La capacità di adattamento è la maggiore risorsa degli esseri umani, ma più mi adattavo e meno mi sentivo umana.
È l'autunno del '43 quando Rosa Bauer fugge da Berlino per rifugiarsi a casa dei suoceri, nel villaggio di Gross-Partsch, vicino alla Tana del Lupo, il quartier generale dove Hitler si è nascosto. Suo marito Gregor è lontano, a combattere sul fronte orientale russo.
Insieme ad altre nove donne, Rosa, viene reclutata come "assaggiatrice": è una cavia, selezionata come la altre per testare le pietanze destinate al Führer, al fine di scongiurare potenziali avvelenamenti. Chiuse tra le pareti di una caserma e sotto la minaccia continua del controllo delle SS, tra il gruppo di donne si svilupperà una sorta di legame carnale, un'amicizia dettata più dalla paura e dalla necessità, che non da una volontà consapevole. In particolar modo, Rosa rimarrà affascinata da Elfriede, dal suo carattere spigoloso, dalla sua lingua tagliente, dai segreti che riesce a celare e a scorgere fissando le persone negli occhi.
Quella di Rosa diventa una vita per il Führer, che pure lei ha imparato ad odiare. Un'esistenza dominata dalla paura, dal senso di colpa, dalla mancanza. Un'esistenza che la porta a mettere in discussione tutto ciò in cui credeva, maturando la consapevolezza di quanto la vita umana abbia ben poco valore. Come si fa a dare valore a una cosa che può finire in qualsiasi momento, una cosa così fragile? Si dà valore a ciò che ha forza, e la vita non ne ha; a ciò che è indistruttibile, e la vita non lo è. Tant’è vero che può arrivare qualcuno a chiederti di sacrificarla, la tua vita, per qualcosa che ha più forza. La patria, per esempio.
Insieme ad altre nove donne, Rosa, viene reclutata come "assaggiatrice": è una cavia, selezionata come la altre per testare le pietanze destinate al Führer, al fine di scongiurare potenziali avvelenamenti. Chiuse tra le pareti di una caserma e sotto la minaccia continua del controllo delle SS, tra il gruppo di donne si svilupperà una sorta di legame carnale, un'amicizia dettata più dalla paura e dalla necessità, che non da una volontà consapevole. In particolar modo, Rosa rimarrà affascinata da Elfriede, dal suo carattere spigoloso, dalla sua lingua tagliente, dai segreti che riesce a celare e a scorgere fissando le persone negli occhi.
Quella di Rosa diventa una vita per il Führer, che pure lei ha imparato ad odiare. Un'esistenza dominata dalla paura, dal senso di colpa, dalla mancanza. Un'esistenza che la porta a mettere in discussione tutto ciò in cui credeva, maturando la consapevolezza di quanto la vita umana abbia ben poco valore. Come si fa a dare valore a una cosa che può finire in qualsiasi momento, una cosa così fragile? Si dà valore a ciò che ha forza, e la vita non ne ha; a ciò che è indistruttibile, e la vita non lo è. Tant’è vero che può arrivare qualcuno a chiederti di sacrificarla, la tua vita, per qualcosa che ha più forza. La patria, per esempio.
Per anni ho creduto fossero stati i suoi segreti- i segreti che non poteva confessare, che non volevo ascoltare -a impedirmi di amarlo davvero. Era una stupidaggine. Di mio marito non sapevo molto di più. Avevamo vissuto appena un anno sotto lo stesso tetto, poi lui era partito per la guerra: no che non lo conoscevo. Del resto, l'amore accade proprio tra sconosciuti, fra estranei impazienti di forzare il confine. Accade fra persone che si fanno paura.
Non c'è in Rossella Postorino nessuno giudizio: la sopravvivenza ha avuto la meglio sulla morale. Quelle descritta dalla scrittrice è un'umanità mutilata, spezzata, profanata. Rosa è una donna che è scesa a patti con la propria coscienza, ma ne ha pagato caro il prezzo. L'impossibilità di dimenticare, di lasciarsi tutto alle spalle. Non racconterà mai nessuno quello che ha vissuto alla mensa di Krausendorf, delle persone con cui ha condiviso per mesi ogni pasto, dei sensi di colpa che la schiacciano senza abbandonarla mai.
Certi ricordi sono come fantasmi, destinati ad abitare l'animo umano per sempre. Si sopravvive ma non si è più gli stessi, prigionieri dei propri segreti, si diventa inaccessibili, incapaci di aprirsi agli altri e tornare ad amare di nuovo. Ma d'altronde come è possibile volersi bene nell'inganno?
L'autrice di questo romanzo si è ispirata alla storia vera di Margot Wölk, morta pochi anni fa ultranovantenne, che, ricordando i suoi tempi da assaggiatrice, ammette come ogni volta dopo un pasto scoppiasse in in un pianto liberatorio, perché significava che era ancora viva. Ma, a scanso di equivoci, è giusto sottolineare come Le assaggiatrici non sia romanzo storico né ambisca ad esserlo: la vicenda storica è solo un punto di partenza per una riflessione più ampia.
Il cibo si trasforma nel filo conduttore di un'ossessione che accompagnerà la protagonista per il resto della vita, un amore-odio viscerale. Mangiare significava nutrirsi e quindi sopravvivere, ma allo stesso tempo ciò implicava tenere in vita Hitler e il suo regime. Servire la causa. In realtà né Rosa né le altre sue compagne hanno avuto mai scelta. Non sono mai state molto di più di gruppo di donne chiuse in una mensa, braccate come un branco di animali al macello dal sentore costante della morte, senza alcuna possibilità di sottrarsi al loro angoscioso destino.
O forse no. Forse Rosa avrebbe potuto decidere da che parte stare. Come Elfriede. Scegliere di non rinnegare sé stessa, anche a costo della propria vita.
Certi ricordi sono come fantasmi, destinati ad abitare l'animo umano per sempre. Si sopravvive ma non si è più gli stessi, prigionieri dei propri segreti, si diventa inaccessibili, incapaci di aprirsi agli altri e tornare ad amare di nuovo. Ma d'altronde come è possibile volersi bene nell'inganno?
Io non sapevo se il resto della specie preferisse vivere da miserabile, pur di non morire; se preferisse vivere nella privazione, nella solitudine, pur di non calarsi nel lago di Moy con una pietra al collo. Se considerasse la guerra un istinto naturale. È una specie tarata, quella umana: i suoi istinti, non bisogna assecondarli.
L'autrice di questo romanzo si è ispirata alla storia vera di Margot Wölk, morta pochi anni fa ultranovantenne, che, ricordando i suoi tempi da assaggiatrice, ammette come ogni volta dopo un pasto scoppiasse in in un pianto liberatorio, perché significava che era ancora viva. Ma, a scanso di equivoci, è giusto sottolineare come Le assaggiatrici non sia romanzo storico né ambisca ad esserlo: la vicenda storica è solo un punto di partenza per una riflessione più ampia.
Il cibo si trasforma nel filo conduttore di un'ossessione che accompagnerà la protagonista per il resto della vita, un amore-odio viscerale. Mangiare significava nutrirsi e quindi sopravvivere, ma allo stesso tempo ciò implicava tenere in vita Hitler e il suo regime. Servire la causa. In realtà né Rosa né le altre sue compagne hanno avuto mai scelta. Non sono mai state molto di più di gruppo di donne chiuse in una mensa, braccate come un branco di animali al macello dal sentore costante della morte, senza alcuna possibilità di sottrarsi al loro angoscioso destino.
O forse no. Forse Rosa avrebbe potuto decidere da che parte stare. Come Elfriede. Scegliere di non rinnegare sé stessa, anche a costo della propria vita.
Indicazioni terapeutiche: per chi vuole scoprire quale sia il prezzo della sopravvivenza.
Effetti collaterali: molti potrebbero trovare fuori luogo la voglia di Rosa di amare, di essere desiderata, accolta. Io no. Non l'ho trovato un espediente narrativo slegato dal testo ma funzionale alla storia. Nonostante sia cosciente di vivere in un'epoca amputata, di non avere nessun diritto di parlare d'amore, vi è in lei una parte che brama di essere desiderata, di fremere, di sentirsi viva nonostante intorno a lei vi sia soltanto violenza e morte. Una parte disposta a sacrificare tutto pur di essere qualcosa di più di uno stomaco da riempire, di un pezzo di carne vittima di un ingranaggio infinitamente più grande e terribile di lei.
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