martedì 27 settembre 2016

La ragazza senza ricordi di C. L. Taylor


Partiamo dal titolo che ha poco a che fare con quello originale, indubbiamente più calzante, in inglese The lie. 
Una bugia.
Su questo si basa la vita della protagonista Jane Hughes. All'apparenza sembra una ragazza come tante altre, un lavoro in un canile, un compagno premuroso, una vita tranquilla. Fino al momento in cui riceve un messaggio anonimo, un’unica frase in inchiostro blu: 
So che il tuo vero nome non è Jane Hughes”.
Qualcuno sa quale segreti nasconde, qualcuno tornato dal suo passato per tormentarla.
La verità è infatti che Jane, la ragazza normale che interpreta ogni giorno, non esiste. Il suo vero nome è Emma. Cinque anni prima era partita per un viaggio in Nepal con le sue migliori amiche. Doveva essere la vacanza della vita ma da quel viaggio due di loro non erano più tornate.

Non è detto che il passato debba condizionare il futuro, basta non permettere che ciò accada.

Più che un thriller, l'opera della Taylor è un dramma psicologico che ripercorre tappa dopo tappa quella terribile vacanza, ben presto trasformatasi in un terribile incubo. Pagina dopo pagina il lettore segue il racconto serrato che svela, dettaglio dopo dettaglio, come l'amicizia di una vita tra Emma e le altre ragazze si sia gradualmente incrinata, mettendo a nudo gelosie, rivalità e asti segretamente covati, fino ad un tragico epilogo che nessuno avrebbe potuto prevedere. Un doloroso passato da cui Emma ha cercato di fuggire, nascondendosi e cambiando nome, sperando così di poter ricominciare.
La trama è ben congegnata e lo stile scorrevole. Peccato che il ritmo serrato delle prima pagine vada pian piano scemando e che, da metà romanzo in poi, l'originalità lasci il posto a dettagli e situazioni un po' troppo prevedibili. Anche l'epilogo non è, a mio avviso, all'altezza del resto del libro, troppo sbrigativo e con qualche falla dal punto di vista narrativo. Nel complesso La ragazza senza ricordi resta comunque un romanzo intrigante quanto basta per trascorrere qualche ora piacevole e non troppo impegnativa, senza aspettarsi un capolavoro della letteratura.

Indicazioni terapeutiche: per chi ama scavare nell'animo delle persone.

Effetti collaterali: Anche la più salda delle amicizie può essere messa a dura prova. Quando si è circondati da abili manipolatori si può arrivare al punto di non sapere di chi fidarsi. Oppure si può arrivare a scoprire che di vera amicizia non si trattava.



mercoledì 14 settembre 2016

La trilogia di Josephine di Katherine Pancol



Ho comprato Gli occhi gialli dei coccodrilli, il primo libro della trilogia di Katherine Pancol dedicata a Josephine Cortés, per caso, scoprendo solo dopo che l'autrice francese è una regina dei best seller d'oltralpe con sei milioni di libri venduti nel mondo e lettori affezionati ai suoi personaggi come se fossero persone reali.

Credo sia questo il vero amore: avere l’impressione di stare al centro della propria vita, non ai margini. Nell'angolo giusto. Senza avere bisogno di sforzarsi per piacere all'altro, restare se stessi.

La scrittrice mette in scena con maestria tre generazioni di donne a confronto, esplorando gli anfratti più nascosti dell'animo umano, anche se non riesce, secondo me, a mantenere il solito livello in tutti e tre i romanzi.
Il primo libro, forse il più riuscito, Gli occhi gialli dei coccodrilli ci immette nell'universo della protagonista Josephine Cortés, l'anti-eroina per eccellenza. Bruttina, timida, lasciata dal marito, si ritrova a dover far quadrare i conti e a crescere da sola le due figlie, combattendo con le proprie insicurezze, con un madre che non l'ha mai amata, sempre all'ombra della sorella Iris, bellissima, ricca, affascinante. Una donna che non ha paura dei sentimenti, con un animo d'altri tempi, che abbraccia la sua sofferenza e ne trae la sua vera forza.
Josephine riuscirà a fuggire alla sindrome del "brutto anatroccolo" e, malgrado tutte le avversità,  a trovare dentro di sé la forza per realizzarsi e prendersi la propria rivincita.
Intorno alla storyline principale si sviluppa un universo di personaggi secondari, ma non per questo meno interessanti, l'amica Shirley e il figlio Gary, il patrigno Marcel e l'amante Josiane, tante microstorie che si sviluppano in modo corale, intrecciando i destini dei personaggi e dando vita a un romanzo ben scritto e scorrevole.

Ci sono persone il cui sguardo rende migliori. È molto raro, ma quando le si incontra, non bisogna lasciarle andare via.

Il valzer lento delle tartarughe, il secondo volume, non è all'altezza del precedente, anche se ho apprezzato il risvolto thriller, che ha contribuito a rendere più coinvolgente la narrazione. Le vicende amorose e professionali di Josephine si mischiano alla storia di un serial killer. Nonostante il successo raggiunto la protagonista non si è ancora liberata dei suoi complessi, un perdurare che, pagina dopo pagina, diventa un po' fastidioso.  Maggiore spazio è dedicato ai personaggi conosciuti nel primo romanzo, in particolar modo alle figlie, Zoé e Hortense, la prima dolce affettuosa alla scoperta del primo amore, la seconda bella e decisa a fare carriera, anche a costo di rinunciare ai sentimenti. 
Arriviamo al finale con il libro Gli scoiattoli di Central Park sono tristi il lunedì: una vera delusione. La trama si perde in  tante digressioni non funzionali alla storia, diventando irritantemente ripetitiva: il continuo balletto tra Josephine e il suo amato, le sue insicurezze, i suoi dilemmi. Non ho apprezzato, inoltre, la parentesi sulla storia del Piccolo Gentiluomo e la svolta paranormale del piccolo Junior de i suoi straordinari poteri. Devo ammettere che ho fatto fatica a finirlo perché ormai il racconto aveva perso ogni appeal, non aggiungendo niente a quello già precedentemente rivelato.

La felicità è fatta di piccole cose. La aspettiamo sempre con la maiuscola, e invece ci viene incontro su due gambette fragili e può passarci sotto il naso senza che ce ne accorgiamo

Nel complesso non si può non riconoscere a Katherine Pancol la capacità di aver costruito un universo ben fatto in cui i personaggi si affannano in cerca della felicità, a volte rifiutandola per paura o perché incapaci di riconoscerla, rendendo i suoi romanzi una lettura non impegnata ma piacevole e divertente, intrigante e, anche se senza pretese, pure intelligente. Il lieto fine è a tratti forse un po' forzato ma, in fin dei conti, sognare non costa nulla.

Indicazioni terapeutiche: per chi ama le saghe generazionali al femminile.

Effetti collaterali: Gli altri non ci riconosceranno mai nessun valore se noi per primi non siamo in grado di farlo. La consapevolezza  è il primo passo verso il successo e la piena realizzazione. La felicità non è vivere una vita senza imbrogli, senza fare errori, senza muoversi. La felicità è accettare la lotta, lo sforzo, il dubbio, e andare avanti, andare avanti superando tutti gli ostacoli, uno per volta.


giovedì 1 settembre 2016

Di noi tre di Andrea De Carlo






Misia Mistrani l’ho conosciuta il 12 febbraio del 1978. Al mattino mi ero laureato in storia antica, con una tesi sulla Quarta Crociata che aveva provocato una quasi-rissa con la commissione per come mi era venuta polemica e coinvolta, dopo di che ero stato liquidato con 110 senza lode, anche se avevo lavorato un anno e scritto duecentocinquanta pagine abbastanza appassionate e documentate. Il presidente mi aveva detto nella sua voce monocroma "La Storia è prospettiva. Non si può parlare di eventi d i sette secoli fa come se fossero successi l’altro ieri e lei ci fosse stato in mezzo. Le mancano totalmente il distacco e l’equilibrio, la capacità di una valutazione a mente fredda".
Inizia così questo romanzo di Andrea De Carlo che mette in scena le scelte, i sogni, i drammi e le delusioni di tre ragazzi, Livio, Marco e Misia, le cui vite sono destinate a rimanere intrecciate, nonostante la risacca del destino. Tre personalità sopra le righe, incapaci di adattarsi ad un copione prestabilito, sullo sfondo una Milano famelica, che brucia le aspirazioni e si inchina ai rampanti senza pelo sullo stomaco.

Mi sembrava che le cose brutte avessero un loro consistenza permanente, mentre quelle belle tendessero a dissolversi con una rapidità imprevedibile.

Livio, appena laureato in Storia antica, in fuga dalle inquietudini che hanno iniziato ad assalirlo, si imbatte in Misia, e rimane ammaliato dalla sua bellezza non impostata, dalla sua fulgente naturalezza, dal suo modo di affrontare il mondo senza di reti di sicurezza. Ben presto la presenta a Marco, il suo miglior amico, e la coinvolge nel loro progetto di realizzare un film. Misa e Marco finiranno per innamorarsi ma la loro non sarà una storia a lieto fine. Marco è incapace di impegnarsi, Misia è assoluta e spietata nei sentimenti. Livio si sente tradito, messo ai margini, sempre in difetto rispetto all'amico a cui tutto riesce così facile, piacere alle donne, avere successo, mantenere le distanze da quello che fa senza rimanerne travolto.
I tre si perdono, consumati dietro ai tentativi di cavalcare la vita, di fuggire le convenzioni e la falsa tranquillità. Livio comincia a dipingere, Misia si sposa, Marco sembra avviato verso una brillante carriera come regista impegnato. Eppure il loro legame non verrà affievolito dal tempo o dalla lontananza, e torneranno ad incontrasi, ad influenzarsi, ad aiutarsi. Sotto l'involucro della pelle, troppo simili per dimenticarsi, per smarrirsi davvero.

Mi chiedevo come mai persone così simili possano farsi danni gravi, e persone apparentemente lontanissime, migliorarsi in modo così spettacolare; mi chiedevo se c'era una regola dietro tutto questo o solo il caso, se era un effetto permanente o temporaneo. 

Di noi tre è un romanzo bellissimo, scritto in maniera superba, pieno di colpi di scena, di riflessioni amare, di sentimenti repressi e voli pindarici. Ho amato alla follia lo stile di De Carlo, come riesce a rendere gli stati d'animo dei personaggi, i loro tormenti, la disillusione, la nostalgia, così come le descrizioni di Misia, il modo in cui appare trasfigurata dagli occhi innamorati di Livio.

È ridicolo. Pensiamo di essere i padroni delle nostre vite, e non è vero. Le uniche cose che possiamo controllare sono marginali, rispetto al resto. Ti fa ridere, altro che piangere, se solo riesci a vederti da una minima distanza. Ti fa venire voglia di muoverti, porca miseria, staccarti di dosso tutta questa lacca di autocompassione.

Un libro che celebra la voglia di ribellarsi, di inseguire i propri mostri, non importa dove, se a Londra, a Parigi o in Sudamerica,  la volontà di "esserci" invece che lasciarsi vivere. Un inno, prima di tutto, all'amicizia, non quel sentimento comodo dove tutto è sicurezza e prudenza, ma quella feroce, che ti mette a nudo, ti spinge ad osare, ti regala il coraggio di essere "vero". 
L'unico sentimento capace di non farti sentire mai solo.


Indicazioni terapeutiche: per chi crede nell'amicizia.


Effetti collaterali: Ci sono persone destinate a non trovare mai un posto nel mondo, condannate alla continua ricerca di qualcosa che le completi, le soddisfi, le appaghi. Ma è una ricerca inutile, un'impresa vana, come quella di Sifiso, costretto ogni giorno a spingere il medesimo sasso su per la montagna. Anche Livio, Marco e Misia sono prigionieri. Delle loro illusioni, della voglia di evadere, del loro disprezzo per la vita borghese. E anche loro, ogni volta e per l'eternità come Sisifo, devono ricominciare da capo la loro scalata senza mai riuscirci.