venerdì 30 gennaio 2015

Le cose che non so di te di Christina Baker Kline

Cosa hanno in comune una adolescente ribelle e una novantunenne rimasta sola? Forse niente, forse tutto. Di sicuro il fatto di essere entrambe orfane.
Questa è la storia di Vivian e Molly, della loro strana amicizia, delle loro infanzie negate. Ma è anche molto di più.
È la storia dei train riders, dei duecentomila bambini orfani, abbandonati e senzatetto che tra il 1854 e il 1929 furono trasportati sui cosiddetti treni degli orfani dalle coste degli stati Uniti orientale nel Midwest con la speranza di essere adottati. (Il titolo italiano non rende giustizia a quello originale Orphan train, a mio avviso molto più centrato).
La verità è che per molti di loro l'adozione si rilevò in verità una vera e propria forma di schiavitù. Scelti come bestie da macello, vennero sfruttai nei campi, picchiati, maltrattai e ignorati dalle famiglie che li avevano accolti. Invece dell'amore trovarono ostilità, indifferenza e solitudine.


Manifesto per l'adozione 

Molti di loro, una volta cresciuti, non parlarono mai più delle loro esperienza. Tanti però, anni dopo, si sono ritrovati grazie ad associazioni come la Midwest Orphan Train Riders di New York, per riallacciare i fili della loro storia e poter far pace col passato.
Attraverso i ricordi di Vivian ripercorriamo la sua vita, segnata dai traumi e dalla consapevolezza di non avere un posto nel mondo.  Crescere per lei ha significato soprattutto capire che la perdita non è solo probabile, ma inevitabile.
Il romanzo da Christina Baker Kline è un libro toccante, struggente e terribile allo stesso tempo. 
L'ho letteralmente divorato, pagina dopo pagina, incapace di staccarmi dalle vicende della protagonista: mi sembrava di essere lì con lei, a simulare, a nascondere le proprie emozioni, a lottare per la vita che meritava.  Nonostante le avversità Vivian alla fine ce l'ha fatta, ma ha pagato un prezzo troppo alto. Ha perso tutto, più volte, e per sopravvivere ha lasciato per strada troppe parti di sé.

Indicazioni terapeutiche: per chi ama le storie che intrecciano passato e futuro, per chi crede nella capacità di autodeterminarsi. Sconsigliato ai cinici.

Effetti collaterali: il romanzo parla dell'importanza di essere amati e accettati, di come ciò che riceviamo nei nostri primi anni di vita ci forma per sempre, determinando le persone che diventeremo. Si può sfuggire alla propria infanzia? O un bambino traumatizzato sarà inevitabilmente un adulto infelice?
Non ho una risposta. Quello che credo è che le cose che contano restano con noi, ci penetrano dentro, tatuate nella nostra coscienza. Sta a noi farne l'uso migliore per diventare chi aspiriamo ad essere.


martedì 27 gennaio 2015

Se questo è un uomo di Primo Levi

Oggi 27 gennaio è la Giornata delle Memoria, istituita per ricordare le vittime dell'Olocausto. Ricorre infatti l'anniversario della liberazione di Auschwitz, il campo di concentramento dove morirono in cinque anni di attività più di 1,5 milioni di persone.
Facciamo un salto indietro di 70 anni.
27 gennaio 1945. Sono più o meno le tre del pomeriggio quando l'esercito della Prima Armata del Fronte Ucraino varca il famigerato cancello di Auschwitz, ad accoglierlo una scritta,  Arbeit macht frei ( Il lavoro rende liberi).  Davanti a loro si materializza l'inferno: uomini ridotti a larve, mucchi di cadaveri bruciati come spazzatura, l'odore della morte che impregna l'aria.
L'orrore che il mondo aveva volutamente ignorato è lì, davanti ai loro occhi.


Quel giorno furono liberati 200.000 prigionieri, tra loro Primo Levi, chimico e partigiano antifascista, catturato nel 1943 dai nazifascisti e deportato, nel febbraio dell'anno successivo, ad Auschwitz in quanto ebreo. Tornato in Italia dedicherà il resto della sua vita a testimoniare l'orrore che ha provato sulla propria pelle.


Tra il mese di dicembre 1945 e quello di gennaio 1947, Primo Levi  scrive il romanzo-memoria Se questo è un uomo, in cui narra quanto da lui vissuto nel campo di concentramento di Auschwitz.
La sua è una testimonianza potente del folle piano preordinato dai nazisti: l'annientamento degli ebrei. La sola morte non era sufficiente: il fine ultimo era annichilire ogni traccia di umanità, spegnere ogni barlume di speranza.
Davanti a tanta atrocità, è quasi impossibile trovare le espressioni giuste per esprimersi. Invece che usare le mie parole, preferisco allora prendere in prestito quelle della poesia omonima dello scrittore:

Voi che vivete sicuri 
nelle vostre tiepide case, 
voi che trovate tornando a sera 
il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli. 

O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.


Indicazioni terapeutiche: per tutti, perché siamo il nostro passato, perché ricordare significa onorare la morte di milioni di vittime, perché senza memoria non c'è coscienza civica.

Effetti collaterali: come ricorda Primo Levi "Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario". Non dite mai  "Io non ce la faccio", non auto-assolvetevi per troppa sensibilità.
A volte l'orrore va guardato in faccia, per quanto spaventoso possa essere. Voltarsi dall'altra parte equivale a diventare complici dei carnefici.


lunedì 26 gennaio 2015

All'alba di San'Anna di Giuseppe Vezzoni



Sabato 24 gennaio alle ore 16 presso la Croce Bianca di Querceta, Giuseppe Vezzoni ha presentato i suoi due libri usciti nel 2014, in occasione del 70° anniversario della stragi nazifasciste in Versilia: All’alba di Sant’Anna e Un prete indifeso in una storia  a metà (per la recensione di questo libro potete consultare un mio precedente post: http://bit.ly/1AhMgV6)
all'incontro hanno partecipato oltre all'autore:

  • Ezio Marcucci, in qualità di moderatore;
  • Prof. Paolo Verona, che ha presentato il libro Un prete indifeso in una storia  a metà, di cui ha curato la seconda riedizione.
  • Don Danilo D'Angiolo, che ha ricordato il ruolo fondamentale di tanti esponenti del clero che nell'atto massimo di carità hanno dato la vita per proteggere le popolazione civili.
  • la sottoscritta, Elisa Bandelloni, che introdotto l'altro libro All’alba di Sant’Anna.
Copertina del libro, Il Margine edizioni.

Quest'incontro si è svolto quasi in concomitanza con la Giornata delle Memoria, la  ricorrenza internazionale che il 27 gennaio di ogni anno commemora le vittime dell'Olocausto.  Lo scopo è mantenere viva la memoria storica, perché come ricorda Paolo Schimdt, presidente dell'Anpi Trentino, nella prefazione del li libro “Un popolo che dimentica le tragedie del proprio passato è destinato a ripeterle”.
All’alba di Sant’Anna, scritto da Giuseppe Vezzoni in collaborazione con Graziella Menato per la casa editrice Il Margine di Trento, ripercorre la breve vita di Don Fiore Menguzzo, sacerdote tesino, medaglia d’oro al merito civile, raccontando la tragica giornata del 12 agosto 1944, quando i soldati tedeschi della 16a SS Panzergrenadier Division del generale Max Simon accerchiarono il paesino di Sant'Anna di Stazzema come rappresaglia contro i partigiani.
Quel giorno anche il giovane parroco don Fiore Menguzzo (28 anni) fu ucciso lungo una mulattiera da una scarica di colpi di arma da fuoco. Subito dopo fu incendiata anche la canonica, dopo che era stato ucciso anche il padre Antonio, di anni 65, la sorella Teresa (36 anni), la cognata Claudina Sirocchi (28 anni), le nipotine Colombina Graziella Colombini ed Elena Menguzzo, rispettivamente di 13 anni e di un anno e sei mesi.


Quando Giuseppe Vezzoni mi ha chiesto di presentare il suo libro, oltre al fatto di essere naturalmente contenta per questo suo atto di fiducia, mi sono subito chiesta cosa potesse significare oggi per me un libro come All’alba di Sant’Anna. E quando dico per me, intendo dire, in senso più generale, per la mia generazione e quelle successive, nate a cinquant'anni dalla fine dell'ultimo conflitto mondiale.
Le domande che mi frullavano per la testa erano più o meno queste: ha ancora senso parlare oggi della Resistenza, della guerra di liberazione, delle stragi nazifasciste? Ha senso parlare della tragica morte di Don Fiore Menguzzo e della sua famiglia?
La risposta che mi sono data è sì.
I racconti della guerra dei nostri nonni sono sempre più sfumati, storie di un mondo che non esiste più, come i sogni che svaniscono all'alba. Ma anche se per noi gli anni della dittatura fascista e della guerra sembrano lontanissimi, chi li ha vissuti non può dimenticare. E allora il compito di tutti noi è ricordare, ricordare perché certe episodi non accadano mai più.
La tragedia delle Mulina è stata a lungo dimenticata, sepolta tra le pieghe della storia. Proprio per questo il lavoro di Giuseppe Vezzoni, durato ben 23 anni, è ancora più degno di stima, perché non solo restituisce la dignità alle vittime ma perché ristabilisce la verità, la memoria storica.
Senza memoria non c'è coscienza.
Senza memoria non si dispone degli strumenti per interpretare la realtà che ci circonda.
Ricordare per non dimenticare quindi.
C'è chi a ricordare ci riesce meglio, come Giuseppe che ricostruisce, grazie alle testimonianze dirette e alla studio dei documenti, la vicenda della strage che la mattina del 12 agosto, ben prima del più tristemente famoso eccidio di Sant'Anna di Stazzema, colpì il piccolo paese delle Mulina.

Monumento a Mulina di Stazzema in ricordo del sacrificio di Don Fiore Menguzzo

La storia di Don Fiore parte da lontano, più precisamente da Tesino, picciolo paese del Trentino orientale. Antonio Menguzzo, padre di Don Fiore, agi inizi del '900 intraprende il lavoro di arrotino girovago con direzione Toscana. In seguito per l'esigenza di trasformare quel lavoro stagionale in fisso, Antonio matura la decisione di trasferirsi con la famiglia.
Fiore Menguzzo nasce il 16 maggio 1916, viene ordinato sacerdote il 23 giugno 1940 e alla fine del 1941 fu inviato come curato della cappellania di san Rocco a Mulina di Stazzema. Era un parroco bello, buono e ben voluto, come si evince dalle numerose testimonianze. Il 21 aprile 1943 Don Fiore viene inviato come cappellano di guerra in Albania dove rimarrà fino all'armistizio. Venne catturato e deportato in un campo di prigionia tedesco (non si è mai scoperto quale) in seguito allo sbandamento generale che colpì l'esercito italiano dopo l'8 settembre 1943, che fece sì che i militari italiani fossero giudicati traditori del Patto tripartito e deportati. Don Fiore durante la prigionia si ammala gravemente e solo grazie alla madre che si adopera per farlo tornare, e all'intercessione del suo vescovo monsignor Gabriele Vettori, riusce a tornare in Italia nel maggio 1944.
Nel breve periodo tra maggio e agosto 1944, si suppone che Don Fiore mantiene uno stretto rapporto coi partigiani, dai quali riceve dispacci e consegna informazioni. Nasconde, inoltre, le armi lasciate dai disertori. Senza dimenticare il suo importante ruolo di guida spirituale che accoglie e aiuta le popolazioni sfollate. Come tanti religiosi scelse di stare dalla parte dei deboli, delle popolazioni inermi, degli sfollati. Proprio il suo prodigarsi per la popolazione e per la lotta di liberazione lo porterà alla morte quella tragica mattina del 12 agosto 1944.
Ma il libro di Giuseppe Vezzoni non si limita solo a testimoniare la storia del sacerdote Don Fiore Menguzzo e della sua famiglia ma apre una riflessione più ampia sul periodo tra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945, la Resistenza.
Il lavoro ancora più difficile è stato scrostare quella patina di ipocrisia che circonda la Resistenza. Tornando al concetto di memoria storica: rispettare la storia vuol dire raccontarla nella sua interezza, con le sue luci e le sue ombre. La fine della guerra ha visto la contrapposizione di due schieramenti: da un lato chi ha attribuito tutti meriti della Resistenza ai partigiani comunisti esaltando il loro eroismo e tacendo i lati oscuri, le vendette personali e certe azioni opportunistiche; dall'altra parte la Democrazia Cristiana che ha preferito gettare nell'oblio tante vittime, negando loro la giustizia che meritano.
Nel mezzo ci sta chi come Giuseppe ha cercato e cerca nei suoi libri di ristabilire quale sia la verità.


Le domande senza risposta sono tante: perché i partigiani si spostarono nel Lucese lasciando scoperti i paesi di di Farnocchia e Sant'Anna?
Don Menguzzo è stato tradito da qualcuno che sapeva della sua collaborazione con i partigiani?
E soprattutto perché l'opinione pubblica, le amministrazioni, la classe politica hanno voluto ignorare la vicenda della strage delle Mulina?
Una risposta non c'è.
Resta la figura di un parroco che, come tutta la popolazione civile, diede il suo contributo “non armato” alla lotta di Liberazione, senza il quale la stessa lotta armata partigiana non avrebbe probabilmente  avuto ragione di esistere.
Un esempio di sacrificio in nome di quel bene comune di cui oggi, in tempi di corruzione dilagante e di antipolitica, abbiamo tanto bisogno.
Vorrei concludere con le parole della prefazione di Sandro Schimd:
"Con questo libro Giuseppe Vezzoni non si è limitato alla ricostruzione della storia dimenticata di don Fiore Menguzzo, che, grazie al suo lavoro, ha avuto il riconoscimento della medaglia d'oro. Fa una cosa, se possibile, più importante: ridà a don Fiore la parola. Don Fiore parla della sua storia e di quella suoi familiari come di una lezione che va letta al presente, che deve, entrare nelle coscienze dei giovani per combattere, con le armi della democrazia, per una società più giusta e un mondo migliore."


mercoledì 21 gennaio 2015

Versilia Rock City di Fabio Genovesi

Oggi vi voglio parlare di un libro di un mio quasi conterraneo (Io Seravezza, lui forte dei Marmi), Versilia Rock city.
Lui, lo avrete capito, è Fabio Genovesi. Uno che che in pochi anni è passato da scrittore emergente a talento indiscusso, acclamato come il nuovo Ammaniti.
Famoso lo è diventato per  la sua straordinaria capacità di dipingere una Versilia inedita (almeno per chi non ci abita), lontana dalle sfavillanti luci della vita notturna, dai ristoranti chic, dalle boutique di alta moda. La Versilia che resta quando i turisti se ne vanno: le spiagge spogliate dagli ombrelloni, i negozi vuoti, i piccoli paesini con le loro giornate tutte uguali. E la gente. Perché la gente della Versilia è una tipologia a parte, coma la luna ha due facce: quella sorridente è accondiscendente che sfoggia nella bella stagione, perché si sa il turista ha sempre ragione, e quella vera, quella autentica e genuina.

Fabio Genovesi

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la Versilia è piena di vita, anche quando le sue strade sono deserte, di storie che vale la pena raccontare. E allora l'inverno versiliese fa da palcoscenico ad un gruppo di personaggi strampalati, disperati ma indomiti: Marius, ex deejay che vive murato dentro casa sua; Nello, che si trova a fare i conti con la paternità; Roberta, che si lascia travolgere dalla passione; e Renato, che si è inventato un lavoro, organizzare finti viaggi per chi non se li può permettere. Genovesi li chiama "underdog", quelli che partono ultimi e tentano di risalire, quelli che, pur essendo nati svantaggiati, non si arrendono al loro destino ma lo combattono.
Versilia Rock city è un romanzo leggero e surreale, ma al tempo stesso diretto come un pugno allo stomaco. Lo stile è senza fronzoli, a tratti colloquiale, divertente e divertito.
Grazie a Genovesi scoprirete la bellezza che c'è nelle piccole storie, quelle celate nella quotidianità della provincia, dove si nasconde ciò che nessuno si aspetterebbe, come la vita che nasce nei fossi fangosi della campagna versiliese.

Scorcio del pontile di forte dei Marmi

Indicazioni terapeutiche: per chi desidera conoscere il lato segreto della Versilia, per chi ama i personaggi stralunati, per quelli che non mollano mai.

Effetti collaterali: C'è una bellezza struggente nel mare d'inverno, nelle nubi nere che si addensano sulle cime delle Apuane, nella confusione che lascia il posto al silenzio, nella frenesia che si trasforma in riflessione. È il sapore della libertà, della fantasia, del vuoto che diventa lavagna per i pensieri. Perché la Versilia è anche questo: farsi inverno per poter rinascere primavera.


venerdì 16 gennaio 2015

Noi siamo infinito di Stephen Chbosky

Oggi voglio parlarvi di un romanzo che è diventato un vero e proprio cult in America  (nel 2012 è stato realizzato anche il film omonimo, la cui regia è stata curata dalo stesso Stephen Chobsky). Noi siamo infinito.
Protagonista è Charlie, una adolescente introverso e taciturno.
Il libro inizia con il suo ingresso alla scuola superiore: Charlie è molto nervoso e, a causa della sua timidezza, non riesce a parlare con nessuno. A poco a poco riuscirà a fare amicizia con due studenti dell'ultimo anno, la bella Sam, di cui si innamorerà perdutamente, e il suo fratellastro Patrick, che gli apriranno le porte della sua nuova vita.
Giorno dopo giorno, vivremo con lui le sue prime esperienze:  i nuovi amici, la prima festa, l'alcol e le droghe, il primo amore.

Scena tratta dall'omonimo film (2012)

Appare subito chiaro che Charlie non è per nulla un ragazzino ordinario. Charlie riflette ma non agisce. Charlie ama ma non si butta. Charlie piange troppo ma non lotta. La sua sensibilità ed ingenuità lo espongono alle intemperie della vita come un nervo scoperto. E proprio lui, dietro un candore che sembra incorruttibile, nasconde un terribile segreto.
Il romanzo è in forma epistolare: il protagonista si confida scrivendo delle lettere  ad un amico immaginario, cui affida le sue emozioni, i suoi dubbi, le sue paure. Questo fa sì il lettore si senta coinvolto in prima persona, tirato dentro la storia, diventando il confidente di Charlie.

Scena tratta dall'omonimo film (2012)
Noi siamo infinito è un romanzo delicato, toccante, dolceamaro che ci trasporta indietro, a quel periodo della vita in cui tutto è nuovo, sorprendente, totalizzante. Quando si ama con tutto il cuore e ogni sofferenza sembra che debba ucciderci.

Indicazioni terapeutiche: per chi ha amato il Giovane Holden, per chi cerca un libro che parla in maniere diversa degli adolescenti.

Effetti collaterali: siamo stati tutti adolescenti, estranei al mondo ma anche a noi stessi. Poi siamo cresciuti. Abbiamo tracciato un confine tra ciò che siamo e tutto il resto. 
Ma quella sensazione lì, quella di essere infiniti, parte di qualcosa di più grande, di indicibile, non l'abbiamo mai dimenticata.


martedì 13 gennaio 2015

Je suis Charlie

Je suis Charlie. 
Sotto l'egida di questo nome migliaia di persone in tutto il mondo si sono unite sul web, come nella vita reale, per gridare tutto il loro dolore e la loro indignazione.
Je suis Charlie per  dire NO alla violenza,
Je suis Charlie per dire che non ci faremo cambiare da chi, col terrore, tenta di farci diventare qualcosa diverso da ciò che siamo.
Je suis Charlie per ribadire che la libertà di espressione e di pensiero è uno dei pilastri della nostra società a cui non siamo disposti a rinunciare. 

Vedendo la grande sfilata a Parigi in memoria delle vittime che lavoravano al Charlie Hebdo  ho provato una grande commozione. Certo non si può far finta di non vedere l'ipocrisia di certi capi di stato (penso ai governati di paesi come la Russia, la Turchia, la Giordania che hanno sfilato a favore della libertà di espressione quando loro sono i primi a calpestarla) ma è indubbio che l'ultimo attentato alla sede del settimanale di satira francese non ha scosso solo la Francia ma il mondo intero.

Fiaccolata a Parigi in memoria delle vittima di Charlie Hebdo

Alcuni pensano che si tratti di un preludio di una guerra tra civiltà, tra oriente e occidente, tra cristiani e musulmani. Molti soffiano sulle braci dell'odio razziale fomentando vendette e ritorsioni, ignorando il fatto che la violenza genera solo altra violenza. 
La gente ha paura. 
Ho sentito troppe persone in questi giorni riempirsi la bocca a sproposito con parole come difesa della libertà, identità culturale cristiana, guerre religiose. 
Sono le stesse persone che condannano il terrorismo ma, allo stesso tempo, ritengono le vignette dello Charlie Hebdo troppo volgari e irrispettose. O quelli che querelano ogni persona per diffamazione e poi inneggiano al giornalismo indipendente (vedi Barbara D'Urso). O quelle trasmissione televisive che portano il lutto per la redazione parigina ma sono le prime ad aver censurato personaggi e programmi scomodi (vedi La 7 con Luttazzi).

Copertina del 13/01/15

La verità è che non siamo tutti Charlie. Che poche persone possono dire di essere veramente libere, libere non solo di esprimere la propria opinione ma anche e soprattutto di accettare quella altrui, anche quando ci offende, ci disturba, ci spaventa. 
Credete davvero che dobbiamo tutti imbracciare un fucile in difesa della nostra identità culturale? Che la guerra sia imminente?
Non sono né un giurista né un politologo, non so se c'è una soluzione, di certo non ne esiste una facile. Ma credo che il vero atto di coraggio sia essere rivoluzionari nella vita di tutti i giorni.
Il vero cambiamento parte da noi: nell'accettare il diverso, nella voglia di dialogare e capire gli altri, nel rifiutare facili bersagli dell'odio che altro non sono che fumo negli occhi. Nell'avere una coscienza critica e nell'usarla. Perché quando le persone smettono di pensare si comportano da folla.
E la folla sceglie sempre Barabba.


sabato 10 gennaio 2015

Non c'è niente che non va, almeno credo di Maddie Dawson

Probabilmente è vero che non capiamo il valore di qualcosa finché non lo perdiamo, ma è altrettanto vero che non sappiamo di cosa abbiamo bisogno finché non lo troviamo. 
Questa è la storia di Rosie, una donna di quarantaquattro anni, che, da un giorno all'altro, si ritrova catapultata in una vita che non sembra più la sua. 
Rosie convive da anni con il suo compagno Jonathan. Non si sono mai sposati e non hanno figli. I loro amici li considerano degli eterni adolescenti ma forse la loro è solo invidia.
Finché un sabato mattina una telefonata sconvolgerà le loro vite: Jonathan ha ricevuto una proposta di trasferirsi in California ed aprire un museo sulle tazze di porcellana, la sua grande passione. Pazzo di entusiasmo chiede a Rosie di sposarlo e seguirlo.
I loro progetti subiranno però una brutta battuta di arresto: Rosie, costretta a rimandare la partenza per occuparsi di Soapie, la sua bizzarra nonna ultraottantenne, entra in crisi. Qual è veramente la vita che vuole? Si ritroverà "bloccata" nella casa in cui è cresciuta in compagnia della nonna, che la spinge a inseguire i propri desideri, del suo amante George e di Tony, un badante particolarmente sui generis. Tra una stravaganza e l'altra, capirà che non è mai troppo tardi per correggere il tiro e che la felicità è sempre più vicina di quanto si possa immaginare.
L'ultimo romanzo di Maddie Dawson è romantico, ironico, “leggero”, nel senso migliore del termine. Nonostante affronti situazioni complicate e momenti dolorosi, il tono è sempre fresco e divertente, senza mai scadere nel melodrammatico. L'happy end è abbastanza scontato ma la lettura, seppur poco impegnativa, regala qualche ora di spensieratezza.


Indicazioni terapeutiche: per chi ama le storie leggere ma non superficiali.

Effetti collaterali: chi ad un certo punto della propria vita non si è sentito bloccato? Oggi è il primo giorno del resto della tua vita: non sprecare altro tempo, rimboccati le maniche e inizia a dare un senso nuovo alla tua vita.



mercoledì 7 gennaio 2015

Se chiudo gli occhi di Simona Sparaco

Viola è una donna grigia, dai contorni sfumati, che ha imparato ad abitare una vita non sua. Un lavoro noioso, un matrimonio tiepido, una figlia amatissima da cui però sembra separarla un muro.
La sua vita è tutta lì, lontana dalla sue passioni di bambina, dall'amore per la scrittura.
Poi un giorno, dopo anni di silenzio, sulla porta del negozio dove lavora compare suo padre, l'artista famoso che non ha mai avuto tempo per lei, che l'ha fatta sentire sempre fuori posto. L'uomo che ama e odia di più al mondo.
È tornato per proporle di tornare con lui al suo paese natio, per cercare di fare pace col passato. Seppur riluttante Viola accetta. Ignora che partendo metterà in moto un meccanismo che rivoluzionerà la sua intera esistenza, costringendola a rimettersi in discussione.
Un viaggio che la catapulterà nella vita di suo padre e le farà scoprire i segreti che lo tormentano, l'emozione che c'è dietro la sua arte e da' vita alle sue opere. Conoscerà le donne che hanno segnato la sua vita: la madre Clara, immobile e silenziosa, incatenata ad un non-vita a causa di un aneurisma cerebrale, la nonna Antina, custode del mistero delle Sibille, e Nora, la discepola che erediterà il "segreto" degli antichi culti. E infine lei, Pauline, dai capelli color rame, l'unica persona che l'abbia capito nel profondo, aldilà della sua stessa pelle, l'unica donna che abbia veramente amato e che non ha mai dimenticato.

L'autrice Simona Sparaco
Attraverso i ricordi di suo padre, farà pace con sé stessa e scoprirà la potenza del perdono e della verità, che le darà la forza di ricominciare tutto daccapo.
L'autrice Simona Sparaco, dopo l'intenso Nessuno sa di noi, ci regala un altro libro che ci racconta di un amore filiale, di come attraverso gli occhi dei nostri genitori impariamo a conoscerci e riconoscerci nel mondo, ad amarci e lasciarci amare dagli altri. Senza quel tassello siamo persi, naufraghi in un mare troppo tempestoso, incapaci di abbandonarci alla felicità.

Indicazioni terapeutiche: per chi crede nella forza della magia e dell'amore.

Effetti collaterali: "Credi solo in quello che vedi. Il fatto che tu sia l'unica persona a vederlo non vuol dire che non esista." Il segreto di nonna Antina è tutto qui. Non importa se la magia esista oppure no, ma se si è abbastanza visionari da credere nulla è impossibile.

domenica 4 gennaio 2015

Presentazione "Il Natale di Alfonso. Una storia tutta italiana" di Giuseppe Vezzoni

Ieri sabato 3 gennaio alle ore 16, presso la sede della Croce Bianca di Querceta, si è tenuta la presentazione del libro "Il Natale di Alfonso. Una storia tutta italiana" di Giuseppe Vezzoni. Insieme all'autore hanno preso parte all'incontro Ezio Marcucci e il prof. Paolo Verona, che ha curato la revisione del testo.
Devo ammettere subito con rammarico che i partecipanti erano pochi. Dico con rammarico perché il racconto confezionato da Vezzoni non solo è stilisticamente di valore ma molto attuale, tanto che ha spinto tutti i presenti ad interrogarsi e mettersi in gioco, aprendo un vivace dibattito. Quello che mi auguro è che molti altri possano conoscere ed apprezzare quest'opera, regalandosi un'occasione di riflessione su cosa significhi oggi avere fiducia nel presente in una società che conosce una profonda crisi non solo economica ma anche valoriale.
Siamo all'antivigilia di Natale ma il protagonista, Alfonso, non ha nessuna voglia di festeggiare. Anzi, ha il cuore greve e riesce a stento a nascondere ai suoi familiari il suo turbamento. A due giorni da Natale ha ricevuto una terribile notizia: a causa della crisi l'azienda ha deciso di metterlo in mobilità. Alla paura di perdere il lavoro, l'unica fonte di reddito per la sua famiglia, si aggiunge la preoccupazione per il mutuo della casa. L'istituto bancario, così prodigo quando si era trattato di elargire il prestito, lo ha avvertito che in caso di insolvenza prolungata si andrebbe incontro al pignoramento della proprietà.
Alfonso si sente inutile, senza futuro né prospettive. Come farà a prendersi cura di sua moglie e dei suoi figli? Il tormento che lo assale è tale che arriva perfino a meditare di togliersi la vita.
Ma la notte di Natale è una notte speciale, la notte in cui tutto è possibile. Quando tutto sembra perduto, il miracolo tanto auspicato da Alfonso accadrà. 
Il racconto è dolce-amaro: amaro perché rispecchia la situazione socio-economica attuale, il clima di sfiducia in cui viviamo, ma al tempo stesso si tratta di una storia a lieto fine, come ci si aspetta da un racconto di Natale, che apre uno spiraglio, la necessità di sperare in un futuro migliore.
Come ha sottolineato il prof Verona, si riscontrano alcune analogie con la celebre opera di Dickens dedicata al natale "A Christmas Carol". Certo Alfonso è lontano anni luce dall'avido e ricco signor Scrooge ma come lui, proprio la notte di Natale, guardandosi nel cuore riscopre l'importanza dell'amore e della famiglia, principi di cui la società oggi ha più che mai bisogno. Solo infatti riscoprendo il valore dell'altro, della solidarietà, della comunanza si può far fronte a questa crisi, che non solo impoverisce, ma genera indifferenza e sospetto, mettendo gli uomini l'uno contro l'altro in una guerra di homo homini lupus.
Proprio questo è il messaggio che Vezzoni ha inteso inviare ai suoi lettori: come persone non dimenticate mai l'importanza della famiglia, perché nei momenti di difficoltà sono proprio gli affetti più cari a darci la forza per continuare a lottare; come lavoratori collaborate tra voi rinunciando agli egoismi personali in virtù del bene comune, affinché tutti abbiano di più.
Perché anche in situazioni di estrema solitudine e di scoraggiamento non bisogna mai perdere la speranza nella speranza (cit. Giuseppe Vezzoni), mai abbandonare la convinzione che non si è mai soli e che la vita vale sempre la pena di essere vissuta.