venerdì 26 febbraio 2016

Non ti addormentare di S.J. Watson

La teoria dello schema afferma che ogni nostra esperienza viene compresa sulla base di un confronto con un modello stereotipico, derivato da esperienze simili registrate nella memoria. Ogni nuova situazione verrebbe quindi valutata sulla base della conformità o difformità rispetto a uno schema pregresso.
Grazie agli  schema ogni individuo è in grado di crearsi un orizzonte di attese che rende possibile sia generare inferenze che formulare aspettative.
In altre parole, siamo ciò che siamo stati. Senza autocoscienza né passato non esistiamo.
Cosa succederebbe allora se ogni mattina al nostro risveglio avessimo scordato tutto?
La mia vita sarà anche ridotta in pezzi, ma almeno sono pezzi abbastanza grossi da permettermi di mantenere una parvenza di autonomia. Suppongo significhi che sono fortunata.
Christine si sveglia ogni mattina in una casa che non conosce, accanto ad un uomo, suo marito, che per lei è un perfetto sconosciuto, costretta a convivere con un'immagine, quella riflessa nello specchio, che le è estranea. La sua vita è un enorme buco nero in cui la sua mente affonda senza trovare appiglio.
È Ben, suo marito, a darle quotidianamente le coordinate della sua vita, a spiegarle chi è lui, chi è lei, e che cosa le è successo anni prima, quando un incidente ha modificato radicalmente la sua esistenza, privandola dei ricordi e costringendola a ricominciare ogni giorno daccapo. Una serie infinita di nuovi inizi.
Ma siamo sicuri che Ben le dica tutta la verità? 

Era come se l'energia del passato avesse prosciugato il presente.

Christine sempre più confusa prova a rimettere insieme i pezzi della sua vita grazie all'aiuto del dottor Nash, un neuropsichiatra che le consiglia di tenere un diario quotidiano. Ma contrariamente alle aspettative, scrivere i propri ricordi non aiuterà Christine, anzi la catapulterà in una girandola di dubbi, incertezze, sospetti dove nulla è come appare.
Perché sulla prima pagina c'è scritto "Non fidarti di Ben"? Veramente suo marito le sta nascondendo qualcosa o la sua amnesia la sta facendo diventare paranoica?

Copertina


Lo scrittore S.J. Watson ha costruito un romanzo dal ritmo serrato nel quale nonostante tutti i giorni sembrino ripetersi uguali, identici nella solita tranquilla routine, l'angoscia e la paura della protagonista trasudano dalle pagine del libro.
Come in una detective ficiton ben congeniata, tessera dopo tessera il lettore ricostruirà l'intero mosaico che lo condurrà all'inevitabile colpo di scena finale.

Indicazioni terapeutiche: per chi non soffre di ansia e ama i thriller psicologici ben costruiti.

Effetti collaterali: Conosciamo davvero le persone che amiamo? La fiducia che riponiamo negli altri è ben riposta o siamo noi che sbagliamo perché ci costruiamo un'immagine , un'idea che non corrisponde alla realtà? Forse vediamo solo ciò che scegliamo di vedere. Qualcuno ha detto che tutti mentono, bisogna solo capire quali bugie si è disposti a tollerare per avvicinarsi alle persone.



mercoledì 24 febbraio 2016

Lezzo - I giorni dell'ospizio di Monica Dini

Sabato 23 gennaio presso l'Istituto Pio Campana a Seravezza si è tenuta la presentazione del libro Lezzo - I giorni dell'ospizio di Monica Dini, edito dalla casa editrice Tra le righe Libri.
All'incontro hanno preso parte, oltre all'autrice, Renzo Venturini, presidente dell'istituto, Beppe Tartarini, presidente del Circolo Culturale Sirio Giannini e Andrea Giannasi, a capo della casa editrice Tra le righe libri. 
Quest'ultima nasce nel 2013 a Lucca con il preciso scopo di riannodare e intrecciare i fili con il passato. Per questo ha una filosofia ben precisa: pubblicare libri di memorie, diari, saggi e documenti per preservare inalterata e viva la ricerca storica e l'interesse per le radici della nostra comunità.
Cosa c'è di più importante allora di mantenere viva la memoria dei nostri nonni? Come ha sottolineato Gianassi durante l'incontro, oggi assistiamo ad un progressivo depauperamento del bagaglio culturale dei giovani dal momento che il vincolo intergenerazionale si sta progressivamente perdendo. Se noi siamo quello che siamo stati cosa accade quando il legame con il nostro passato si spezza?
Lezzo è un libro che spinge a guardarci non solo dentro ma intorno, che ci obbliga a "vedere" gli anziani, gli infermi, i dimenticati. Non è un caso quindi che l'evento si sia tenuto in una RSA: il tema è uno di quelli che non piace, qualcosa di cui è meglio non parlare, mettere nel dimenticatoio. La vecchiaia. La malattia. La solitudine.

L'autrice Monica Dini

Monica Dini sceglie di raccontare proprio la vita dentro un "ospizio", anche se questa parola oggi preferiamo non usarla più. Residenza per anziani, si chiamano. Strutture dove molte persone, abbandonato tutto ciò che costituiva la loro vita, la casa, i ricordi, le abitudini, sono costretti ad "entrare". Un modo ipocrita per abbellire una realtà che di piacevole ha poco. 
Perché alla fine si erge una barriera, un muro invalicabile che sottolinea l'antitesi tra il dentro e il fuori: tra chi vive separato dal resto della società e gli "altri", il resto del mondo. Ma siamo sicuri che la vita è solo questa qua fuori?
Mio caro, l'unico tempo che conta è il presente, non c'è dato di cambiarlo, importa poco ciò che siamo stati, adesso puzziamo. Siamo i rappresentanti del disfacimento incurabile. Nessuno desidera che gli venga ricordato.
Grazie ad una carrellata di personaggi commuoventi nella loro semplicità e normalità tocchiamo con mano le storie dei degenti di Via dei Cipressi che, a discapito di  tutto, si attaccano alla vita che hanno: Ultimo che non vuole abbandonare le sue abitudini di contadino e coltiva i fagioli nella sua stanza, Inaco che non rinuncia alla lettura di Seneca, Anita che corre intorno all'ospizio interrogandosi sulla vecchiaia, Grazia che è non mai tanto bella come quando legge ai suoi pazienti.
Monica Dini ci regala un libro toccante che ci spinge ad interrogarci su che tipo di persone vogliamo essere: vogliamo stare di qua o aldilà di quel muro? Desideriamo voltarci dall'altra parte o affrontare la dura verità?
Perché la verità è che nessuno è nato vecchio. Fare finta che sia una realtà che non ci riguardi è solo un alibi, significa prima di tutto mentire a sé stessi.
In fondo come diceva Seneca ci vuole tutta la vita per imparare a vivere e, quel che forse sembrerà più strano, ci vuole tutta la vita per imparare a morire.



venerdì 12 febbraio 2016

Specchio, specchio delle mie brame chi è la più bella del reame?

Ricordate la fiaba di Biancabeve?
La matrigna era ossessionata dalla propria bellezza ed ogni giorno interrogava il suo specchio magico per avere la conferma di essere la donna più avvenente di tutto il reame, invidiosa della bellezza della giovane figliastra. Quando la piccola Biancaneve crescendo le porta via il suo primato, impazzisce per la rabbia e decide di ucciderla.
Che c'entra, direte voi?
Le fiabe non sono solo semplici storielle per bambini: raccontano alcuni aspetti del reale in veste magica. In questo caso, la paura di perdere la propria giovinezza e la propria bellezza.
Mi sono venute in mente queste riflessioni guardando Patty Pravo a Sanremo 2016.





L'immagine parla da sola.
Un'artista di indubbio successo trasformatasi in una caricatura di sé stessa.
Le battute sul suo aspetto "mostruoso" si sono sprecate. L'hanno paragonata al cane della storia infinita, a Voldemort, ad una rettiliana. Per alcuni è un rifiuto da "buttare" nel contenitore della plastica.
Non biasimo nessuno. Fare dell'ironia è facile, quasi naturale. Subito dopo però sono subentrate delle desolanti considerazioni.
Quanta poca compassione. Compassione nel senso etimologico del termine: dal latino cum patior - soffro con - e dal greco συμπἀθεια , sym patheia - "simpatia", provare emozioni con, inteso come quel sentimento per il quale un individuo percepisce emozionalmente la sofferenza altrui e prova desiderio di alleviarla.
Nessuna pietà per una donna che da giovane è stata indubbiamente bella e che, evidentemente, non ha saputo accettare il passare degli anni. Sarà stata mal consigliata? Forse troppo sola? Incapace di fare i conti con un il successo che le stava scivolando piano piano via dalle mani?

Nell'era digitale invecchiare non è facile. A nessuno piace l'idea di essere messo da parte, di diventare inutile, superato. Ad una donna poi non si perdona nulla: né di essere stata bella e intelligente, né tanto meno di non esserlo più.
Per secoli il genere femminile è stato relegato in secondo piano: le donne non studiavano, non lavoravano, non partecipavano alla vita politica. Erano nel peggiore dei casi un orpello da esibire in pubblico, nel migliore le "regine" della casa. Basti pensare che in Italia la parità tra i coniugi è stata sancita dalla legge solo con la riforma del diritto di famiglia del 1975. Prima una donna passava semplicemente dal sottostare alla potestà del padre a quella del marito. Un oggetto. Forse per questo era tanto importante che fosse di aspetto gradevole perché a nessuno interessava il contenuto.
Ecco perché oggi davanti alle polemiche sull'aspetto di Patty Pravo mi intristisco. Le ritengo un retaggio di tale subalternità. Come se attaccando l'aspetto esteriore di una donna si volesse svilirne il suo intero valore. Invecchi e puf! Tutto quello che hai fatto, quello che hai costruito, il tuo talento e i tuoi successi cadono nel dimenticatoio.
Davvero non c'è altro da dire di una cantante che ha calcato le scene della musica italiana per 50 anni? Tutto si deve ridurre a qualche battuta su un chirurgo dal bisturi facile?

Patty Pravo che si esibisce al Piper

Guardando oggi Patty Pravo provo solo una pena infinita. Quanto deve sentirsi sola su quel palco a Sanremo, quanta infelicità è nascosta dietro quella maschera di botox.
Faccio un appello a tutti, ma in particolar modo alle donne: se proprio dovete investire fatelo per cambiare qualcosa dentro di voi e non fuori. La vostra serenità non dipende da come apparite ma dalle strade che imboccherete, dalle persone che sceglierete di essere ogni giorno della vostra vita. E soprattutto siate indulgenti con chi non ci riesce, chi si perde inseguendo elisir di eterna giovinezza. Magari semplicemente non sono stati fortunati come voi.
Anna Magnani diceva: “L'importante è non avere le grinze al cervello. Quelle in faccia prima o poi t'aspettano al varco.


giovedì 4 febbraio 2016

Papà, mamma e gender di Michela Marzano

La discussione sull'ideologia gender non è mai stata attuale come in questi giorni in cui si discute al parlamento l'approvazione del disegno di legge Cirinnà che disciplina le unioni civili per le coppie omosessuali e l'adozione da parte del genitore non biologico del figlio del partner, la cosiddetta step-child. 
Come accadde spesso in politica, temi come questi vengono facilmente strumentalizzati e si solleva un gran polverone, di modo che la maggior parte dei cittadini non è in grado di formarsi un'opinione perché volutamente mal informata.
L'ultimo libro di Michela Marzano, Papà, mamma e gender ha proprio questo scopo: fare chiarezza su una serie di concetti, quali intersessualità, omogenitorialità, identità e orientamento sessuale, che al grande pubblico rimangono oscuri. L'autrice, che insegna filosofia morale all'Università di Parigi, lo fa, appunto, da filosofa, il che comporta anche una riflessione profonda sull'importanza del linguaggio nel definire il mondo che ci circonda. Citando Albert Camus ci ricorda che "nominare in maniera corretta le cose è un modo per tentare di diminuire la sofferenza e il disordine che ci sono nel mondo».

Il primo equivoco da sgomberare è che in realtà non esiste nessuna ideologia gender, né tanto meno nessun tentativo sotterraneo da parte di una loggia segreta di introdurre pericolose teorie nelle scuole che mirino a negare la naturale differenza sessuale. Uomini e donne sono differenti, eterosessuali ed omosessuali sono differenti, così come ogni donna è diversa da un'altra e, allo stesso modo, ogni uomo lo è.
Siamo tutti descrittivamente diversi, ma tutti uguali sul piano valoriale. 
Quello che si sta cercando di fare nelle scuole, ma anche in molti altri settori della società, è una battaglia per l'uguaglianza: è fondamentale valorizzare l’educazione contro le discriminazioni nei confronti delle donne e delle persone gay, lesbiche bisessuali e trans e, più in generale, contro la violenza di genere. "Se non partiamo dall'educazione - afferma la Marzano - non riusciremo mai a riparare il mondo".
Insinuare che dietro le battaglie per l’uguaglianza ci sia la volontà di rendere gli uomini e le donne indifferenziati significa confondere l’uguaglianza con l’identità. Identità è un concetto logico-descrittivo, che si usa per esempio quando si dice che un oggetto è identico a se stesso. Parlare di uguaglianza significa invece entrare nel campo dei valori: in questo senso quando si dice che una persona è uguale a un’altra si intende che, nonostante le differenze specifiche che le caratterizzano, esse hanno la stessa dignità e lo stesso valore e quindi devono poter godere degli stessi diritti.

La verità è che dietro le battaglie contro l'ideologia gender c'è ancora il tabù dell'omosessualità. Una paura che affonda le radici nel nostro inconscio: la paura del diverso, la paura di perdere la propria identità. Ci terrorizza tutto ciò che ci costringe a metterci in discussione, a rivedere le nostre certezze.
Il rischio che si corre è però molto alto: se non si vuole accettare che esistano dubbi, fratture, fragilità si rischia di perdere di vista la complessità del mondo e alzare dei muri, finendo così per escludere tutto ciò che non riusciamo a capire.

Indicazioni terapeutiche: per chi crede ancora che gli eterosessuali siano più normali degli "altri".

Effetti collaterali: Il 31 gennaio si è tenuto il Family day: migliaia di persone sono scese in piazza non per lottare per l'allargamento dei diritti e delle libertà ma per impedire ad altri di ottenerli. Come se esistesse una famiglia giusta e una no, come se esistesse un unico modello di vita universalmente valido.
Quello a cui la legge Cirinnà mira è sanare un'evidente ingiustizia: alcune persone godono di alcuni diritti fondamentali che ad altri sono preclusi. Non potremmo dire di vivere in una società civile fino a che, a dispetto dell'orientamento sessuale o della identità sessuale, tutti avremo il medesimo diritto alla ricerca della felicità.