Una boccata d'aria fresca.
Questa è stata la prima sensazione che mi hanno suscitato le prima pagine de Le otto montagne.
Mi è piaciuto subito lo stile, semplice senza essere leggero, intrigante senza aspirare al pomposo, diretto e sincero.
Come la gente dei monti. Di questo parla il libro. È la storia di due amici e una montagna. Così lo definisce lo stesso autore, Paolo Cognetti, che, come uno dei suoi personaggi, si è lasciato la città alle spalle e ha scelto di vivere in una baita sopra Brusson, in Valle d’Aosta.
La montagna diventa un luogo di elezione, un posto dove ricostruire e ricostruirsi, in fuga da una società in crisi, che ha deluso le aspettative di migliaia di giovani, che li ha lasciati senza futuro, ad annaspare come pesci troppo grossi in uno stagno troppo piccolo.
Il paesaggio non è forma, è sostanza: entra nelle relazioni. - ha affermato lo scrittore in una sua recente intervista- C’è bisogno di semplificare per essere felici, di vivere con poco per essere liberi.
La montagna come santuario dove non solo recuperare un rapporto non mediato con la natura e l'essenza delle cose, ma anche spazio in cui riscoprire valori come la condivisione, la solitudine (quella buona), l'uso del corpo, l'amicizia.
In fondo il romanzo non è altro che la storia di una grande amicizia, quella tra Pietro e Bruno, uno nato in città, l'altro in un paesino sperduto, uno seguito da genitori amorevoli, l'altro cresciuto come l'erba di alpeggio, uno desideroso di conoscere posti nuovi, l'altro ancorato alla sua terra.
Due ragazzi che si sono incontrati grazia all'amore per la montagna, una passione che li ha tenuti vicini, anche quando lontani, per il resto delle loro vite.
L'universo di Cognetti è uno spazio senza fronzoli né sovrastrutture, abitato da amicizie maschili, riflessioni solitarie e legami destinati a non finire mai.
Ma Le otto montagne è molto di più. È un libro sulla ricerca proprio posto nel mondo, un desiderio che parte da lontano, che non può prescindere dalle proprie origini.
Per decidere dove vogliamo andare dobbiamo prima di tutto capire da dove veniamo. Questa è la conclusione a cui Pietro arriva, facendo pace con un padre, a cui ha vissuto accanto, ma che non ha mai conosciuto fino in fondo.
Forse l'ha capito troppo tardi. O forse no. L'importante è aver appreso la lezione.
Prima di imparare ad usare le ali dobbiamo fare pace con le nostre radici.
Indicazioni terapeutiche: per chi quando va in montagna si sente più vicino a sé stesso.
Effetti collaterali: Noi diciamo che al centro del mondo c’è un monte altissimo, il Sumeru. Intorno al Sumeru ci sono otto montagne e otto mari. Questo è il mondo per noi. […] E diciamo: avrà imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne, o chi è arrivato in cima al monte Sumeru?
Il mondo si divide in due grandi categorie: chi resta e chi parte. Perché per alcuni il viaggio senza meta è l'unica scelta possibile, l'esplorazione continua, il girovagare spinti dall'urgenza della propria curiosità. Per alcuni l'unica stabilità possibile è l'assenza di ogni stabilità.
Questa è stata la prima sensazione che mi hanno suscitato le prima pagine de Le otto montagne.
Mi è piaciuto subito lo stile, semplice senza essere leggero, intrigante senza aspirare al pomposo, diretto e sincero.
Come la gente dei monti. Di questo parla il libro. È la storia di due amici e una montagna. Così lo definisce lo stesso autore, Paolo Cognetti, che, come uno dei suoi personaggi, si è lasciato la città alle spalle e ha scelto di vivere in una baita sopra Brusson, in Valle d’Aosta.
Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è l’acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall'alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro è a monte.
La montagna diventa un luogo di elezione, un posto dove ricostruire e ricostruirsi, in fuga da una società in crisi, che ha deluso le aspettative di migliaia di giovani, che li ha lasciati senza futuro, ad annaspare come pesci troppo grossi in uno stagno troppo piccolo.
Il paesaggio non è forma, è sostanza: entra nelle relazioni. - ha affermato lo scrittore in una sua recente intervista- C’è bisogno di semplificare per essere felici, di vivere con poco per essere liberi.
La montagna come santuario dove non solo recuperare un rapporto non mediato con la natura e l'essenza delle cose, ma anche spazio in cui riscoprire valori come la condivisione, la solitudine (quella buona), l'uso del corpo, l'amicizia.
In fondo il romanzo non è altro che la storia di una grande amicizia, quella tra Pietro e Bruno, uno nato in città, l'altro in un paesino sperduto, uno seguito da genitori amorevoli, l'altro cresciuto come l'erba di alpeggio, uno desideroso di conoscere posti nuovi, l'altro ancorato alla sua terra.
Due ragazzi che si sono incontrati grazia all'amore per la montagna, una passione che li ha tenuti vicini, anche quando lontani, per il resto delle loro vite.
Mi tornò in mente una certa fragilità che avevo intravisto in lui, certi attimi di smarrimento che subito si affrettava a nascondere. Quando mi sporgevo da una roccia e gli veniva d’istinto di afferrarmi per la cintura dei pantaloni. Quando stavo male sul ghiacciaio e si agitava più lui di me. Mi dissi che forse quest’altro padre l’avevo avuto sempre lì e non me n’ero mai accorto, per quanto era ingombrante il primo, e cominciai a pensare che in futuro avrei dovuto, o potuto, fare un altro tentativo con lui..
L'universo di Cognetti è uno spazio senza fronzoli né sovrastrutture, abitato da amicizie maschili, riflessioni solitarie e legami destinati a non finire mai.
Ma Le otto montagne è molto di più. È un libro sulla ricerca proprio posto nel mondo, un desiderio che parte da lontano, che non può prescindere dalle proprie origini.
Per decidere dove vogliamo andare dobbiamo prima di tutto capire da dove veniamo. Questa è la conclusione a cui Pietro arriva, facendo pace con un padre, a cui ha vissuto accanto, ma che non ha mai conosciuto fino in fondo.
Forse l'ha capito troppo tardi. O forse no. L'importante è aver appreso la lezione.
Prima di imparare ad usare le ali dobbiamo fare pace con le nostre radici.
Indicazioni terapeutiche: per chi quando va in montagna si sente più vicino a sé stesso.
Effetti collaterali: Noi diciamo che al centro del mondo c’è un monte altissimo, il Sumeru. Intorno al Sumeru ci sono otto montagne e otto mari. Questo è il mondo per noi. […] E diciamo: avrà imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne, o chi è arrivato in cima al monte Sumeru?
Il mondo si divide in due grandi categorie: chi resta e chi parte. Perché per alcuni il viaggio senza meta è l'unica scelta possibile, l'esplorazione continua, il girovagare spinti dall'urgenza della propria curiosità. Per alcuni l'unica stabilità possibile è l'assenza di ogni stabilità.