pacificare l'animo del protagonista, di ricongiungere quel bordo, il confine tra chi era e chi è nel presente, un riappropriarsi delle passioni giovanili per ritrovarsi, nonostante le disillusioni e le delusioni.
Nonostante le ottime premesse, questa lettura non mi ha toccato come mi sarei aspettata. È vero che  Il bordo vertiginoso delle cose è un romanzo ben costruito e piacevole ma, a mio avviso, si limita a scorrere piacevolmente, senza particolari scossoni, incapace di raggiungere un vero e proprio climax e privo di quel pathos capace di incollare il lettore alla pagina.

Indicazione terapeutiche: per chi vuole fare pace con il proprio passato.

Effetti collaterali: Tra i ricordi del protagonista spicca Celeste, la supplente di filosofia di cui si era innamorato da adolescente. Un amore impossibile e, proprio per questo,  totalizzante, che continua a bruciare come brace mai sopita sotto la cenere della memoria. Un sentimento così puro da essere destinato a scampare alle nebbie dell'oblio. D'altronde,  come ci insegna la retorica il primo amore non si scorda mai.



martedì 27 settembre 2016

La ragazza senza ricordi di C. L. Taylor


Partiamo dal titolo che ha poco a che fare con quello originale, indubbiamente più calzante, in inglese The lie. 
Una bugia.
Su questo si basa la vita della protagonista Jane Hughes. All'apparenza sembra una ragazza come tante altre, un lavoro in un canile, un compagno premuroso, una vita tranquilla. Fino al momento in cui riceve un messaggio anonimo, un’unica frase in inchiostro blu: 
So che il tuo vero nome non è Jane Hughes”.
Qualcuno sa quale segreti nasconde, qualcuno tornato dal suo passato per tormentarla.
La verità è infatti che Jane, la ragazza normale che interpreta ogni giorno, non esiste. Il suo vero nome è Emma. Cinque anni prima era partita per un viaggio in Nepal con le sue migliori amiche. Doveva essere la vacanza della vita ma da quel viaggio due di loro non erano più tornate.

Non è detto che il passato debba condizionare il futuro, basta non permettere che ciò accada.

Più che un thriller, l'opera della Taylor è un dramma psicologico che ripercorre tappa dopo tappa quella terribile vacanza, ben presto trasformatasi in un terribile incubo. Pagina dopo pagina il lettore segue il racconto serrato che svela, dettaglio dopo dettaglio, come l'amicizia di una vita tra Emma e le altre ragazze si sia gradualmente incrinata, mettendo a nudo gelosie, rivalità e asti segretamente covati, fino ad un tragico epilogo che nessuno avrebbe potuto prevedere. Un doloroso passato da cui Emma ha cercato di fuggire, nascondendosi e cambiando nome, sperando così di poter ricominciare.
La trama è ben congegnata e lo stile scorrevole. Peccato che il ritmo serrato delle prima pagine vada pian piano scemando e che, da metà romanzo in poi, l'originalità lasci il posto a dettagli e situazioni un po' troppo prevedibili. Anche l'epilogo non è, a mio avviso, all'altezza del resto del libro, troppo sbrigativo e con qualche falla dal punto di vista narrativo. Nel complesso La ragazza senza ricordi resta comunque un romanzo intrigante quanto basta per trascorrere qualche ora piacevole e non troppo impegnativa, senza aspettarsi un capolavoro della letteratura.

Indicazioni terapeutiche: per chi ama scavare nell'animo delle persone.

Effetti collaterali: Anche la più salda delle amicizie può essere messa a dura prova. Quando si è circondati da abili manipolatori si può arrivare al punto di non sapere di chi fidarsi. Oppure si può arrivare a scoprire che di vera amicizia non si trattava.



mercoledì 14 settembre 2016

La trilogia di Josephine di Katherine Pancol



Ho comprato Gli occhi gialli dei coccodrilli, il primo libro della trilogia di Katherine Pancol dedicata a Josephine Cortés, per caso, scoprendo solo dopo che l'autrice francese è una regina dei best seller d'oltralpe con sei milioni di libri venduti nel mondo e lettori affezionati ai suoi personaggi come se fossero persone reali.

Credo sia questo il vero amore: avere l’impressione di stare al centro della propria vita, non ai margini. Nell'angolo giusto. Senza avere bisogno di sforzarsi per piacere all'altro, restare se stessi.

La scrittrice mette in scena con maestria tre generazioni di donne a confronto, esplorando gli anfratti più nascosti dell'animo umano, anche se non riesce, secondo me, a mantenere il solito livello in tutti e tre i romanzi.
Il primo libro, forse il più riuscito, Gli occhi gialli dei coccodrilli ci immette nell'universo della protagonista Josephine Cortés, l'anti-eroina per eccellenza. Bruttina, timida, lasciata dal marito, si ritrova a dover far quadrare i conti e a crescere da sola le due figlie, combattendo con le proprie insicurezze, con un madre che non l'ha mai amata, sempre all'ombra della sorella Iris, bellissima, ricca, affascinante. Una donna che non ha paura dei sentimenti, con un animo d'altri tempi, che abbraccia la sua sofferenza e ne trae la sua vera forza.
Josephine riuscirà a fuggire alla sindrome del "brutto anatroccolo" e, malgrado tutte le avversità,  a trovare dentro di sé la forza per realizzarsi e prendersi la propria rivincita.
Intorno alla storyline principale si sviluppa un universo di personaggi secondari, ma non per questo meno interessanti, l'amica Shirley e il figlio Gary, il patrigno Marcel e l'amante Josiane, tante microstorie che si sviluppano in modo corale, intrecciando i destini dei personaggi e dando vita a un romanzo ben scritto e scorrevole.

Ci sono persone il cui sguardo rende migliori. È molto raro, ma quando le si incontra, non bisogna lasciarle andare via.

Il valzer lento delle tartarughe, il secondo volume, non è all'altezza del precedente, anche se ho apprezzato il risvolto thriller, che ha contribuito a rendere più coinvolgente la narrazione. Le vicende amorose e professionali di Josephine si mischiano alla storia di un serial killer. Nonostante il successo raggiunto la protagonista non si è ancora liberata dei suoi complessi, un perdurare che, pagina dopo pagina, diventa un po' fastidioso.  Maggiore spazio è dedicato ai personaggi conosciuti nel primo romanzo, in particolar modo alle figlie, Zoé e Hortense, la prima dolce affettuosa alla scoperta del primo amore, la seconda bella e decisa a fare carriera, anche a costo di rinunciare ai sentimenti. 
Arriviamo al finale con il libro Gli scoiattoli di Central Park sono tristi il lunedì: una vera delusione. La trama si perde in  tante digressioni non funzionali alla storia, diventando irritantemente ripetitiva: il continuo balletto tra Josephine e il suo amato, le sue insicurezze, i suoi dilemmi. Non ho apprezzato, inoltre, la parentesi sulla storia del Piccolo Gentiluomo e la svolta paranormale del piccolo Junior de i suoi straordinari poteri. Devo ammettere che ho fatto fatica a finirlo perché ormai il racconto aveva perso ogni appeal, non aggiungendo niente a quello già precedentemente rivelato.

La felicità è fatta di piccole cose. La aspettiamo sempre con la maiuscola, e invece ci viene incontro su due gambette fragili e può passarci sotto il naso senza che ce ne accorgiamo

Nel complesso non si può non riconoscere a Katherine Pancol la capacità di aver costruito un universo ben fatto in cui i personaggi si affannano in cerca della felicità, a volte rifiutandola per paura o perché incapaci di riconoscerla, rendendo i suoi romanzi una lettura non impegnata ma piacevole e divertente, intrigante e, anche se senza pretese, pure intelligente. Il lieto fine è a tratti forse un po' forzato ma, in fin dei conti, sognare non costa nulla.

Indicazioni terapeutiche: per chi ama le saghe generazionali al femminile.

Effetti collaterali: Gli altri non ci riconosceranno mai nessun valore se noi per primi non siamo in grado di farlo. La consapevolezza  è il primo passo verso il successo e la piena realizzazione. La felicità non è vivere una vita senza imbrogli, senza fare errori, senza muoversi. La felicità è accettare la lotta, lo sforzo, il dubbio, e andare avanti, andare avanti superando tutti gli ostacoli, uno per volta.


giovedì 1 settembre 2016

Di noi tre di Andrea De Carlo






Misia Mistrani l’ho conosciuta il 12 febbraio del 1978. Al mattino mi ero laureato in storia antica, con una tesi sulla Quarta Crociata che aveva provocato una quasi-rissa con la commissione per come mi era venuta polemica e coinvolta, dopo di che ero stato liquidato con 110 senza lode, anche se avevo lavorato un anno e scritto duecentocinquanta pagine abbastanza appassionate e documentate. Il presidente mi aveva detto nella sua voce monocroma "La Storia è prospettiva. Non si può parlare di eventi d i sette secoli fa come se fossero successi l’altro ieri e lei ci fosse stato in mezzo. Le mancano totalmente il distacco e l’equilibrio, la capacità di una valutazione a mente fredda".
Inizia così questo romanzo di Andrea De Carlo che mette in scena le scelte, i sogni, i drammi e le delusioni di tre ragazzi, Livio, Marco e Misia, le cui vite sono destinate a rimanere intrecciate, nonostante la risacca del destino. Tre personalità sopra le righe, incapaci di adattarsi ad un copione prestabilito, sullo sfondo una Milano famelica, che brucia le aspirazioni e si inchina ai rampanti senza pelo sullo stomaco.

Mi sembrava che le cose brutte avessero un loro consistenza permanente, mentre quelle belle tendessero a dissolversi con una rapidità imprevedibile.

Livio, appena laureato in Storia antica, in fuga dalle inquietudini che hanno iniziato ad assalirlo, si imbatte in Misia, e rimane ammaliato dalla sua bellezza non impostata, dalla sua fulgente naturalezza, dal suo modo di affrontare il mondo senza di reti di sicurezza. Ben presto la presenta a Marco, il suo miglior amico, e la coinvolge nel loro progetto di realizzare un film. Misa e Marco finiranno per innamorarsi ma la loro non sarà una storia a lieto fine. Marco è incapace di impegnarsi, Misia è assoluta e spietata nei sentimenti. Livio si sente tradito, messo ai margini, sempre in difetto rispetto all'amico a cui tutto riesce così facile, piacere alle donne, avere successo, mantenere le distanze da quello che fa senza rimanerne travolto.
I tre si perdono, consumati dietro ai tentativi di cavalcare la vita, di fuggire le convenzioni e la falsa tranquillità. Livio comincia a dipingere, Misia si sposa, Marco sembra avviato verso una brillante carriera come regista impegnato. Eppure il loro legame non verrà affievolito dal tempo o dalla lontananza, e torneranno ad incontrasi, ad influenzarsi, ad aiutarsi. Sotto l'involucro della pelle, troppo simili per dimenticarsi, per smarrirsi davvero.

Mi chiedevo come mai persone così simili possano farsi danni gravi, e persone apparentemente lontanissime, migliorarsi in modo così spettacolare; mi chiedevo se c'era una regola dietro tutto questo o solo il caso, se era un effetto permanente o temporaneo. 

Di noi tre è un romanzo bellissimo, scritto in maniera superba, pieno di colpi di scena, di riflessioni amare, di sentimenti repressi e voli pindarici. Ho amato alla follia lo stile di De Carlo, come riesce a rendere gli stati d'animo dei personaggi, i loro tormenti, la disillusione, la nostalgia, così come le descrizioni di Misia, il modo in cui appare trasfigurata dagli occhi innamorati di Livio.

È ridicolo. Pensiamo di essere i padroni delle nostre vite, e non è vero. Le uniche cose che possiamo controllare sono marginali, rispetto al resto. Ti fa ridere, altro che piangere, se solo riesci a vederti da una minima distanza. Ti fa venire voglia di muoverti, porca miseria, staccarti di dosso tutta questa lacca di autocompassione.

Un libro che celebra la voglia di ribellarsi, di inseguire i propri mostri, non importa dove, se a Londra, a Parigi o in Sudamerica,  la volontà di "esserci" invece che lasciarsi vivere. Un inno, prima di tutto, all'amicizia, non quel sentimento comodo dove tutto è sicurezza e prudenza, ma quella feroce, che ti mette a nudo, ti spinge ad osare, ti regala il coraggio di essere "vero". 
L'unico sentimento capace di non farti sentire mai solo.


Indicazioni terapeutiche: per chi crede nell'amicizia.


Effetti collaterali: Ci sono persone destinate a non trovare mai un posto nel mondo, condannate alla continua ricerca di qualcosa che le completi, le soddisfi, le appaghi. Ma è una ricerca inutile, un'impresa vana, come quella di Sifiso, costretto ogni giorno a spingere il medesimo sasso su per la montagna. Anche Livio, Marco e Misia sono prigionieri. Delle loro illusioni, della voglia di evadere, del loro disprezzo per la vita borghese. E anche loro, ogni volta e per l'eternità come Sisifo, devono ricominciare da capo la loro scalata senza mai riuscirci.


mercoledì 24 agosto 2016

Mi sa che fuori è primavera di Concita de Gregorio


La storia è di pubblico dominio: il 28 gennaio 2011 Mathias Schepp va a prendere le figlie Alessia e Livia, due gemelle di 6 anni, a casa di amici, subito dopo prende un traghetto per la Corsica e pochi giorni dopo, il 3 febbraio raggiunge Cerignola in Puglia, dove si fa investire da un treno.
Delle bambine non si sono più avute tracce. Unico indizio un messaggio del padre: "Le bambine non hanno sofferto, non le vedrai mai più."
Sgonfiato il circo della cronaca nera, a distanza di anni, di questa tragedia non resta che una donna, Irina Lucidi, che ha dovuto imparare di nuovo vivere, perché, come dice il libro, il dolore da solo non uccide. Tornare ad essere felice, malgrado le persone, che criticano, che giudicano, che non accettano che si ribelli alla terribile sorte che le è toccata. Che credono che Irina si debba vergognare di aver dimenticato le sue bambine.
Dimenticare?
Come se fosse possibile. Come fosse possibile dimenticare di avere un braccio, una gamba, un cuore. Alessia e Livia non se sono mai andate e mai lo faranno. Niente si dimentica ma tutto, a momenti, si deve  prendere e mettere in un posto. 
Come fosse possibile arrendersi all'idea che magari siano vive, che siano felici, anche se altrove. Imparare a vivere con la loro assenza, che è più forte di qualsiasi presenza. 
La missione di Irina è questa: vivere per mantenere vivo il loro ricordo.  Per questo ha lasciato il suo lavoro e ha fondato  Missing Children Switzerland, un'organizzazione no profit che offre sostegno a livello psicologico, sociale e giuridico alle famiglie e ai congiunti vittime di una scomparsa di minore. 

L’attesa delle persone amate non è una pausa: è un lavoro incessante, una fatica mostruosa, una lotta contro i peggiori dei pensieri. È uno spazio che si riempie di mostri.

Questo libro nasce dal sodalizio di Irina con la giornalista Concita de Gregorio, ma non è un'inchiesta, bensì un'opera letteraria, che cerca di rimettere insieme ciò che era andato in pezzi. Un libro frutto dalla volontà di elaborare un trauma e di affrontarlo attraverso la scrittura, la forza di dire "ho bisogno di mettere fuori di me questo oggetto rotto".
La letteratura come cura, come strumento di riappacificazione col mondo.

Vorrei che mi aiutassi, se puoi, a prendere le parole metterle in fila ricomporre tutti i pezzi che sento frantumati e dispersi in ogni angolo del corpo. Vorrei ricostruire i frammenti come si ripara un oggetto rotto, prenderlo in mano e portarlo fuori da me. Per tenerlo accanto, portarlo in tasca, metterlo in borsa ma intero, tutto intero.

Racconta in prima persona, attraverso lettere e riflessioni personali, il viaggio di "ricostruzione" della protagonista. Come è stata costretta ad imparare a convivere con i sensi di colpa, con la consapevolezza di non aver intuito il pericolo, con il pregiudizio che l'ha investita, lei Irina, italiana, avvocato di successo, vittima del razzismo e del sessismo nella moderna e civile Svizzera. Come è riuscita a convivere con i buchi nelle indagini, le approssimazioni, l'ostracismo, vittima due volte, di un folle e di un sistema, che non ha saputo proteggere né lei, né le sue figlie.



Eppure non è un libro pieno di rancore o dolore. Al contrario è un romanzo sulla speranza, sull'amore, un romanzo che ci insegna come si sopravvive all'assenza.
Mi sono chiesta, leggendo, come abbia fatto Irina a sopravvivere, come sia riuscita a non soccombere. Alla fine ho capito. È sopravvissuta perché non si è chiusa nella sua sofferenza, perché non ha rinunciato all'amore, perché sogna balene felici e quando si sveglia piange dalla gioia. Perché non si è arresa alla disperazione, ma se l'è fatta amica, compagna, le si è seduta accanto ed ha trovato la pace.

Indicazioni terapeutiche: per chi rifiuta di arrendersi al suo dolore.

Effetti collaterali: Le parole a volte si ingolfano, altre si consumano. Altre volte ancora arrivano in ritardo e non servono più a dire quel che volevano. Le parole sono importanti. Sono come pietre, e come tali bisogna usarle. A volte mancano. C'è una parola per chi perde un genitore, orfano. E una per chi perde un partner, vedovo. Ma non c'è un parola per chi perde un figlio. Non c'è una parola capace di circoscrivere un lutto così devastante.

martedì 16 agosto 2016

Splendi più che puoi di Sara Rattaro




Ogni giorno le cronache ci riportano le notizie di donne uccise barbaramente. Sono numeri che spaventano quelli relativi al femminicidio: dall'inizio del 2016, almeno 58 donne sono state uccise in Italia dal partner o dall'ex fidanzato. L'ultimo caso salito alla ribalta è quello di Vania Vannucchi, morta a seguito delle gravissime ustioni riportate. Il presunto assassino è un collega con cui aveva avuto una relazione, Pasquale Russo, che, dopo averla attirata nel parcheggio dietro l'ex ospedale di Lucca con la scusa di un chiarimento,  l'ha cosparsa di benzina e le ha dato fuoco.
Con il suo ultimo libro, Splendi più che puoi, vincitore del Premio Rapallo Carige 2016, la scrittrice Sara Rattaro sceglie di raccontare la vita di una delle tante donne maltrattate, una di quelle che, per fortuna, si è salvata, il cui nome non comparirà sulla cronaca nera. Per buona sorte, per destino, per coraggio. Chi può dirlo.
La protagonista è Emma, intelligente, istruita, la ragazza della porta accanto, scampata al marito divenuto il suo aguzzino. Un romanzo ispirato ad un storia vera, una storia come tante, come troppe purtroppo, che merita di essere raccontata.


 L'espressione “amore mio” è un ossimoro. Il sentimento più bello e l'aggettivo più possessivo. 

Quando Emma incontra Marco le sembra di aver avuto una seconda possibilità. Archiviata la storia con Tommaso, può tonare a sentirsi amata, apprezzata, desiderata. Può buttarsi a capofitto in questa nuova relazione. Marco è affascinante, sicuro di sé, pieno di attenzioni. Si sposano dopo sei mesi.
Tutto è perfetto.
Col passare del tempo emergono le prime incrinature: le gelosia, gli sbalzi di umore, i litigi, le offese, le botte. Emma non riesce a capacitarsi di questo cambiamento: Marco è suo marito, l'uomo che ha deciso di sposare, non può arrendersi. Non ora che è in arrivo la loro bambina.

Non è mai precipitosa. La discesa inizia sempre con un piccolo passo verso il basso.

Il romanzo è una discesa agli inferi, la cronaca di una vita che diventa incubo, il racconto della dignità di una donna annullata da anni di soprusi, violenze psicologiche e fisiche. Marco che la obbliga a rinunciare al suo lavoro, Marco che le impedisce di vedere i suoi genitori, Marco che la rinchiude in cantina senza cibo né acqua, Marco che le spezza un braccio e le vieta di andare in ospedale a curarsi.

In astronomia la chiamano energia oscura. Ed è la causa primaria dell'espansione accelerata dell'universo. Qui, sul pianeta Terra, la riconosciamo in ogni donna capace di portarsi in salvo
I dettagli cruenti sono appena accennati, nel libro non c'è nessuna descrizione particolareggiata, ma non se ne sente il bisogno. Il dolore, il disagio, l'umiliazione pervadono ogni riga.
Emma impiegherà anni a trovare la forza per fuggire dalla follia di suo marito, per riaccendere quella luce dentro di sé che l'uomo che avrebbe dovuto amarla e proteggerla aveva provato a spegnere, per tornare a splendere. Anni che lasceranno in lei cicatrici troppo profonde per guarire del tutto.
Leggendo il libro non ho fatto che chiedermi: perché non è fuggita al primo schiaffo?
Credo sia impossibile dall'esterno riuscire a capire. Possiamo, anzi dobbiamo, provarci. Partire dal presupposto che per imparare a riconoscere l'amore dobbiamo, come prima cosa, imparare ad amarci. Parte tutto da lì. Dalla propria autostima, dalla convinzione di meritare rispetto, di essere degne dell'amore, di non dover essere costrette ad elemosinarlo. A ciò vanno aggiunte la paura del giudizio altrui, la sfiducia nel sistema giudiziario incapace di proteggere le donne maltrattate dai loro aguzzini, la società che stigmatizza le vittime e giustifica i persecutori. Una donna che subisce violenza è, prima di tutto, una donna sola con il suo dolore e la sua vergogna, una donna che grida tutto il suo dolore attraverso il silenzio, i lividi nascosti, lo sguardo spento.


Non mi stancherò mai di ripeterlo, la violenza di genere prima che un problema di tipo sociale è culturale. Servono quindi modelli, leggi, educazione.  Mi colpisce di continuo la leggerezza con cui certi argomenti vengono bollati come inezie, fissazioni da femministe, con quanta superficialità e ignoranza si tollerino comportamenti in evidente conflitto con una concezione del rispetto della donna in senso sostanziale e non solo formale. Non bisogna dimenticare che dai commenti sessisti, dai "lavori da donna", dal "sesso debole", dal "se l'è cercata perché aveva la minigonna", alle morte ammazzate, sfigurate, bruciate vive, massacrate di botte, sgozzate, il passo non è poi così lungo.



Indicazioni terapeutiche: per ogni donna che ha lottato per riprendere in mano la sua vita e farne molto di più, per chi è tornata a splendere, malgrado tutto.

Effetti collaterali: Quello che fa più male è l'indifferenza degli altri. La famiglia che finge di non sapere, i vicini di casa che si girano dall'altra parte, una coltre di indifferenza che inghiotte tutto. Fino a quando la violenza sulle donne sarà percepita come un fatto privato invece che come un problema sociale, questa strage degli innocenti non si fermerà.



mercoledì 10 agosto 2016

Rio 2016: la riscossa dei sognatori

Rio 2016: una valanga di emozioni.
Le Olimpiadi come metafora della vita: lotti, sudi, soffri, vinci, talvolta perdi. Ma a casa riporti sempre qualcosa, non sempre una medaglia, ma una lezione che ti marca a fuoco, ricordi indelebili, emozioni incancellabili.
Sono molte le storie che mi hanno colpito nel corso di questa XXXI edizione dei Giochi, vite sacrificate sull'altare di una passione, quella per lo sport, totalizzante, che mischia lacrime e sudore, che ti innalza sulla cima dell'Olimpo, ma può farti anche precipitare nel più profondo dei baratri.



La medaglia d'argento della coppia formata da Tania Cagnotto e Francesca Dallapé, dietro le cinesi che sembravano disputare una gara tutta loro. L'emozione di un abbraccio che racchiude tutti i sacrifici di anni di allenamenti. Una rivincita a distanza di quattro anni da Londra, quando mancarono il podio per appena 2.70 punti, superate dalla canadesi. Proprio le canadesi che, per uno strano scherzo del destino, hanno mancato a Rio la medaglia di bronzo per un soffio. Un cerchio che si chiude. Una rivincita che vale come un oro, che però non cancella i momenti difficili. Alla fine della gara Tania Cagnotto confessa il sollievo di lasciare lo sport, la tensione e la fatica che l'hanno accompagnata:

Però arrivare a questo argento è stato feroce, scortica, toglie la pelle. So che rimpiangerò lo sport, ma sono a pezzi. Stanca di soffrire. Smetto per questo, perché è un fuoco che riscalda, ma che consuma anche. Non solo te, ma anche quelli che ti stanno attorno.


Adam Peaty che a soli 21 anni è già entrato nella leggenda, record mondiale, l'unico al mondo a essere sceso sotto il muro dei 58'', e medaglia d’oro nei 100 metri rana. Non male per uno che da bambino aveva paura dell'acqua. Uno che è venuto su dal nulla, talmente povero che la sua allenatrice e scopritrice Rebecca Adlington regalò un'auto alla sua famiglia, dal momento che non poteva nemmeno permettersi i mezzi per raggiungere la piscina dove si allenava.
La riscossa di un ragazzo che è partito dal nulla e che, grazie al suo duro lavoro e alla sua determinazione, è arrivato sul tetto del mondo. In vista dei Giochi, si è sottoposto ad un allenamento durissimo: sveglia tutte le mattine alle 4, in piscina dalle 5 alle 7, e, di seguito, palestra fino alle 8.30. Poi di corsa al college per studiare. Nel tardo pomeriggio una seconda sessione di allenamento e, una volta tornato a casa, cena e a letto alle 19 come un bambino. “La gente non mi vedrà in giro per un po’ –aveva dichiarato ai giornali -, poiché sarò molto stanco".
Direi che ne è valsa la pena.


Yusra Mardini, diciottenne profuga siriana, inserita tra i dieci atleti selezionati dal Comitato Olimpico Internazionale per formare, per la prima volta nella storia, la squadra dei rifugiati. Yusra è una sopravvissuta: quando il barcone su cui stava viaggiando ha incominciato ad affondare nelle acque del Mar Egeo, si è tuffata e ha nuotato per tre ore fino all'isola di Lesbo, mettendo in salvo così le altre 20 persone a bordo.
Tutta la sua storia ha dell'incredibile. Già convocata nella squadra siriana, Yusra ha dovuto abbandonare il suo paese, a seguito della escalation di violenze e dei bombardamenti, che hanno distrutto, tra i tanti edifici, anche la piscina in cui si allenava. Da lì la decisione di fuggire, insieme alla sorella Sarah, fino alle coste della Turchia, e poi il naufragio, e ancora l'esodo attraverso la Macedonia, la Serbia, l'Ungheria e l'Austria, fino ad approdare alla Germania, dove attualmente vive e si allena. E poi la chiamata, quella del Cio, quella che la invitava a far parte di una squadra, composta da atleti come lei, che hanno perso tutto, che sono fuggiti dall'orrore della guerra, ma che non hanno rinunciato al loro sogno. E che alla fine una medaglia nella sua specialità, i 100 metri farfalla e stile libero, non sia arrivata poco importa. La sua vittoria quella più bella, l'ha già ottenuta. 




La storia dell'atleta uzbeka Oksana Chusovitina che a 41 anni disputa la sua settima Olimpiade, qualificandosi per la finale del volteggio. La sua storia è degna della trama di un film: ha disputato i giochi vestendo tre body differenti, CSI, Uzbekistan e Germania, vincendo due medaglie, argento al volteggio nel 2008, oro con la squadra nel 1992 a Barcellona. Ma, cosa ancor più rara tra le atlete, è rientrata a gareggiare dopo essere diventata mamma di Alisher. Lasciata la nazione tedesca, dove si era trasferita per curare il figlio affetto da da una grave malattia, è tornata a vestire la casacca della sua terra d'origine. Scenderà in pedana domenica 14 agosto a caccia di una medaglia che avrebbe dell’incredibile, considerando che la più "anziana" delle ginnaste statunitensi a queste Olimpiadi è nata nel 1994, quando la Chusovitina aveva già gareggiato per il suo primo torneo olimpico.

E poi c'è Michela Phelps, che si aggiudica tre medaglie d'oro, una nei 200 metri farfalla, una nella staffetta 4x200 stile libero e una nella staffetta 4x100 stile libero , entrando così nella storia come l'atleta olimpico più titolato di sempre raggiungendo quota 21,  a cui vanno aggiunti due argenti e due bronzi.
E la delusione per Federica Pellegrini per il quarto posto nei 200 metri stile libero, la rabbia che la spinge a dire che forse è il momento di mollare. E ancora la medaglia d'oro di Fabio Basile, un po' sbruffone, ma che, poco più che ventenne, ha sorpreso tutti con una vittoria inaspettata, mettendo a tacere tutti coloro che gli avevano consigliato di aspettare Tokyo 2020.

Tante storie, tutte diverse, ma ognuna capace,  a suo modo, di emozionare. Tante vittorie, altrettante sconfitte, che insegnano che alla fine, come dice a Jim Morrison, a volte il vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato.



lunedì 8 agosto 2016

Presentazione del libro "Città Versilia" di Ettore Neri

Mercoledì 3 agosto presso la Sala Cope di Querceta Ettore Neri ha presentato il suo ultimo libro Città Versilia, scritto con il contributo del prof. Giuseppe Cordoni, il manifesto della neo-nata associazione Versilia, su la testa.
All'incontro hanno partecipato, oltre agli autori, Riccardo Tarabella, sindaco di Seravezza, Giacomo Genovesi, assessore alla valorizzazione e promozione del territorio , Paolo Giannarelli, già sindaco di Seravezza e già assessore regionale, oltre al giornalista Gabriele Buffoni in qualità di moderatore.
Il sottotitolo dell'opera dice già molto: Schede, proposte, approfondimenti e lo statuto di una nuova associazione. Quest'opera, come lo stesso autore ha sottolineato, nasce, a seguito della campagna per le elezioni regionali del 2015, con lo scopo di fornire un valido strumento che racchiude un 'analisi e i relativi obiettivi per ciascuna area di competenza: dalle politiche ambientali a quelle per la salute, dalle politiche per la legalità e la sicurezza a quelle legate al turismo. 
La stessa struttura del libro rimanda ad un uso espressamente "pratico": è costituito infatti da schede, che possono essere aggiornate, riviste, aggiunte mano a mano che si procede nella progettazione di un brand Versilia, capace di andare oltre gli interessi particolari e costruire una visone unica che includa tutta la Versilia, quella del settore lapideo, quella del turismo balneare,  quella dei parchi, quella delle città d'arte e del Patrimonio dell'Unesco, che abbracci cioè l'intero territorio dal lago di Porta e quello di Massaciuccoli.


Come si fa?
Coltivando la volontà non solo di riscoprire il proprio territorio e di valorizzarlo ma soprattutto ripartendo dalla volontà di costruire una strategia complessa che veda la Versilia appunto come un soggetto unitario, qualcosa di più della semplice somma degli elementi che la compongono.
Nasce così l'associazione Versilia, su la testa che si prefigge come obiettivo quello di dare un importante contributo a questo cammino che è giusto all'inizio, senza rimandi a partiti o ideologie.
Che poi significa fare politica nel senso proprio del termine, politica intesa appunto come quel complesso di attività che si riferiscono alla ‘vita pubblica’ e agli ‘affari pubblici’ di una determinata comunità di uomini. Il termine chiave è proprio comunità: significa ripartire cioè da quell'identità comune di un luogo per costruire una città abitabile.
Un progetto ambizioso all'interno di quello che il sociologo Marshall Mc Luhan chiamava il villaggio globale: l'ossimoro mcluhiano ha proprio lo scopo di mettere in luce il carattere profondamente contraddittorio di questa nuova condizione esistenziale. Il termine villaggio infatti rimanda ad un’idea di circoscritto, di sicuro, di conosciuto, mentre con l’aggettivo globale si fa riferimento al mondo intero. Di fatto, tuttavia il senso di comunità che contraddistingueva il villaggio è sparito. La globalizzazione, nata come un fenomeno prettamente economico che ha poi investito ogni dimensione politica, sociale, culturale, si è rivelata il grande bluff di questo nuovo millennio.
La caduta delle barriere tra gli Stati che ha permesso la libera circolazione delle merci, delle persone e delle idee invece di promuovere l’uguaglianza ha ulteriormente inasprito le differenze tra Nord e Sud, tra ricchi e poveri, tra chi ha tutto e chi non possiede nulla. Come sottolinea Giuseppe Cordoni: 

In ogni città mancata, è la moltitudine degli esclusi dei “cittadini mancati” a soffrire e a pagare il prezzo di inaudite differenze.

È da sottolineare l'apporto al libro del professor Cordoni, che evidenzia l'importanza di valori quali la bellezza, il senso civico, la condivisone.  
Civis e civitas. Come sottolinea il professore la parole sono come pietre ed è importante scegliere ed usare quelle giuste: la parola città deriva dal latino civitatem, accusativo di civitas, mentre il sostantivo civitas a sua volta proviene da civis, che significa cittadino. Civitas è una parola dal significato più politico che geografico, che indica la condizione dell'essere cittadino e allude quindi, in ultima analisi, alla volontà di costruire un nuovo modello di città che non può prescindere dal senso civico di ogni singolo individuo.


Ettore Neri
Diventa di fondamentale importanza riscoprire il valore del bene comune e quello di un progetto che mira a fare ella coesione fra le sue parti un primario valore fondativo. In un quadro politico-istituzionale che vede i Comuni perdere sempre più potere e mezzi per incidere sulla realtà del territorio che amministra, l'unico futuro auspicabile è quello che vede la Versilia costituirsi come un soggetto unico in grado di dialogare al tavolo dei grandi e di far pesare il proprio potere politico. 
Non si tratta tuttavia un processo di tipo top-down ma bottom-up, di un "sentire" che non si può costruire a tavolino. Il cambiamento deve scaturire scaturisce dai cittadini stessi, chiamati ad abbandonare le proprie posizioni campanilistiche e imparare a ripensarsi come abitanti non di un paese o di un comune, ma di una città del futuro, di un sogno che forse un giorno si concretizzerà se coloro che l'hanno sognato saranno capaci di tradurlo in realtà, un sogno dal nome Città Versilia. 
Si tratta di un'utopia? Forse.
Ma come rimarca la citazione di Kant, riportata all'inizio del libro, tratta da «Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?» del 1784:

L'Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessa è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'Illuminismo.

Sapere aude significa, in ultima analisi, pensare con la propria testa, avendo il coraggio, ed è proprio il caso di chiamarlo così, di sfidare il sentire comune e far avanzare non solo noi stessi, ma anche la comunità in cui viviamo.



mercoledì 3 agosto 2016

Nessuno sa di noi di Simona Sparaco


Dopo aver letto Equazione di un amore mi è venuta voglia di riprendere in mano l'opera prima di Simona Sparaco, Nessuno sa di noi, finalista premio Strega 2013, a mio avviso, il romanzo più riuscito di questa scrittrice. Un  libro difficile e coraggioso perché affronta uno dei pochi tabù rimasti nella nostra società: l'aborto terapeutico. Non è facile parlare della maternità al di fuori dei soliti cliché, raccontare di quelle mamme che mamme non saranno mai, ma Simona Sparaco ci riesce, mettendo giù una storia forte, pura, cruda, che lascia il lettore con un groppo in gola e lo spinge a immedesimarsi, a "sentire" senza giudicare.

Chissà perché sono sempre così insignificanti i pensieri, un attimo prima dell'impensabile.

Luce e Pietro sono una coppia come tante, che, dopo cinque anni di tentativi,  sta per coronare il sogno di avere un figlio. È tutto pronto: la cameretta, i giochi, i vestitini. Lorenzo sta per arrivare.
Durante una visita al settimo mese qualcosa però non va come dovrebbe, Lorenzo è troppo "corto". La ginecologa pronuncia due parole che risuonano come una lugubre sentenza: displasia scheletrica.
Due parole capaci di costruire un solco tra un prima e un dopo, tra una famiglia felice e due genitori alla deriva del loro dolore.


É successo che eravamo felici. Sembravamo volare sopra le nostre vite, cosi meravigliosamente incoscienti. Poi, in un istante qualunque, siamo precipitati. E adesso siamo qui, senza sapere se resteremo paralizzati a vita, o se incerti e zoppicanti, prima o poi, ci rimetteremo in piedi e ricominceremo a camminare.

Da quel momento inizia una corsa frenetica contro tempo. I termini per l'aborto terapeutico in Italia sono scaduti e alla coppia non resta che volare a Londra, nella speranza di una diagnosi diversa.
Ma la speranza è la più grande delle illusioni.
Posti di fronte ad una scelta terribile, Luce frastornata si arrende. Tocca a Pietro prendere in mano la situazione e decidere per entrambi. La città sul Tamigi, in un'atmosfera natalizia surreale,  sarà l'attonita testimone di un decisione che segnerà un punto di svolta nelle loro vite, una macchia indelebile da cancellare.

Ora l'ho capito, in questo imponderabile viaggio non ci sono certezze, possiamo solo camminare avanti, cercando di non avere motivi per non farlo a schiena dritta.

Nessuno sa di noi è un libro che coinvolge, commuove, strazia. Un romanzo che ci pone davanti alla sofferenza di una scelta che nessuno può giudicare. proprio il tema della sospensione del giudizio al centro della storia. Luce è una donna vittima di un dolore immenso, che non si stanca, non si arrende, che la trascina sempre più in basso, in un gorgo tortuoso.
Più forte di tutto il senso di vergogna e inadeguatezza che la sovrasta. Luce si sente colpevole come se fosse stata lei la causa della malattia del suo bambino, un supplizio che la spinge ad isolarsi, a chiudersi in sé stessa, che le impedisce di confessarsi e confrontarsi con gli altri, vittima del pregiudizio e della paura di essere giudicata. Perché il dolore si amplifica nel silenzio, come un urlo nella notte, e ci consegna ad una landa di solitudine.
Nessuno sa di noi  è la storia di un figlio atteso, cercato, desiderato. Un figlio che diventa dolore, poi assenza, poi una luce capace di rischiarare l'oscurità dentro l'animo della protagonista, di riconciliarla con sé stessa, con i suoi vuoti e le sue mancanze.


Indicazioni terapeutiche: per chi crede che il bene e il male, spesso, si confondano, per chi ha  avuto il coraggio di saltare, e di tornare quaggiù, su questa terra desolata eppure bellissima.

Effetti collaterali: Solo col tempo, l'angoscia diventa sopportabile, il ricordo un lumicino di speranza, quella che a volte la vita ci mette di fronte a delle scelte lancinanti, incomprensibili, ma ciononostante si può sopravvivere. Che si può tornare a abitare la propria vita, a dispetto dei graffi e delle cicatrici, feriti, violati, saccheggiati ma più consapevoli di prima.