venerdì 17 novembre 2017

Presentazione "Il cammino di Hamdan"

Noto sempre con dispiacere che alle presentazioni dei libri c'è sempre meno gente. D'altra parte l'Istat ha confermato che il numero di chi legge in Italia è in continuo ribasso: nel nostro Paese oggi ci sono oltre 4 milioni di lettori di libri in meno rispetto al 2010, senza considerare il fatto che nel 2016 sono circa 33 milioni coloro che non hanno letto nemmeno un libro di carta in un anno, cioè il 57,6% della popolazione.
Come dicevo tale disaffezione non dovrebbe stupirmi, invece mi intristisce ogni volta. Perché penso alle occasioni che le persone si perdono per conoscere, emozionarsi, ampliare i propri orizzonti.
Mai come questa volta  l'incontro con l'autore Hamdan Jewe'i ha rappresentato per me un'opportunità di riflessione come raramente capitano: impossibile non rimanere colpiti dalla sua positività, dalla sua fiducia nel prossimo e dalla sua convinzione di poter sconfiggere i preconcetti e
Anna Vezzoni che ha introdotto l'incontro ha usato il termine resilienza.
La resilienza è la capacità di autoripararsi dopo un danno, di far fronte, resistere, ma anche costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili che fanno pensare a un esito negativo. Di costruire un cammino a partire dal dolore, senza rinnegare il passato, senza farsi consumare dall'odio.

Imparare a scrivere è stata una conquista molto importante, per me, una sorta di innamoramento per i segni, le decorazioni. La mia bella lingua con le sue tante forme apriva in me nuovi spazi, nuovi sogni. Il desiderio di comunicare si faceva bruciante e in poco tempo ricadevo nella disperazione dell’isolamento. Isolamento è proprio il titolo di una delle mie liriche: infatti, dopo aver imparato a scrivere ho iniziato a esprimere il mio dolore con i versi: poesie tristissime, apoteosi del mio dolore. Ne ricordo anche un’altra “L’ultimo momento”, scritta in occasione del mio tentativo di suicidio, a 8 anni.

Il cammino di Hamdan parte da lontano, da una stanza buia in una casa in un campo profughi a Betlemme, una stanza che è stata tutto il suo mondo per i suoi primi 11 anni. Hamdan nasce "diverso", con una disabilità che la sua famiglia, vittima essa stessa di una mentalità retrograda, non accettava. Nella società palestinese un figlio disabile è il frutto di una colpa, una punizione divina, un peso di cui farsi carico, uno stigma davanti agli occhi della comunità.
Per questo Hamdan è stato per anni una vergogna da dover celare agli occhi della gente, tanto che nessuno sapeva della sua esistenza. Fino al giorno in cui ha avuto la forza di imporsi e rompere le catene del suo isolamento per uscire nel mondo e frequentare gli altri bambini.
Da allora sono passati anni, anni che Hamdan ha speso in giro per il mondo testimoniando la sua esperienza e battendosi per i diritti dei disabili, affinché possano avere non solo le cure mediche di cui hanno bisogno, ma il riconoscimento sociale che meritano.
Il suo viaggio l'ha portato fino In Italia, dove ha conosciuto Franca Dumano, a cui ha raccontato la sua storia: è nato così il libro Il cammino di Hamdan, un affresco sullo straordinario percorso di liberazione compiuto da un ragazzo palestinese, imprigionato sin dalla nascita, da muri, porte sbarrate, steccati, filo spinato.

Negli anni della prigionia, non sapevo veramente come passare il tempo ed ero davvero triste. Quando ripenso alla mia infanzia mi stupisco di aver trovato la forza di superare la noia e la disperazione di quegli anni. Ho vissuto momenti davvero terribili, imprigionato nel mio corpo e recluso nella stanza della vergogna.

Una frase di Hamdan mi ha colpito: "Anche i disabili sono abili". Poche parole che racchiudono tutta la forza e l'energia di questo uomo che ha saputo usare il dolore non solo come carburante per il proprio percorso di crescita ma anche per lottare affinché questo cambiamento investa la società tutta, i cosiddetti "normodotati", che troppo spesso si limitano a voltare la testa dall'altra parte.




La storia di Hamdan è ancora più stupefacente se si pensa il luogo in cui è nato, la Palestina, in perenne conflitto con Israele da cinquanta anni. Palestina che purtroppo oggi significa per molti solo campi profughi, intifada, check-point, kamikaze. Ma soprattutto vivere in questa terra flagellata da scontri continui signifca ancora più difficoltà per accedere alle cure di cui le persone con una disabilità hanno bisogno. Una vita difficile resa ancor più difficile.
Eppure non c'è traccia di livore né di rabbia nella voce di Hamdan. Non biasima né la sua famiglia, con cui oggi ha ottimi rapporti, né tantomeno semina parole di odio. C'è solo speranza. Quella di costruire con l'aiuto di tutti coloro che credono che una pacifica convivenza sia possibile un nuovo mondo, un nuovo modo di stare insieme, che non escluda ma includa, abili e disabili, palestinesi e israeliani.
Franca Dumano dialoga con Hamdan Jewe'i è un libro che testimonia la grande voglia di vivere del suo protagonista, una volontà tale da spazzare via ogni pregiudizio e fanatismo. Affinché la voglia di gettare un ponte sia più forte del rancore. Perché come diceva Gandhi occhio per occhio il mondo diventa cieco.


giovedì 9 novembre 2017

Schegge di verità di Monica Lombardi


Una ragazza si sveglia in un ospedale senza memoria. Come è finita lì? Perché non ricorda nulla?
Si scopre così che è stata rapita insieme ad una sua amica, ma mentre lei è riuscita a fuggire, l'altra è ancora prigioniera dai suoi aguzzini. Parte così una lotta contro il tempo per ricostruire un passato che sembra imprigionato nella nebbia, indizio dopo indizio,  nel disperato tentativo
di mettersi sulle tracce dei rapitori.
La protagonista sarà aiutata nel suo percorso dal Commissario Emilio Arco e dalla medium Ilaria, nonché da un'affascinante psichiatra: tutti insieme la guideranno attraverso la foschia della sua amnesia per cercare di ricostruire il suo passato.
L'ho trovato, in verità, un giallo un po' sopra le righe. Il fulcro della storia, più che l'indagine in sé, sono infatti le emozioni e la caratterizzazione delle personalità dei personaggi: lo spaesamento della protagonista che non sa più chi è e la sua inopportuna attrazione per un uomo che non può avere, la disperazione di Andrea che lotta per poter tornare a stringere la donna che ama, la calma energia di Ilaria che vive sul baratro dell'orrore altrui, l'acume del commissario che intesse le indagini come un abile ragno.

Le avevano detto che si chiamava Livia. Un nome come un altro, non le diceva proprio niente.

Schegge di verità è un libro che all'inizio coinvolge il lettore ma si perde poi, rallentando il ritmo e inanellando una serie di colpi di scena un po' troppo prevedibili. Non conoscevo l'autrice originaria di Noavara e sono rimasta comunque colpita dal suo stile diretto e coinvolgente: Monica Lombardi riesce infatti  nell'ardua impresa di coniugare due mondi così lontani come il thriller e la commedia rosa fondendoli nell'ibrido del romatic supsense, genere che appunto mescola indagini e sentimenti, senza sconfinare nel gusto macabro dei giallisti del Nord Europa.
L'epilogo un po' troppo sbrigativo è forse la nota che stona di più. Ma il finale aperto e l'esistenza del sequel lascia presagire che le risposte mancanti arriveranno nel prossimo capitolo. (O almeno spero).

Indicazioni terapeutiche: per chi cerca un buon giallo non troppo impegnativo.

Effetti collaterali: William Shakespeare affermava che un nome è soltanto un nome: Cosa c'è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo.
Eppure cosa rimane di noi quando ci vengono portati via i nostri ricordi e le nostre certezze?
La mente è come uno specchio e quando va in frantumi diventa impossibile riconoscervisi e quindi riconoscersi. Il confine tra la realtà e immaginazione si sfuma. Restano solo schegge. Schegge di verità.