martedì 31 maggio 2016

FORTEmente ROSA 2 giugno 2016


Ogni giorno la cronaca ci riporta notizie di donne brutalmente uccise da coloro che affermavano di amarle, mariti, compagni, ex. Un bollettino di guerra che non accenna a diminuire.
Solo pochi giorni fa, il 29 maggio Sara Di Pietrantonio, una ragazza ventiduenne di Roma, è stata bruciata viva dall'ex fidanzato. Secondo quanto ricostruito nelle immagini delle telecamere di videosorveglianza almeno due auto sono passate mentre Sara tentava invano di fuggire chiedendo aiuto senza che i conducenti si fermassero.
Se qualcuno si fosse fermato, oggi Sara probabilmente sarebbe ancora viva.

Riflettendoci quello che spaventa non è solo il numero di vittime che aumenta giorno dopo giorno, ma la mentalità di una società malata, che sembra aver sacrificato ogni altruismo sull'altare dell'indifferenza. Una società composta da individui che scelgono di voltarsi dall'altra parte, di non vedere.
Gli omicidi sono solo la punta dell'iceberg. Secondo i dati ISTAT nel 2015 Il 35% delle donne nel mondo ha subito una violenza.  Si parla di violenza di genere, espressione con cui si indicano tutte quelle forme di violenza che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso: è «violenza contro le donne» ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà.
Così recita l’art 1 della dichiarazione Onu sull’eliminazione della violenza contro le donne.
Senza considerare il sommerso: molta violenza di genere e intra-familiare è più diffusa di quanto si possa comunemente pensare, dal momento che può annidarsi anche in contesti familiari insospettabili e rimane perciò spesso impunita e sconosciuta.
La violenza di genere prima che un problema di tipo sociale è culturale. Servono quindi modelli, leggi, educazione.



L'associazione culturale no profit FORTEmenteROSA nasce dal lavoro e dalla volontà di alcune donne, amiche, mamme, lavoratrici, che, invece di rimanere a guardare, hanno deciso di mettersi in gioco in prima persona, spinte dalla dolorosa necessità di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla violenza di genere attraverso una chiave di lettura diversa e innovativa , quella dell'Arte, capace di veicolare idee ed emozioni e suscitare profonde riflessioni nell'Altro. 

Come principali destinatari del proprio messaggio FORTEmenteROSA ha scelto soprattutto i giovani, uomini e donne abitanti del futuro, puntando sulla prevenzione e sull'educazione.
L’Associazione ha infatti già organizzato, con il supporto del Comune di Forte dei Marmi, il 19 aprile scorso a Villa Bertelli, un incontro con gli studenti del Liceo Scientifico Chini Michelangelo, perché, come hanno sottolineato le stesse promotrici, è importante partire proprio dai ragazzi con la divulgazione di un'educazione volta al rispetto della donna in senso sostanziale e non solo formale.

Per il suo debutto ufficiale FORTEmenteROSA, ha scelto, in condivisione con il Comune di Forte dei Marmi, la data del 2 giungo, in cui si festeggia non solo la Festa della Repubblica, ma quest'anno si celebra anche il 70esimo anniversario del diritto al voto acquisito dalle donne in termini di elettorato attivo e passivo.
Chi meglio delle 21 Madri Costituenti può rappresentare la consapevolezza e la forza di lottare per i propri diritti?
Proprio a loro è dedicata la mostra allestita all'interno del Fortino, che attraverso proiezioni di video ed immagini  ripercorre  gli eventi del 2 giugno 1942 che hanno visto le donne guadagnarsi il diritto di votare ed essere votate.

Accanto alle Madri Costituenti, simbolo di una femminilità libera e consapevole, sono state ritratte 21 donne, nella posizione del simbolo dell'Associazione che, con il loro sguardo fisso, squarciano il velo di omertà sulla violenza di genere, denunciando e spingendo a denunciare ogni sopruso.

I diritti delle donne sono una responsabilità di tutto il genere umano; lottare contro ogni forma di violenza nei confronti delle donne è un obbligo dell’umanità; il rafforzamento del potere di azione delle donne significa il progresso di tutta l’umanità.

Kofi Hannam

Per questa occasione FORTEmenteROSA ha voluto mettere al centro della propria riflessione il suo simbolo, quello di una donna raccolta in posizione fetale, estrapolato  dall'arte di Cristina Menni, una delle socie fondatrici dell'Associazione stessa.
Tutto il centro di Forte dei Marmi, la piazza, il pontile e il Fortino stesso saranno animati da installazioni ed esibizioni studiate per trasmettere allo spettatore quella tensione emotiva tra sottomissione e ribellione che nasce nelle donne vittima di violenza.
Il programma è fitto di iniziative: oltre alla mostra fotografica, sarà possibile assistere a performance di artisti che mischiano danza, musica e recitazione e verrà inoltre inaugurata presso il pontile, uno dei luoghi simbolo del Forte, l'installazione emozionale di Gaia Nebuoloni, anch'essa socia fondatrice.

Un evento, il cui fil rouge è l'arte in tutte le sue forme, voluto dalle donne ma pensato per tutti, perché abbiamo bisogno di riscoprire una nuova sensibilità, perché non bastano le leggi per cambiare le coscienze, bisogna lavorare sui sentimenti, sui corpi, sull'accettazione dell'Altro.
Troppe donne sono morte perché hanno detto basta, troppi uomini si sono trasformati in carnefici perché incapaci di sentirsi rispondere no. Restare indifferenti, o peggio tacciare alcuni episodi come tragiche singolarità, è una forma di connivenza.
Aprire gli occhi e impegnarsi in prima persona è un dovere di tutti.



FORTE DEI MARMI 
2 GIUGNO 2016
ORARI

18.00 Pontile:
         Installazione emozionale "Anime violate"

18:30 Fortino Piazza Garibaldi:
         Celebrazioni della Festa della Repubblica
         Presentazione FORTEmenteROSA
         Spettacoli
         Mostra Fotografica
         Aperitivo




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martedì 24 maggio 2016

Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi

Una scena tratta dall'omonimo  film (1996)

Perché nel 1992 Jack Frusciante (che in realtà si chiama John) decide di abbandonare, nel bel mezzo di un tour mondiale, i Red Hot Chili Peppers proprio all'apice della popolarità?
Alex non riesce a capire le ragioni di questa scelta.
Pazzia? Anticonformismo? Coraggio?


Non ha mete, nella vita. Essere felice, forse, ma è lontanissimo anche solo dall'idea di poterlo essere. E intorno tutto va come è sempre andato, e forse andrà sempre così. Tutto è prevedibilissimo, l'ho già vissuto in cento film tutti uguali e mi sento il personaggio di un libro che non mi piace e odio l'autore che mi fa fare queste cose che detesto e non mi fanno minimamente sentire felice e....
È intorno a questo interrogativo che gravitano i pensieri e le vicissitudini del protagonista del romanzo di esordio di Enrico Brizzi, uscito nel 1992, che è diventato un cult per un'intera generazione.
Alex è una adolescente bolognese con pochi problemi e tante domande per la testa. Una vita come tante. Una facciata di normalità che nasconde tanta insofferenza.
Alex è stanco del perbenismo, dell'ipocrisia, delle apparenze. Si sente lontano anni luce dalla sua famiglia, così borghese. Si sente diverso, invischiato in un "amore platonico" con Adelaide, detta Aidi, un sentimento così totalizzante che scolora tutto il resto, come solo a diciotto anni può accadere.
Grazie al suo rapporto con Aidi, il protagonista del romanzo di Brizzi riesce a comprendere il significato della scelta di Jack, apparentemente così insensata: a volte anche le idee e i sogni più radicali possano cambiare. A volte essere fedeli a sé stessi è più importante di ogni consenso, di ogni successo. 


M forse le cose stanno addirittura peggio. Perché sono stato io a non prendermi quel che volevo. Come avessi abortito tutti i giorni, come non avessi mai permesso che quel ragazzo nascesse per paura di ritrovarmelo fra i piedi, per paura che mi sconvolgesse la mai vita. E così mi sono sempre concesso piccole felicità di polistirolo: andare ai giardini; restare a  dormire tutto il pomeriggio; guardare Videomusic invece di studiare; fare fuga; mangiare molto; farmi una sega con devozione particolare....

Jack Frusciante è uscito dal gruppo è un concentrato di atmosfere e stati d'animo, specchio dei tormenti e delle inquietudini di una generazione, quella nata negli anni '70, che è stata sì capace di ribaltare lo status quo, senza però avere la forza di aggrapparsi alle ideologie ( come invece aveva fatto quella precedente), facendo dell'l'incertezza e del relativismo la propria chiave di lettura della realtà.

Enrico Brizzi
Mi ricordo ancora quando l'ho letto la prima volta al liceo. E riprendendolo in mano ora, a distanza di tanto tempo, ho provato le stesse emozioni, quel miscuglio di paura e speranza pilastro dei miei diciassette anni, quel sentirsi contro il mondo e andarne fieri.
Le corse in bicicletta per le vie di Bologna, l'amicizia con Martino, i primi batticuore, i pomeriggi a immaginare il futuro, che poteva solo essere pieno di promesse. L'intera trama, che racconta la vita liceale di Alex tra notti brave e "fughe" a scuola, ruota proprio intorno al tema di uscire dal gruppo nel senso di uscire dagli schemi sociali.
La necessità di trovare una propria identità, di esistere, appunto, al di fuori del gruppo, che sia la famiglia, la compagnia, la società, di andare avanti in direzione ostinata e contraria come direbbe De André. Che poi essere giovani significa solo questo: essere capaci di metter in discussione ogni certezza, di vivere ogni emozione al massimo, di aprire nuove porte dove c'erano soltanto muri.

Indicazioni terapeutiche: per chi è rimasto un eterno adolescente, invischiato tra sogni e paure.


Effetti collaterali: Viene naturale perdersi nei pensieri di Alex, riflettere sulla profonda dicotomia che convive nella testa e nel cuore di molti, sul bisogno inconciliabile di raggiungere un equilibrio e quello opposto di cambiareAlla fine l'equilibrio interiore non è che da cercare. Forse ce l'abbiamo già, e più ci muoviamo o agitiamo o altro, e più ce ne allontaniamo.
Allora tutto quello che possiamo fare è accogliere questa fragilità, imparare a  convivere col fatto che non siamo come gli altri, non sentiamo come loro, e, per quanto proviamo a omologarci, non ci mischiamo, come l'olio e l'acqua che tornano sempre a dividersi.
Accettare la propria diversità fa soffrire, ma è il primo passo verso la propria auto-realizzazione.

giovedì 19 maggio 2016

Il matrimonio di mio fratello di Enrico Brizzi

Sono lontani i tempi di Jack Frusciante è uscito dal gruppo.
Enrico Brizzi torna con la storia di due fratelli, uno spaccato degli ultimi cinquanta anni della storia italiana, da Tangentopoli a Facebook, dalla famiglia tradizionale alla società liquida post-moderna.
Il matrimonio di mio fratello è una sorta di macchina del tempo che ci riporta al nostro ieri, così vicino eppure irrimediabilmente perduto.


Ma partiamo dall'inizio.
Teo, l'io narrante del libro, sta tornando a casa quando viene raggiunto dalla telefonata preoccupata dei genitori. Il fratello maggiore Max è scomparso con i figli.  Lungo il viaggio in autostrada che lo porterà da Bologna fino in Trentino, il protagonista ripercorre la storia della sua famiglia e l'antagonismo che ha contraddistinto il suo rapporto con il fratello maggiore Max.
Due fratelli, due visioni della vita: Teo che ha preferito un lavoro sicuro, che fatica ad impegnarsi in una relazione seria, che ha scelto di non rischiare, seguendo il solco già tracciato da altri. Uno spettatore che non si è mai messo in gioco veramente. 
Max è il suo alter ego: sempre alla ricerca di nuove sfide, si ribella alle aspettative del suoi genitori per dedicarsi alla sua grande passione, la montagna, decidendo di diventare una guida alpina.
Assennato, razionale, disincantato l'uno, puro, ambizioso ed idealista l'altro.

Perché i fratelli, queste creature che crescono nel palmo della stessa mano, possono continuare a volersi bene anche da grandi, ma viene il giorno in cui ognuno di loro è chiamato dal proprio destino, e lungo quel sentiero deve incamminarsi da solo.

Il romanzo di Enrico Brizzi non è solo una saga familiare contemporanea, ma nasconde tra le righe (in maniera abbastanza palese a dire la verità) una profonda riflessione sullo scontro tra due generazioni: da una parte, quella dei cosiddetti Baby Boomer, nati subito dopo la fine della guerra, che hanno studiato, avuto successo nel lavoro e conquistato un livello di agiatezza mai raggiunto prima. Portabandiera dell'ottimismo e della fiducia nel progresso, hanno sognato tutto quella che si poteva sognare e l'hanno ottenuto.
Dall'altra i giovani degli anni '70 che, dopo aver visto sgonfiarsi il boom economico, sono restati impantanati in lavori precari, fiaccati dalle rate del mutuo della casa e spogliati da ogni ambizione. Una moltitudine di eterni "ragazzi"costretti a vivere in un perpetuo presente.
Due generazioni vicine eppure lontanissime, due binari che sembrano destinati a non incontrarsi mai.
Eppure, in mezzo a tanta rassegnazione, un porto sicuro esiste: la famiglia, l'unico legame veramente importante, capace di salvarci, anche da noi stessi.

Non ho dimenticato tutto quel che ho visto con i miei occhi, e so già che non sarebbe facile. Neanche un po’. Nessuna famiglia d’Italia, d’ora in avanti, somiglierà a quelle che abbiamo conosciuto da ragazzi, e le coppie perfette esistono soltanto nei film in bianco e nero. Senza contare che io non vado neppure vicino all'ideale di uomo che una ragazza può avere.
Curiosamente quello che mi ha colpito di più di questo romanzo è l'idea del matrimonio, distorta a mio parere, che emerge: tomba dell'amore che riduce ogni uomo libero nell'ombra di sé stesso, un mendicante costretto ad elemosinare l'affetto dei suoi figli e un po' di dignità.
L'ho letta come una critica alle donne, o meglio ad un certo tipo di donne. Ma forse mi sbaglio.
Forse Brizzi ha voluto semplicemente raccontare la situazione di tanti padri come Max, ai quali la separazione ha portato via tutto. Di come si smarriscono, di come feriti e sbigottiti trovano la forza di rialzarsi. Di come il legame tra genitori e figli sia ancora capace di dare un senso alla nostra vita, anche quando sembra perduto.

Indicazioni terapeutiche: per chi è sempre stato geloso dei propri fratelli.

Effetti collaterali: Max ci insegna con il suo stoicismo che è possibile andare avanti, che si sopravvive alla morte delle proprie aspirazioni, che un nuovo inizio è solo dietro l'angolo.



sabato 14 maggio 2016

La tristezza ha il sonno leggero di Lorenzo Marone

"Mi chiamo Erri Gargiulo e mi faccio di speranza da quarant’anni. "
Se esistesse un gruppo di sostegno per drogati di speranza dovrei presentarmi così.
Si può riassumere in queste poche righe il senso profondo del nuovo romanzo di Lorenzo Marone, che torna dopo il successo di La tentazione di essere felici, che, lo dico subito, ho appena iniziato a leggere (non so perché era da mesi nel mio carrello di amazon ma non mi decidevo a comprarlo!).
La tristezza ha il sonno leggero mi ha stregato!
Soprattutto i personaggi, a cui ti affezioni tuo malgrado, anche se sono emotivamente disfunzionali, egoisti, nevrotici, o forse proprio per questo.
Erri, il protagonista, è un quarantenne insicuro e abituato a subire le scelte altrui, perché incapace di imporsi e di rischiare. Così quando Matilde, sua moglie, lo lascia per un collega, non gli resta che tentare di rimettere insieme i pezzi della sua vita. Un lavoro che odia, un figlio che non arriva, una famiglia che definire ingombrante è un eufemismo.
Alla fine ho capito che non è vero che la speranza non si tramuta mai in realtà. È una questione di numeri: più desideri hai, maggiore è la possibilità di fare centro.
Ma cosa ha trasformato Erri, bambino pieno di speranza e sogni, in un adulto disincantato? Esiste davvero la famigerata sliding door, il punto di svolta capace di cambiare il corso di un'intera esistenza?
Ripercorriamo così, grazie ai suoi ricordi, i momenti più significativi della sua infanzia e della sua adolescenza, un caleidoscopio di sentimenti repressi e vuoti mai colmati. Le radici delle insicurezze di Erri affondano tutte lì: è cresciuto in una famiglia allargata, con una madre "fallica", autoritaria e ego-riferita, e un padre anarchico e idealista, che ha preferito una vita di basso profilo pur di non dover scendere a compromessi. Un fardello pesante a cui si aggiungono quattro fratelli, che, a differenza di Erri, non sono cresciuti con la consapevolezza di essere nati nella famiglia sbagliata ( eccezione fatta per Arianna).
Perché l'amore che non riceviamo scava un buco dentro di noi, e ci costringe a passare il resto della vita a leccarci le ferite, rintanandoci in un angolo per sfuggire ogni altra sofferenza.

E allora come oggi mi dicevo che forse il più infelice di tutti era proprio chi tentava di ribellarsi a una strada che non sentiva sua. Tutti gli altri, quelli che se ne stavano comodamente a guardare la TV con uno sconosciuto accanto, quantomeno erano anestetizzati. Che poi è l'unico modo che consociamo per non sentire il dolore.

La lezione l'ha imparata bene Erri. Si tiene ai margini della vita, non sceglie, non sbaglia. Non come sua sorella Flor, che magari è esagerata, sconsiderata, avventata, ma si butta a capofitto in ogni sfida, assapora ogni sfumatura, non ha paura di ammaccarsi. Sarebbe facile seguire il suo consiglio: "Falla ogni tanto qualche cazzata, Erri." Lasciarsi andare, uscire dalla paralisi delle proprie paure. Che tanto la vita ti sbatte al tappeto lo stesso, che tu stia sulla difensiva o no.

Dalla penna di Lorenzo Marone è uscito una sorta di anti-eroe moderno, Erri Gargiulo, bruttino, insicuro, senza super-poteri, ma dotato di una sensibilità straordinaria, una visone del mondo che incanta e seduce. Il lettore non può fare a meno di lasciarsi trasportare dalla sue riflessioni, fino all'epilogo che segna paradossalmente un nuovo inizio, sancendo il fatto che è sempre possibile scegliere la felicità. Basta  solo essere abbastanza coraggiosi.

Indicazioni terapeutiche: per chi sogna di fuggire dalle grinfie della propria famiglia, per chi non riesce a dimenticare i sogni giovanili traditi dai compromessi della vita.

Effetti collaterali: passiamo la vita a osservare i nostri genitori. Li amiamo, li odiamo, li imitiamo. Ma è solo quando riusciamo a perdonarli, quando specchiandoci nei loro difetti capiamo che siamo più simili di quanto abbiamo sempre creduto, solo allora possiamo affermare di essere diventati veramente adulti.



venerdì 6 maggio 2016

Presentazione libro "Fame di Guerra. La cucina del poco e del niente"

Sabato 30 aprile presso la Sala Cope di Querceta si è tenuta la presentazione del libro di Simonetta Simonetti Fame di Guerra. La cucina del poco e del niente, edito dalla casa editrice Tra le righe libri di Lucca.
La casa editrice, come ho già avuto modo di ricordare, nasce con la "missione" di pubblicare libri di memorie, diari, saggi e documenti per preservare inalterata e viva la ricerca storica e l'interesse per le radici della nostra società.
Questa opera nasce dalla ricerca dell'autrice che ha voluto ripercorrere la storia della cucina italiana in una fase storica di eccezionalità come le due grandi Guerre Mondiali e il regime fascista, periodo che è coinciso con l'inizio del percorso dil emancipazione della figura femminile, capace di uscire dal ruolo secondario in cui era stata relegata per secoli.

A partire dal 1915 infatti, le donne non solo si  sono sostituite nei lavori agricoli gli uomini, chiamati al fronte, ma soprattutto hanno avuto l'arduo compito di riuscire ogni giorno a sfamare la propria famiglia con quel poco che era possibile reperire.
Le massaie furono infatti chiamate in prima fila a evitare sprechi e inventare la cucina del riuso e del riciclo. Nulla si doveva buttare. Tutto era buono per altri manicaretti. 
Da qui il titolo la cucina del poco e del nulla.



Con il fascismo venne introdotta l'autarchia: il regime mirava a raggiungere l’autosufficienza economica producendo nell'ambito del territorio nazionale i beni di consumo e limitando o annullando gli scambi con l’estero. Furono inaugurati gli orti di guerra sostituendo il té con il carcadè, il Caffè con il Caffesol, una sorta di miscela marroncina che nulla manteneva dell’aroma proprio del caffè, e la pasta, dopo una forte propaganda, con il riso, prodotto dalle risaie italiane. Furono inoltre coniati slogan come “Chi mangia troppo deruba la Patria”, in un'ottica che mirava a diffondere l'idea della magrezza come emblema della salute.

Nel saggio si trovano inoltre numerose ricette ma non siamo di fronte ad un semplice libro di cucina, c'è molto di più.
L'autrice sceglie di parlare della figura femminile attraverso il tema del cibo, che da sempre ha una forte connotazione simbolica. Il cibo è amore, calore, famiglia.
Non è quindi un libro di donne per le donne ma una riflessione su come la nostra società sia cambiata negli ultimi cinquant'anni e come l'industrializzazione e il consumismo abbiano spazzato via la fame degli italiani, facendo dimenticare loro l'utile e, tutto sommato, “piacevole” cucina del poco e del senza.