giovedì 27 settembre 2018

Le assaggiatrici di Rosella Postorino

La capacità di adattamento è la maggiore risorsa degli esseri umani, ma più mi adattavo e meno mi sentivo umana.
È l'autunno del '43 quando Rosa Bauer fugge da Berlino per rifugiarsi a casa dei suoceri, nel villaggio di Gross-Partsch, vicino alla Tana del Lupo, il quartier generale dove Hitler si è nascosto. Suo marito Gregor è lontano, a combattere sul fronte orientale russo.
Insieme ad altre nove donne, Rosa, viene reclutata come "assaggiatrice": è una cavia, selezionata come la altre per testare le pietanze destinate al Führer, al fine di scongiurare potenziali avvelenamenti. Chiuse tra le pareti di una caserma e sotto la minaccia continua del controllo delle SS, tra il gruppo di donne si svilupperà una sorta di legame carnale, un'amicizia dettata più dalla paura e dalla necessità, che non da una volontà consapevole. In particolar modo, Rosa rimarrà affascinata da Elfriede, dal suo carattere spigoloso, dalla sua lingua tagliente, dai segreti che riesce a celare e a scorgere fissando le persone negli occhi.
Quella di Rosa diventa una vita per il Führer, che pure lei ha imparato ad odiare. Un'esistenza dominata dalla paura, dal senso di colpa, dalla mancanza. Un'esistenza che la porta a mettere in discussione tutto ciò in cui credeva, maturando la consapevolezza di quanto la vita umana abbia ben poco valore. Come si fa a dare valore a una cosa che può finire in qualsiasi momento, una cosa così fragile? Si dà valore a ciò che ha forza, e la vita non ne ha; a ciò che è indistruttibile, e la vita non lo è. Tant’è vero che può arrivare qualcuno a chiederti di sacrificarla, la tua vita, per qualcosa che ha più forza. La patria, per esempio.

Per anni ho creduto fossero stati i suoi segreti- i segreti che non poteva confessare, che non volevo ascoltare -a impedirmi di amarlo davvero. Era una stupidaggine. Di mio marito non sapevo molto di più. Avevamo vissuto appena un anno sotto lo stesso tetto, poi lui era partito per la guerra: no che non lo conoscevo. Del resto, l'amore accade proprio tra sconosciuti, fra estranei impazienti di forzare il confine. Accade fra persone che si fanno paura.

Non c'è in Rossella Postorino nessuno giudizio: la sopravvivenza ha avuto la meglio sulla morale. Quelle descritta dalla scrittrice è un'umanità mutilata, spezzata, profanata. Rosa è una donna che è scesa a patti con la propria coscienza, ma ne ha pagato caro il prezzo. L'impossibilità di dimenticare, di lasciarsi tutto alle spalle. Non racconterà mai nessuno quello che ha vissuto alla mensa di Krausendorf, delle persone con cui ha condiviso per mesi ogni pasto, dei sensi di colpa che la schiacciano senza abbandonarla mai.
Certi ricordi sono come fantasmi,  destinati ad abitare l'animo umano per sempre. Si sopravvive ma non si è più gli stessi, prigionieri dei propri segreti, si diventa inaccessibili, incapaci di aprirsi agli altri e tornare ad amare di nuovo. Ma d'altronde come è possibile volersi bene nell'inganno?

Io non sapevo se il resto della specie preferisse vivere da miserabile, pur di non morire; se preferisse vivere nella privazione, nella solitudine, pur di non calarsi nel lago di Moy con una pietra al collo. Se considerasse la guerra un istinto naturale. È una specie tarata, quella umana: i suoi istinti, non bisogna assecondarli.


L'autrice di questo romanzo si è ispirata alla storia vera di Margot Wölk, morta pochi anni fa ultranovantenne, che, ricordando i suoi tempi da assaggiatrice, ammette come ogni volta dopo un pasto scoppiasse in in un pianto liberatorio, perché significava che era ancora viva. Ma, a scanso di equivoci, è giusto sottolineare come Le assaggiatrici non sia romanzo storico né ambisca ad esserlo: la vicenda storica è solo un punto di partenza per una riflessione più ampia.
Il cibo si trasforma nel filo conduttore di un'ossessione che accompagnerà la protagonista per il resto della vita, un amore-odio viscerale. Mangiare significava nutrirsi e quindi sopravvivere, ma allo stesso tempo ciò implicava tenere in vita Hitler e il suo regime. Servire la causa. In realtà né Rosa né le altre sue compagne hanno avuto mai scelta. Non sono mai state molto di più di gruppo di donne chiuse in una mensa, braccate come un branco di animali al macello dal sentore costante della morte, senza alcuna possibilità di sottrarsi al loro angoscioso destino.
O forse no. Forse Rosa avrebbe potuto decidere da che parte stare. Come Elfriede. Scegliere di non rinnegare sé stessa, anche a costo della propria vita.


Indicazioni terapeutiche: per chi vuole scoprire quale sia il prezzo della sopravvivenza.

Effetti collaterali: molti potrebbero trovare fuori luogo la voglia di Rosa di amare, di essere desiderata, accolta. Io no. Non l'ho trovato un espediente narrativo slegato dal testo ma funzionale alla storia. Nonostante sia cosciente di vivere in un'epoca amputata, di non avere nessun diritto di parlare d'amore, vi è in lei una parte che brama di essere desiderata, di fremere, di sentirsi viva nonostante intorno a lei vi sia soltanto violenza e morte. Una parte disposta a sacrificare tutto pur di essere qualcosa di più di uno stomaco da riempire, di un pezzo di carne vittima di un ingranaggio infinitamente più grande e terribile di lei.

venerdì 21 settembre 2018

Eleanor Oliphant sta benissimo di Gail Honeyman


Si può palare di alienazione e dolore strappando un sorriso?
Sembra un'impresa possibile ma Gail Honeyman ci riesce, dando vita ad un personaggio capace di entrare in punte di piedi nell'animo di chi legge, a volte indisponendo, altre suscitando tenerezza. Eleanor Oliphant è la protagonista di questo libro, una sorta di favola moderna che ci restituisce un po' di sano ottimismo e, perché no, di fiducia nel mondo.

Se qualcuno ti chiede come stai, si aspetta che tu risponda BENE. Non devi dire che la sera prima ti sei addormentata piangendo perché erano due giorni di fila che non parlavi con un’altra persona. Devi dire: BENE. [...] Ai giorni nostri la solitudine è il nuovo cancro, una cosa vergognosa e imbarazzante, così spaventosa che non si osa nominarla: gli altri non vogliono sentire pronunciare questa parola ad alta voce per timore di esserne contagiati a loro volta, o che ciò possa indurre il destino a infliggere loro il medesimo orrore.

Ma chi è Eleanor Oliphant? È la collega scostante che nessuno vorrebbe, la vicina solitaria che parla con le piante, la tipa stramba da tenere a distanza, che dice sempre la battuta fuori-luogo e non sembra curarsi delle comuni norme della civile convivenza. Una ragazza anonima e asociale, destinata a vivere ai margini delle vite altrui.
Eppure la protagonista di questo romanzo non sembra, almeno in apparenza, risentire dello strano isolamento in cui si è auto-confinata: ha una casa, un lavoro, un tranquillo tran-tran impermeabile al mondo esterno.  A lavoro dal lunedì a venerdì, i lunghi weekend trascorsi chiusa in casa, in compagnia di qualche bottiglia di alcol e cibo scadente take-away. Mai uno sgarro. Un'unica strada dritta da percorrere in completa solitudine.
Eleanor Oliphant non ha bisogno di niente. Sta benissimo.
O forse no?
Forse dietro la facciata di stravagante normalità si nasconde l'orrore di un trauma infantile troppo da grande da elaborare, troppo spaventoso da condividere, qualcosa di così devastante che può soltanto essere sepolto nell'angolo più buio e nascosto del proprio animo.


Io ero Eleanor, la piccola, triste Eleanor Oliphant, con il mio lavoro patetico, la mia vodka e le mie cene da sola, e lo sarei sempre stata. Niente e nessuno – e certamente non quel cantante, che si stava sistemando i capelli durante l’assolo di chitarra di un altro membro della band – avrebbe potuto cambiare le cose. Non c’era speranza, le cose non si potevano riparare. Io non potevo essere riparata. Al passato non si poteva sfuggire, né lo si poteva disfare.

Gail Honeyman costruisce una storia di redenzione, sul potere salvifico dell'amicizia e sulla possibilità di scendere a patti con le proprie ferite. Nessuno si salva da solo, ma ciascuno di noi, se riceve l'aiuto di una mano tesa, può sbocciare, rifiorire, non certo diventando perfetto, ma accettando le proprie imperfezioni.
Eleanor Oliphant sta benissimo è un romanzo costruito con sagacia e intelligenza, in cui l'ironia diventa la chiave per affrontare un passato oscuro e un presente grigio. Anche se non siamo in presenza di un capolavoro non importa perché Eleanor è un personaggio capace di farsi amare, nonostante l'antipatia iniziale e tutte le sue idiosincrasie, e soprattutto in grado di restituirci un po' di sana speranza. E per una volta il lieto fine è la giusta ricompensa.


Indicazioni terapeutiche: per i solitari, i misantropi, i cinici, perché si ricredano e non smettano mai di coltivare la speranza di una felicità inattesa.

Effetti collaterali: Richard Bach affermava che siamo tutti impostori in questo mondo, poiché facciamo tutti finta di essere qualcosa che non siamo. Eleanor Oliphant è diversa: come lei, sono poche le persone che non sono in grado di dissimulare, di adeguarsi con un sorriso forzato. Tanto che a volte la solitudine auto-imposta sembra la scelta migliore, quella che mette al riparo da un gran numero di ferite inutili. In realtà la storia di Eleanor ci dimostra l'esatto contrario: c'è sempre una via, un modo di essere che coniughi la fedeltà a se stessi con la possibilità di amare ed essere riamati.


lunedì 17 settembre 2018

Il barone rampante di Italo Calvino

È sempre difficile analizzare un classico, quasi avventato, perché c'è sempre in agguato il pericolo di cadere nel banale, di ricalcare quello che altri hanno già detto, magari anche in un modo migliore. Tuttavia ho decido di correre il rischio, per parlare di quanto questo celeberrimo romanzo, che ho deciso di rileggere a distanza di anni, mi abbia colpito. Di quanto sia ancora oggi attuale, in una società globalizzata e massificata, nella quale le scelte dei singoli sembrano sempre meno incisive, in cui l'originalità ha ceduto il passo all'omologazione.


Quando ho più idee degli altri, do agli altri queste idee, se le accettano; e questo è comandare.

La trama è nota: nel 1776 il barone Cosimo Piovasco di Rondò, in seguito ad un diverbio con il padre su un piatto di lumache, decide di salire su un albero,  per non ridiscenderne mai più. Questo atto di ribellione è in realtà una metafora di qualcosa di più grande, che va aldilà del semplice disagio giovanile.
Quella di Cosimo non è solo una scelta per la vita ma una scelta di vita: con il suo profondo atto di rottura prenderà le distanze dalla sua famiglia per affermare la propria individualità, rigettando ogni tipo di norma che non sia quella dettata dalla propria moralità. Non vivrà infatti come un selvaggio al di sopra delle regole, ma, al contrario, tutta la sua esistenza sarà orientata e guidata da un rigido codice di principi morali.
Attraverso il protagonista di questo romanzo, Italo Calvino ha voluto rappresenta la figura dell'intellettuale che, pur mantenendo una certa distanza, da' il proprio contributo all'evoluzione della società. Contrariamente a quanto si potrebbe ipotizzare, Cosimo infatti non condurrà una vita votata alla solitudine, tutt'altro: dall'alto delle cime frondose di magnolie, lecci e ulivi sarà parte attiva della propria comunità: combatterà i pirati, progetterà fontane e sistemi per prevenire gli incendi, caccerà ogni tipo di animale, vivrà tresche segrete e avventure al limite dell'inverosimile.


Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così.

Come nel caso del barone di Münchhausen, le storie di Cosimo mescolano realtà e fantasia ma ciò non toglie forza al messaggio del libro, anzi ne amplifica la portata: la ribellione non è fregarsene delle regole di convivenza civile o non avere nessuna etica. Anzi il protagonista di questo libro dimostra il contrario. La vera libertà è vivere assecondando la propria natura, seguendo inflessibilmente i propri principi. La vera libertà è il coraggio di essere diversi, di emergere dal branco, di reagire alle critiche della massa. 
Cosimo è un eroe dei nostri giorni perché dimostra che, se si è disposti a pagarne il prezzo, si può scegliere di essere liberi, liberi non solo dalle imposizioni materiali ma dai vincoli mentali, da tutto ciò che ci limita, ci inibisce, ci soffoca. Una condizione che è più mentale che materiale. L'insegnamento che Calvino lascia a tutti, in special modo ai più giovani, è chiaro: siate fedeli a voi stessi e accettatevi, solo così anche gli altri finiranno con l'accettarvi.
D'altra parte, come affermava Nietzsche, la vera felicità non è fare tutto ciò che si vuole, ma è voler tutto ciò che si fa.


Indicazioni terapeutiche: per chi sogna di fuggire dalla prigione della quotidianità.

Effetti collaterali: come muore un uomo che ha vissuto tutta la vita osservando la terra dall'alto? Semplicemente volando via. Un finale aperto che ci lascia con la più bella delle speranze: chi è veramente libero non vive forse per sempre?