martedì 31 marzo 2015

Omaggio a Sirio Giannini


Sabato 28 marzo ricorreva il 90° anniversario della nascita dello scrittore Sirio Giannini, nato a Seravezza nel 1925 e morto prematuramente all'età di 35 anni, in seguito ad un'operazione chirurgica.
Autore autodidatta, iniziò a dedicarsi alla scrittura verso i vent'anni, dopo aver esercitato numerosi mestieri come il  meccanico, il renaiolo e il bracciante agricolo nella pianura padana ( dove sfollò con la famiglia nel 1944 quando i tedeschi trasformarono la zona apuo-versiliese nella Linea Gotica) e l'informatore farmaceutico.
Nel 1956 pubblica nella prestigiosa collana La Medusa di Mondadori la raccolta di racconti Prati di Fieno che vince il Premio Firenze. Nel 1958 esce il romanzo La Valle bianca, con cui ottiene il Premio Hemingway, assegnatogli dalla giuria in cui spiccavano personalità quali Dino Buzzati, Remo Cantoni, Giacomo Debenedetti, Alberto Mondadori, Eugenio Montale, Fernanda Pivano ed Elio Vittorini. Al momento della sua morte, stava lavorando al romanzo Dove nasce il fiume, che viene pubblicato postumo nel 1961.
Giannini collaborava, inoltre,  con numerosi giornali e riviste e si era dedicato anche al cinema. Nel 1961 il cortometraggio I cavatori, di cui fu regista e sceneggiatore, fu premiato con l’Airone d’oro e il Trofeo Fedic nel concorso nazionale del film d’amatore di Montecatini Terme.
Nel 1983 un gruppo di estimatori di Sirio, tra cui Giuseppe Tartarini, Leopoldo Belli, Costantino Paolicchi, Paolo Capovani, Anna Guidi, Valeria Nicodemi, Alfredo Barberi e altri, con il sostegno dello stesso padre dello scrittore, Gino, iniziano a lavorare insieme con lo scopo far conoscere le opere di questo giovane autore seravezzino, che sembrava fosse stato dimenticato. In seguito, si fece largo l'idea che occorresse una struttura più organizzata, che potesse farsi anche promotrice di attività culturali sul territorio, sempre nel nome di Sirio. Nel 1986 si costituisce così ufficialmente il Circolo Culturale Sirio Giannini.
Grazie, inoltre, al generoso contributo della famiglia Giannini nel 1985 viene istituito il Premio Letterario I ragazzi raccontano, a scadenza biennale , che coinvolge gli allievi degli istituti scolatici della Scuola Secondaria di primo e secondo grado del territorio versiliese.

Copertina del romanzo La Valle bianca edito nel 1958 da Mondadori

Sirio Giannini resta uno degli scrittori più importanti a cui la nostra terra, la Versilia, abbia dato i natali. La sua opera più conosciuta è il romanzo La Valle bianca.
La Valle bianca è un'opera unica nel suo genere, che descrive con realismo e sentimento il mondo dei cavatori, come nessun altro autore ha mai saputo fare. Un mondo duro dove le buone giornate sanno di pane, e la fatica si mescola allo scintillio della luce che si rifrange sul bianco del marmo. Ma le brutte giornate si pagano a caro prezzo: penetrare i misteri della montagna può costare la vita.
Il romanzo racconta la storia di Stefano, che dopo aver fatto fortuna in città, torna a Seravezza con l'intenzione di comprare un terreno per dare vita ad un agrumeto sulle colline di Corvaia. 
Il racconto si apre con toni dolci, quasi bucolici, con la volontà del protagonista di tornare a casa e godersi una vita tranquilla, ma la mancanza di lavoro e il disagio in cui si trovano i suoi amici e concittadini lo spingeranno a costituire una cooperativa per riaprire la cava di sua proprietà.
Artefice di questo cambiamento è Giulio, il cugino, che, forte della sua giovane età e del suo entusiasmo, sogna di sfuggire allo sconforto in cui la condizione di disoccupato lo ha gettato.
Lo scrittore costruisce così l'antitesi trai due personaggi principali: da una parte Stefano, un uomo disarmato, la cui voglia di lottare si è consumata nelle delusioni ricevute, dall'altra Giulio, che combatte per non essere sconfitto.

Liazztura Monte Altissmo 1908 

Giannini apre al lettore il mondo dei cavatori, la Valle Bianca: la fatica del lavoro, le strade impervie e polverose, il sole che illumina il baluginio del marmo, la fatica e la soddisfazione di trasportare i blocchi a valle. Un realtà che non ammette distrazioni, perché lassù in cava ogni uomo mette la sua vita nelle mani degli altri, e solo la fiducia nell'altro può fare la differenza.
Pagina dopo pagina, lo stile cambia, diventa più asciutto, essenziale, quasi ad imitare il carattere dei cavatori, uomini dal carattere marmoreo e di poche parole. L'autore ci accompagna, mano a mano, lungo un sentiero che si inerpica tra sogno e realtà, tra desiderio di pace e lotta per la sopravvivenza.
Giannini tratteggia un affresco della Versilia degli anni '50, un inno alla sua terra, dove si mescolano amore  e morte, realismo e socialismo, consegnandoci un romanzo che, come ogni classico, è sempre attuale. Un elogio alla dignità del lavoro e al senso di responsabilità che gli uomini dovrebbero avere gli uni per gli altri. Una lezione che non andrebbe mai dimenticata.


lunedì 30 marzo 2015

Intervista a Viola Giannelli

Per la mia prima (e emozionante) intervista ho incontrato Viola Giannelli, giovane scrittrice di Forte dei Marmi.
Dopo il liceo classico ha conseguito una laurea specialistica in Lettere con indirizzo Teatro, Cinema e Produzione multimediale. Attualmente sta continuando gli studi per conseguire una seconda laurea in Letteratura. Oltre alla scrittura, ha una passione per il teatro e il canto lirico.
Nel 2013 ha pubblicato il suo primo libro, una raccolta di racconti, Brioches Calde, pubblicato da Giovane Holden Edizioni.
Neo-mamma da poco del suo secondo figlio Christian (il primo si chiama Nicholas), durante la nostra intervista, che si è trasformata subito in un conversazione fiume, abbiamo affrontato numerosi argomenti: dai nostri libri preferiti al futuro, dalla passione per la letteratura ai concorsi per scrittori emergenti.
Il suo primo libro raccoglie otto storie diverse tra loro, alcune ispirate al paranormale, altre alla memoria, tutte che spingono il lettore a confrontarsi con il vero senso alla vita. Cosa fa di noi ciò che siamo: i ricordi, l'amore, i sogni, le passioni?
Viola è vulcanica. Passa da un argomento all'altro alla velocità della luce, ha mille interessi, una miriade di progetti. Ti coinvolge e ti travolge come un treno in corsa e l'unica cosa che ti resta da fare e saltare sul vagone e partire con lei.
Per cominciare Viola, com'è nata questa tua passione per la letteratura? Ha sempre fatto parte di te e, se sì, come l'hai coltivata negli anni?
A due anni avevo già gli occhiali, una piccola quattrocchi, e come tutti gli altri bambini occhialuti alla scuola materna venivo relegata in un angolo con un libro, all'inizio senza parole. Poi ho avuto come insegnati delle suore progressiste (non quelle cattive che ti bacchettano se hai la mano sinistra del diavolo!) che avevano sistemato una piccola libreria in un angolo e ci invitavano alla lettura.
Inoltre, fino all'età di 7 anni ogni volta che ero malata, quindi sempre a dire la verità, mia mamma invece dei dolci mi regalava un libro. Insomma la mia passione per la lettura è nata e cresciuta con me.
E invece la tua passione per la scrittura?
In effetti è tutto collegato. Anche la mia maestra delle elementari stimolava molto la nostra capacità di scrivere. I conti no. Direi che scrivo perché non so contare.

Copertina del libro

Nel 2013 esce la tua prima opera Brioche Calde. Ci vuoi parlare di questa raccolta di racconti? 
Questa raccolta nasce da un concorso di scrittura a cui ho partecipato organizzato dalla casa editrice Holden di Viareggio. Sono arrivata quarta con il racconto che avevo presentato, Brioche Calde, e mi è stata fatta la proposta di scriverne altri e pubblicare, appunto, una raccolta di racconti.
Perché è stato scelto come titolo proprio Brioche Calde?
Il titolo è stato scelto dall'editrice. Da una parte si ricollega all'opera inedita con cui avevo partecipato al premio letterario, dall'altra ogni racconto, che è diverso dall'altro, è come una brioche con cui una persona fa colazione la mattina. Anche la copertina richiama l'idea di io che faccio colazione.
Come sono nati gli altri racconti? Li avevi già scritti?
Mi sono stati chiesti altri racconti, alcuni ce li avevo già, altri invece li ho "partoriti" mentre ero incinta, mentre allattavo, mentre correvo. Questo, devo dire, mi ha aiutato in parte. Secondo me l'urgenza è attivante. Dal caos si crea. Sono racconti nati in periodo in cui mi stavo avvicinando a tematiche nuove per me. Sono sempre stata affascinata da soggetti realistici,come la memoria e i ricordi degli anziani (quelle affrontate nel racconto "La scommessa",nda), ma grazie al mio compagno Simone mi sono avvicinata a questioni legate al paranormale e al sovrannaturale. Inoltre, grazie ad una mia amica e a mio cognato ho scoperto anche una nuova passione, quella per il fumetto Dylan Dog (ci sono alcuni chiari riferimenti nel libro ma lascio a voi lettori il piacere di individuarli, nda).
C'è un filo conduttore tra i tuoi racconti?
Li ho scritti tutti nell'arco di un periodo breve, circa tre mesi. Sono una scrittrice veloce: non partorisco tutte buone cose, ma le partorisco tutte velocemente. Se devo pensare ad un filo conduttore direi che è  la morte, gli eventi luttuosi anche all'interno di storie felici. C'è sempre un riferimento dark e gothic, anche nei testi più leggeri. Se il lettore ci fa caso c'è sempre una morte. Forse è quello l'unico nesso. Ma è stata una cosa non decisa a tavolino, una casualità.



Nuovi progetti?
Ho altri racconti nel mio cassetto mentale: ho già in mente titoli o una frase particolare ma non ho avuto ancora il tempo di scriverli. In realtà ho in ballo tre o quattro progetti: un romanzo, anche se la parola romanzo mi sembra troppo pretenziosa, mi sembra di evocare le anime dei grandi romanzieri russi o Elsa Morante. Preferisco parlare di racconto lungo. Poi piccole pillole fantasy, brevi racconti, in contrasto con l'idea che il fantasy deve per forza essere lungo e ammorbante. Inoltre, vorrei scrivere un vademecum per gli universitari di Pisa: una guida dei luoghi speciali dove andare a prendere il caffè o studiare, correlati da aneddoti e considerazioni personali. E, comes e non bastasse, voglio continuare a  partecipare a concorsi letterari, come ho sempre fatto.
Parteciperai a breve a qualche premio?
Sì, ne ho uno in scadenza il 30 aprile e un altro il 29 maggio. Lo faccio perché credo che tenga allenati e ti dia la possibilità di metterti alla prova, cimentandoti magari con tematiche diverse e inusuali.
Quindi sei competitiva?
Sì, molto. Una competizione sana, intendiamoci. La sfida mi da' l'adrenalina per riuscire e soprattutto per sopperire alla mancanza di sonno (che avendo due figli piccoli è fisiologica)! Il confronto mi stimola perché ti rendi conto che c'è gente molto più brava di te e questo ti aiuta a lavorare sulle tue lacune, spingendoti a leggere di più o a lavorare su come stimolare le idee. Anche la creatività va nutrita, non si nasce imparati! Partecipare ai concorsi ti aiuta in questo senso, ti fa conoscere persone nuove, che magari possono ispirare alcuni personaggi, chi lo sa. Per questo ne ho affrontati tanti e continuerò a farlo.
Ti capita di essere influenzata quando scrivi da quello che stai leggendo?
Aldilà dei grandi geni della letteratura, tutti siamo influenzati. Dalle letture, dalle persone che frequentiamo. Io non me ne accorgo più di tanto perché leggo molto fantasy ma non scrivo fantasy, quindi in questo caso l'influenza è relativa. In una storia realistica, di fatto, è difficile inserire le tecniche fantasy. Più che altro sono influenzata dal "genere". Nel senso che spesso quando scrivo mi forzo a pensare come lo scriverebbe un uomo. Alcuni racconti della mia raccolta sono stati scritti da un punto vista maschile.
Qual è secondo te la differenza nella cifra letteraria tra il modo in cui scrive un uomo o una donna?
Tante sfumature: l'approccio alla descrizione dei sentimenti, la lunghezza della frasi, come vengono descritte le dinamiche relazionali. Penso, ad esempio, all'ironia o al cinismo di Nick Horbny o di Stefano Benni.
Perché ti "sforzi" a scrivere dal punto di vista di un uomo?
Perché è stimolante indossare i panni dell'altro sesso, provare ad immaginare come un determinato sentimento potrebbe essere affrontato da un uomo. E allora cambia completamente l'andamento del racconto. Poi alla fine è tutto relativo, credo. Alcuni non riscontrano questa differenza nel modo di scrivere e vedere il mondo, ma di solito sono uomini.

Viola Giannelli vince il concorso In punta di Penna con il suo racconto "Peccato mortale"

Personalmente ti apprezzo molto per il modo in cui riesci a dedicarti alle tue passioni nonostante tu sia mamma di due bambini piccoli, con tutto l'impegno che ne comporta. La maternità come ha influito sulla tua creatività? Ti ha cambiato?
Come persona sono indubbiamente cambiata. Una volta partorito smetti di pensare esclusivamente a te stessa. Secondo me l'adolescenza finisce il giorno che diventi mamma. Per quanto riguarda la creatività mi sento la stessa. Devo ammettere che però la maternità mi ha obbligato ad attaccarmi, in un certo senso, alla scrittura, a ritagliarmi un mio spazio per scrivere. Mi ha fatto capire quanto veramente ci tenevo. Inoltre ti aiuta quando devi fare le dediche, quello sì, e nei racconti più comici, puoi inserire le varie disavventure legate al parto. Non l'ho vissuta come una condizione limitante (almeno lo è solo per i primi tre anni).
Ultima domanda: ti vedi in un futuro, speriamo non troppo lontano, scrittrice o giornalista o comunque pensi un giorno di riuscire  a fare di questa tua passione una professione a tempo pieno?
Devo. Prima di tutto perché Forte dei Marmi non può avere solo uno scrittore maschio edito da Mondadori (Fabio Genovesi, nda), ma è indispensabile che spicci anche una voce femminile in quella che è diventata la cittadina dei russi. Poi devo mandare le copie dei miei libri a tutti coloro che pensavano che non ce l'avrei fatta.

E allora Viola, in bocca al lupo! Il talento e la personalità per avere successo non ti mancano.

venerdì 20 marzo 2015

La tetralogia di Elena Ferrante: da L'amica geniale a La storia della bambina perduta


Sapete come caccia il ragno? Non si sfinisce in lunghi inseguimenti ma tesse con abilità la sua tela e aspetta pazientemente. E la preda non può che, attirata inesorabilmente dalla sua stessa sorte, finire in trappola.
Così mi sono sentita io: catapultata nel mondo disegnato ah hoc dalla scrittrice Elena Ferrannte. Un mondo disordinato e schizofrenico, un mondo di frammenti che schizzano da ogni parte, in cui le due protagoniste tentano disperatamente di non andare in frantumi.
Raramente mi sono sentita così compartecipe delle vicende di un romanzo che stavo leggendo. Il coinvolgimento emotivo è stato tale che, anche se chiudevo il libro, continuavo a sentirmi incastrata nelle vicende e nelle emozioni dei personaggi. Se Lenù era scoraggiata, mi sentivo giù di morale anch'io, se era innamorata, improvvisamente il mondo intorno a me diventava più seducente. Empatia allo stato puro.
Dopo il primo libro L'Amica Geniale (per la recensione http://bit.ly/1Mva63j), con gli altri tre volumi della saga Storia del nuovo cognome, Storia di chi resta e di chi fugge, Storia della bambina perduta, continua il racconto che ripercorre la storia dell'amicizia tra Lenù e Lila, dall'infanzia alla maturità.
I quattro romanzi coprono un arco di tempo che va dagli anni '60 ai giorni nostri. Un racconto che si intreccia con le vicende della Storia italiana: i movimenti degli anni '60 e '70, i gruppi operai, il femminismo, il terrorismo, tangentopoli. Un'unico grande affresco che intreccia realtà e letteratura ma al cui centro resta sempre il rapporto tra le due protagoniste. Un rapporto fatto di scontri, di incomprensioni, di invidie ma che, ciononostante, resiste nel tempo. Un rapporto attraverso il quale le due donne si specchiano l'una nell'altra, perdendosi e mescolandosi.
Un'amicizia tra due donne che non avrebbero potuto essere più diverse ma che hanno saputo trarre il meglio dal loro rapporto. Lenù, al secolo Elena Greco, incarna la donna che si mette in gioco, che riesce a far carriera nonostante le umili origini, voltando pagina ed estirpano le proprie radici, culturali e geografiche. Lila, alias Raffaella Cerullo, non lascerà mai Napoli: bella e intelligentissima, una vera capo-popolo, capace di scardinare ogni convenzione sociale e rompere tutti gli equilibri.

Particolare copertina Storia della bambina perduta
Elena Ferrante ci consegna una storia palpitante, che coinvolge e sconvolge, sullo sfondo di una Napoli cattiva e decadente. Una prosa magica che rapisce il lettore e che gli fa agognare ogni momento libero per dedicarsi alla lettura. Quattro libri che si leggono tutti d'un fiato (anche se devo ammettere che ho amato in particolar modo i primi due) in bilico tra il desiderio di continuare a immergersi nella lettura e quello che la storia non finisca mai.

Indicazioni terapeutiche: per chi cerca una storia che lo strappi alla realtà, per chi vuole gettarsi a capofitto in un libro per rendersi conto, in fondo, che una fine vera non c'è.

Effetti collaterali: Col senno di poi, dopo aver letteralmente divorato i quattro romanzi della Ferrante, pagina dopo pagina, credo che L'amica geniale del primo libro non sia Lila ma Lenù: è lei che riesce a tirarsi fuori dalla propria condizione di povertà e miseria e, anche se stabilisce un nesso causale tra il suo talento e il rapporto con Lila, è sempre lei che, passo dopo passo, si costruisce la vita a cui aveva sempre aspirato. Mi sono molto riconosciuta in lei, nella sua voglia di riuscire bene, nelle sue paure di non essere mai all'altezza delle aspettative.
Anche il concetto di smarginatura mi sembra si evolva e cambi: non si tratta tanto di uno squarcio della realtà ma di un confondersi dei confini delle cose e delle persone, come se la realtà fosse un continum, in cui ogni elemento si mescola e si scompagina. Un dissolversi delle cose, un essere estraneo alla realtà, che è percepita come distante ed estraniante. Una volontà da parte di Lila non di morire o partire, ma di scomparire, di smettere di esistere da un momento all'altro.


mercoledì 11 marzo 2015

L'amica geniale di Elena Ferrante

Ho deciso di comprare questo romanzo dopo aver letto la recensione che Daria Bignardi ne ha fatto sul suo blog.
Devo ammettere che non sono rimasta delusa. Anzi, credo che la tetralogia nata con L'amica geniale ( a cui fanno seguito altri tre libri) creata dalla penna di Elena Ferrante (pseudonimo dietro il quale non si sa chi si celi) si assicurerà un posto nel cuori di migliaia di lettori
Non per nulla Roberto Saviano ha scritto su Repubblica per proporre la candidatura di Elena Ferrante al premio Strega, e Elena Ferrante ha accettato, sempre su Repubblica, la candidatura.
Le congetture su chi si nasconda in realtà dietro Elena Ferrante, come era facile immaginarsi, si sprecano. Dalle pagine emerge il profilo di una persona nata e cresciuta nella Napoli del dopoguerra, non saprei dire se uomo o donna. Mi piace pensare che sia una donna, per l'immagine potente e dura che da' dell'amicizia tra Lila e Lenù, le due protagoniste del romanzo.
Perché il libro è essenzialmente la storia della straordinaria amicizia tra queste due bambine, che crescono negli anni '60 in un rione popolare di Napoli. Lila è bella e indomabile, mentre Lenù è timida e studiosa. Lila è l'amica geniale del titolo, quella che sembra destinata ad elevarsi, quella con maggiore consapevolezza, quella che nasconde dentro di sé una forza che nessuno sembra poter piegare.
Entrambe cercheranno, ognuna a sua modo, una possibilità per evadere da una vita che va loro stretta, dalle famiglie che le opprimono, da una comunità, sulla quale si allunga l'ombra della camorra, dove vige solo la regola del più forte.  Non è il mondo fatato dell'infanzia della favole: è una realtà dura che non fa sconti, violenta , dove l'ignoranza la fa da padrona


Anche il linguaggio è crudo, senza filtri, che colpisce come uno schiaffo in pieno viso. Ciononostante, o forse proprio per questo, è impossibile non rimanere avvinti dal mondo disegnato da Elena Ferrante, non parteggiare nella lotta di Lila e Lenù per emergere nonostante tutto.
Il libro è una calamita: impossibile staccarsi. Questo primo volume, che narra solo l'infanzia delle due ragazzine, non ha un finale. Come avvinta da un sortilegio, appena l'ho finito, sono corsa ad acquistare il seguito per continuare a seguire la storia di Lila e Lenù, tifando per loro, con la speranza che riescano a salvarsi dall'ipocrisia e dalla violenza del mondo in cui sono nate.

Indicazioni terapeutiche: per ama le donne forti che alla fine, a dispetto di tutto, ce la fanno.

Effetti collaterali: Lila, l'amica geniale, all'interno del romanzo, conia il termine "smarginatura": la sensazione che si prova quando in un preciso istante dell'esistenza, la realtà pare squarciarsi come un velo, lasciando intravedere la verità.  Un istante in cui tutto si ferma e si fa chiaro. Un'epifania che permette di mettere in fila tutti gli avvenimenti della nostra vita e capirne il vero significato. Una sensazione che striscia fino agli anfratti più segreti dell'animo umano, diffondendo un senso di profondo malessere e frustrazione.


venerdì 6 marzo 2015

La zona Cieca di Chiara Gamberale


Inizio subito dicendo che questo è uno dei libri che ho amato di più, che ha fatto risuonare qualche parte dentro di me, che nemmeno sapevo di avere.
Di sicuro è  il libro che mi ha fatto innamorare di Chiara Gamberale, che è oggi una delle mie scrittrici italiani preferite. La sento vicina perché imperfetta, fragile e potente al tempo stesso.
L'autrice ci racconta la storia di amore tra Lidia e Lorenzo, fra una donna confusa e spaventata e un narcisista patologico.  Un amore complicato, difficile, malato. Uno di quegli  amori che ingabbiano, da cui non si riesce a liberarsi.
La zona cieca del titolo è quella parte di noi che ignoriamo, tutto quello che gli altri colgono di noi ma che a noi sfugge. Una zona che può essere la nostra salvezza o la nostra condanna.
Perché ci sono persone che riconoscono istintivamente i nostri punti deboli e sfruttano proprio quelli per legarci a loro
Proprio quello che fa Lorenzo: blandisce Lidia, la fa sentire la donna migliore del mondo e poi, seguendo i cambi repentini del proprio umore, la scaraventa all'inferno. La respinge, la ignora, la mortifica. Ma lei torna sempre, cieca alle delusioni, come un drogato che non può più vivere senza il suo veleno. E non importa quanto Lorenzo la umili: ogni ferita paradossalmente aumenta il suo amore per lui, lo rende più forte, più violento, più indispensabile.
E Lidia per quell'amore così assoluto è pronta a rischiare tutto, costretta a difendere non solo se stessa, ma la sua stessa relazione malata. 
Ma l'amore stesso non è forse una malattia?
Vivere nella convinzione che esista l'anima gemella, una sola persona tra miliardi di abitanti di questo mondo, legata indissolubilmente al nostro destino, da cui dipenda la nostra eterna felicità non è forse patologico?
La zona cieca è un romanzo introspettivo che scandaglia i meccanismi delle relazioni sentimentali, le cieche ragioni che spingono alcune persone a restare insieme nonostante bugie, tradimenti, ripicche. Un percorso, lungo il campo minato del cuore, alla fine del quale il lettore non può che giungere alla conclusione che spesso ciò che lega due persone non è tanto l'amore ma il dolore.

Indicazioni terapeutiche: per chi ama le storie di amore tormentate, per tutte le donne che hanno vissuto tante tempeste emotive e ora aspettano solo l'arcobaleno.

Effetti collaterali: questo spazio è legato alle riflessioni che ogni libro mi ispira, a ciò che mi suscita, nonostante magari le intenzioni dell'autore fossero tutt'altre. Oggi tuttavia preferisco prendendo in prestito un post pubblicato proprio da Chiara Gamberale sulla sua pagina facebook dove confessa come la sua concezione dell'amore sia cambiata rispetto al momento in cui scrisse questo libro.
Lo faccio perché ho trovato le sue parole di grande ispirazione, lo faccio perché spero ispirino anche voi.
"Certi uomini intuiscono dov’è che “si annida il nostro dolore”. Ma pensate che ce ne sono altri, che ce n’è almeno uno, fuori dal rifugio bugiardo di quella prigione, che può intuire dov’è che si annida la nostra possibilità di gioia. E può puntare prima la sua attenzione, poi la nostra, proprio lì. In una zona di noi autentica, vitale, luminosa e naturalmente controversa. E’ una zona che pareva cieca. Invece si era solo addormentata".


lunedì 2 marzo 2015

Chi manda le onde di Fabio Genovesi

Poche settimane fa mi sono recata alla presentazione di questo libro ed ero rimasta letteralmente folgorata dal carisma di Fabio Genovesi.( vedi il post http://bit.ly/1M1lce5)
E poi, essendo quasi conterranei, mi viene naturale fare il tifo per lui.
Insomma avevo grandi aspettative per questo libro.
Invece sono rimasta delusa.
Pagina dopo pagina non sono riuscita a scacciare la sensazione che ci fosse qualcosa che stonava.  È vero che la scrittura è seducente, che i personaggi sono ben delineati e interessanti ma manca qualcosa.
Lo stile di Genovesi c'è. Amo il suo modo di scrivere: ci sono alcuni passaggi che mi hanno incantato, passi in cui l'autore è riuscito a mettere in parole l'effimero delle emozioni, quasi una sorta di magia. Genovesi gioca con le parole, come le onde del mare con la spiaggia: si rincorrono, si accavallano, trascinano il lettore in mondi di cui ignorava l'esistenza, lasciandolo stordito e stupefatto.
Credo sia la trama ad essere un po' debole. Non penso sia corretto scriverla qui, perché rischierei di dire troppo, rovinando il piacere di leggere il romanzo a chi ancora non lo ha fatto.
Posso dire che l'autore intreccia con sapienza le storie dei diversi personaggi che, come nella sua tradizione, sono al limite dello strampalato, outsider che la vita ha messo all'angolo, predenti che non si arrendono. C'è Serena, madre sui generis di Luca, troppo bello e bravo per essere vero, e Luna, bambina albina che non riesce a rassegnarsi alla sua diversità. C'è il gruppo formato da Sandro, Rambo e Marino, quarantenni falliti che vivono ancora con i genitori, costretti a confrontarsi con le proprie sconfitte. E infine Zot, bambino arrivato dall'Ucraina, che vive con il "nonno" Ferro, ex bagnino, fissato con la necessità di difendersi dall'invasione russa. Un manipolo di sfavoriti che all'apparenza non potrebbe sembrare più diverso, ma che in realtà ha in comune molto di più di quanto possa sembrare.
Ma, a mio avviso, la trama si sfilaccia troppo, si perde quasi in una serie di digressioni, alcune delle quali forse sono di troppo. È come se il libro mancasse di ritmo ( l'escamotage stesso per mandare avanti la storia, ad  un certo punto, si rivela un po' fiacco). Il che fa sì che a volte si faccia fatica a voler andare avanti.
Peccato davvero perché gli ingredienti c'erano tutti: il bene e il male, l'amore e la morte, le lacrime e le risate. Un romanzo mondo, come l'avevano definito alla presentazione, che colpisce senza affondare. Un turbinio di emozioni che invece di  arrivare tutte insieme, vengono annacquate, perdendo tutta la loro potenza.

Particolare della copertina 

Indicazioni terapeutiche: per chi ama indagare il senso delle cose, per chi si chiede se davvero esistano il bene e il male e dove inizi l'uno e finisca l'altro.

Effetti collaterali: nel romanzo uno dei temi centrale è la diversità. Essere diversi non è mai scelta. È una cosa che capita, contro la quale spesso si lotta,  a causa della quale si soffre. Perché la diversità è come un muro che ci separa dal resto del mondo, al quale ogni essere umano desidera ardentemente appartenere. L'unica via d'uscita è trovare un equilibrio tra ciò che ci distingue dagli altri e ciò che ci rende simili; una sorta di patto che ci permette di riappacificarsi con ciò che ci circonda, senza dover rinunciare alla propria essenza, a ciò che che ci rende ciò che siamo,  unici e irripetibili.