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giovedì 27 settembre 2018

Le assaggiatrici di Rosella Postorino

La capacità di adattamento è la maggiore risorsa degli esseri umani, ma più mi adattavo e meno mi sentivo umana.
È l'autunno del '43 quando Rosa Bauer fugge da Berlino per rifugiarsi a casa dei suoceri, nel villaggio di Gross-Partsch, vicino alla Tana del Lupo, il quartier generale dove Hitler si è nascosto. Suo marito Gregor è lontano, a combattere sul fronte orientale russo.
Insieme ad altre nove donne, Rosa, viene reclutata come "assaggiatrice": è una cavia, selezionata come la altre per testare le pietanze destinate al Führer, al fine di scongiurare potenziali avvelenamenti. Chiuse tra le pareti di una caserma e sotto la minaccia continua del controllo delle SS, tra il gruppo di donne si svilupperà una sorta di legame carnale, un'amicizia dettata più dalla paura e dalla necessità, che non da una volontà consapevole. In particolar modo, Rosa rimarrà affascinata da Elfriede, dal suo carattere spigoloso, dalla sua lingua tagliente, dai segreti che riesce a celare e a scorgere fissando le persone negli occhi.
Quella di Rosa diventa una vita per il Führer, che pure lei ha imparato ad odiare. Un'esistenza dominata dalla paura, dal senso di colpa, dalla mancanza. Un'esistenza che la porta a mettere in discussione tutto ciò in cui credeva, maturando la consapevolezza di quanto la vita umana abbia ben poco valore. Come si fa a dare valore a una cosa che può finire in qualsiasi momento, una cosa così fragile? Si dà valore a ciò che ha forza, e la vita non ne ha; a ciò che è indistruttibile, e la vita non lo è. Tant’è vero che può arrivare qualcuno a chiederti di sacrificarla, la tua vita, per qualcosa che ha più forza. La patria, per esempio.

Per anni ho creduto fossero stati i suoi segreti- i segreti che non poteva confessare, che non volevo ascoltare -a impedirmi di amarlo davvero. Era una stupidaggine. Di mio marito non sapevo molto di più. Avevamo vissuto appena un anno sotto lo stesso tetto, poi lui era partito per la guerra: no che non lo conoscevo. Del resto, l'amore accade proprio tra sconosciuti, fra estranei impazienti di forzare il confine. Accade fra persone che si fanno paura.

Non c'è in Rossella Postorino nessuno giudizio: la sopravvivenza ha avuto la meglio sulla morale. Quelle descritta dalla scrittrice è un'umanità mutilata, spezzata, profanata. Rosa è una donna che è scesa a patti con la propria coscienza, ma ne ha pagato caro il prezzo. L'impossibilità di dimenticare, di lasciarsi tutto alle spalle. Non racconterà mai nessuno quello che ha vissuto alla mensa di Krausendorf, delle persone con cui ha condiviso per mesi ogni pasto, dei sensi di colpa che la schiacciano senza abbandonarla mai.
Certi ricordi sono come fantasmi,  destinati ad abitare l'animo umano per sempre. Si sopravvive ma non si è più gli stessi, prigionieri dei propri segreti, si diventa inaccessibili, incapaci di aprirsi agli altri e tornare ad amare di nuovo. Ma d'altronde come è possibile volersi bene nell'inganno?

Io non sapevo se il resto della specie preferisse vivere da miserabile, pur di non morire; se preferisse vivere nella privazione, nella solitudine, pur di non calarsi nel lago di Moy con una pietra al collo. Se considerasse la guerra un istinto naturale. È una specie tarata, quella umana: i suoi istinti, non bisogna assecondarli.


L'autrice di questo romanzo si è ispirata alla storia vera di Margot Wölk, morta pochi anni fa ultranovantenne, che, ricordando i suoi tempi da assaggiatrice, ammette come ogni volta dopo un pasto scoppiasse in in un pianto liberatorio, perché significava che era ancora viva. Ma, a scanso di equivoci, è giusto sottolineare come Le assaggiatrici non sia romanzo storico né ambisca ad esserlo: la vicenda storica è solo un punto di partenza per una riflessione più ampia.
Il cibo si trasforma nel filo conduttore di un'ossessione che accompagnerà la protagonista per il resto della vita, un amore-odio viscerale. Mangiare significava nutrirsi e quindi sopravvivere, ma allo stesso tempo ciò implicava tenere in vita Hitler e il suo regime. Servire la causa. In realtà né Rosa né le altre sue compagne hanno avuto mai scelta. Non sono mai state molto di più di gruppo di donne chiuse in una mensa, braccate come un branco di animali al macello dal sentore costante della morte, senza alcuna possibilità di sottrarsi al loro angoscioso destino.
O forse no. Forse Rosa avrebbe potuto decidere da che parte stare. Come Elfriede. Scegliere di non rinnegare sé stessa, anche a costo della propria vita.


Indicazioni terapeutiche: per chi vuole scoprire quale sia il prezzo della sopravvivenza.

Effetti collaterali: molti potrebbero trovare fuori luogo la voglia di Rosa di amare, di essere desiderata, accolta. Io no. Non l'ho trovato un espediente narrativo slegato dal testo ma funzionale alla storia. Nonostante sia cosciente di vivere in un'epoca amputata, di non avere nessun diritto di parlare d'amore, vi è in lei una parte che brama di essere desiderata, di fremere, di sentirsi viva nonostante intorno a lei vi sia soltanto violenza e morte. Una parte disposta a sacrificare tutto pur di essere qualcosa di più di uno stomaco da riempire, di un pezzo di carne vittima di un ingranaggio infinitamente più grande e terribile di lei.

mercoledì 1 agosto 2018

Oceano Mare di Alessandro Baricco


Una visione onirica, una carrellata di immagini e situazioni che ammaliano il lettore, un libro senza trama apparente che mischia poesia e filosofia. Un balsamo per l'animo. Questo e molto di più è stato per me, Oceano Mare.
In bilico sull'orlo della terra, cullato dalla preghiera incessante del mare, sorge un luogo fuori dal tempo, la Locanda Almayer, dove le persone si rifugiano per guarire, o più spesso, per sfuggire ai mali del mondo. Scorrendo le righe incontriamo il pittore Plasson, che cerca di dipingere dove inizia il mare; la bella Elisewin, talmente fragile da aver paura perfino del rumore dei suoi passi; il professor Bartleboom che sta scrivendo un'enciclopedia sui limiti. E Ann Deverià che deve guarire da una strana malattia, l'adulterio. E ancora il misterioso Adams, che nasconde un terribile segreto.


Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio. Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità. 

Cosa lega questi personaggi? In apparenza, nulla. In realtà, tutto. Lo stesso spasmodico bisogno di trovare un senso, una strada tra le infinite possibilità, una pace che metta a tacere i tumulti del cuore, che mormora incessantemente come le onde che si infrangono sulla battigia.
È proprio il mare l'unico comune denominatore.
Il mare con il suo ventre marino capace di dare la vita ma anche di toglierla, culla segreta di antichi misteri, teatro di naufragi e terribili sciagure, capace di portare un uomo alla pazzia ma anche di guarirlo.
Il mare amico fidato, indifferente spettatore, rasserenante compagno, gelido nemico.
Il mare fine ultimo e principio di ogni cosa.


Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi. E qualcuno un padre, un amore, qualcuno capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume immaginarlo, inventarlo e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio. Questo, davvero, sarebbe meraviglioso. Sarebbe dolce, la vita, qualunque vita. E le cose non farebbero male, ma si avvicinerebbero portate dalla corrente, si potrebbe prima sfiorarle e poi toccarle e solo alla fine farsi toccare. Farsi ferire, anche. Morirne. Non importa. Ma tutto sarebbe, finalmente, umano.

Su Alessandro Baricco è già stato tutto. Il mondo dei lettori si divide tra chi lo ama e chi non lo sopporta. Personalmente, credo che i giudizi sugli autori lascino il tempo che trovano, ciò che mi interessa sono i libri, e come quest'ultimi ci parlino, ci coinvolgano, ci emozionino.
Oceano Mare è un libro di un'intensità sconvolgente, un concentrato di lirismo e suggestione, di difficile definizione. Non è un romanzo nel senso stretto del termine: a tratti sconfina talmente nel surreale da sembrare un fiaba, altre volte ancora trascende nella metafisica.


Io non è che volevo essere felice, questo no. Volevo...salvarmi, ecco: salvarmi. Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri. Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l'onestà, essere buoni, essere giusti. No. Sono i desideri che salvano. Sono l'unica cosa vera. tu stai con loro, et i salverai. Però troppo tardi l'ho capito. Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile: e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti male.

Un'opera dalla molteplici interpretazioni che ho fatto fatica ad inquadrare, ma che più probabilmente fugge ad ogni tentativo di banale classificazione. La verità è che la scrittura di Baricco è talmente evocativa e visionaria che sembra cantare come una sirena, ammaliando il destinatario, che si lascia travolgere con piacere, abbandonandosi senza riserve e lasciandosi guidare, così come il mare ipnotizza e sconvolge, spaventa e affascina, in un abbraccio da cui è impossibile sciogliersi.


Indicazioni terapeutiche: per chi cerca un senso, sapendo che non lo troverà.

Effetti collaterali: il capitolo sul naufragio è da pelle d'oca. Impossibile non andare con il pensiero ai fatti di cronaca legati alle tragedie degli sbarchi dei tanti disperati che fuggono dalla miseria e dalla guerra in cerca non dico di un futuro migliore, ma almeno possibile. Un racconto di una brutalità a tratti intollerabile ma che descrive a pieno la disumanità di certe situazioni. E dell'uomo, che tra tutte le bestie è la più crudele.




mercoledì 3 agosto 2016

Nessuno sa di noi di Simona Sparaco


Dopo aver letto Equazione di un amore mi è venuta voglia di riprendere in mano l'opera prima di Simona Sparaco, Nessuno sa di noi, finalista premio Strega 2013, a mio avviso, il romanzo più riuscito di questa scrittrice. Un  libro difficile e coraggioso perché affronta uno dei pochi tabù rimasti nella nostra società: l'aborto terapeutico. Non è facile parlare della maternità al di fuori dei soliti cliché, raccontare di quelle mamme che mamme non saranno mai, ma Simona Sparaco ci riesce, mettendo giù una storia forte, pura, cruda, che lascia il lettore con un groppo in gola e lo spinge a immedesimarsi, a "sentire" senza giudicare.

Chissà perché sono sempre così insignificanti i pensieri, un attimo prima dell'impensabile.

Luce e Pietro sono una coppia come tante, che, dopo cinque anni di tentativi,  sta per coronare il sogno di avere un figlio. È tutto pronto: la cameretta, i giochi, i vestitini. Lorenzo sta per arrivare.
Durante una visita al settimo mese qualcosa però non va come dovrebbe, Lorenzo è troppo "corto". La ginecologa pronuncia due parole che risuonano come una lugubre sentenza: displasia scheletrica.
Due parole capaci di costruire un solco tra un prima e un dopo, tra una famiglia felice e due genitori alla deriva del loro dolore.


É successo che eravamo felici. Sembravamo volare sopra le nostre vite, cosi meravigliosamente incoscienti. Poi, in un istante qualunque, siamo precipitati. E adesso siamo qui, senza sapere se resteremo paralizzati a vita, o se incerti e zoppicanti, prima o poi, ci rimetteremo in piedi e ricominceremo a camminare.

Da quel momento inizia una corsa frenetica contro tempo. I termini per l'aborto terapeutico in Italia sono scaduti e alla coppia non resta che volare a Londra, nella speranza di una diagnosi diversa.
Ma la speranza è la più grande delle illusioni.
Posti di fronte ad una scelta terribile, Luce frastornata si arrende. Tocca a Pietro prendere in mano la situazione e decidere per entrambi. La città sul Tamigi, in un'atmosfera natalizia surreale,  sarà l'attonita testimone di un decisione che segnerà un punto di svolta nelle loro vite, una macchia indelebile da cancellare.

Ora l'ho capito, in questo imponderabile viaggio non ci sono certezze, possiamo solo camminare avanti, cercando di non avere motivi per non farlo a schiena dritta.

Nessuno sa di noi è un libro che coinvolge, commuove, strazia. Un romanzo che ci pone davanti alla sofferenza di una scelta che nessuno può giudicare. proprio il tema della sospensione del giudizio al centro della storia. Luce è una donna vittima di un dolore immenso, che non si stanca, non si arrende, che la trascina sempre più in basso, in un gorgo tortuoso.
Più forte di tutto il senso di vergogna e inadeguatezza che la sovrasta. Luce si sente colpevole come se fosse stata lei la causa della malattia del suo bambino, un supplizio che la spinge ad isolarsi, a chiudersi in sé stessa, che le impedisce di confessarsi e confrontarsi con gli altri, vittima del pregiudizio e della paura di essere giudicata. Perché il dolore si amplifica nel silenzio, come un urlo nella notte, e ci consegna ad una landa di solitudine.
Nessuno sa di noi  è la storia di un figlio atteso, cercato, desiderato. Un figlio che diventa dolore, poi assenza, poi una luce capace di rischiarare l'oscurità dentro l'animo della protagonista, di riconciliarla con sé stessa, con i suoi vuoti e le sue mancanze.


Indicazioni terapeutiche: per chi crede che il bene e il male, spesso, si confondano, per chi ha  avuto il coraggio di saltare, e di tornare quaggiù, su questa terra desolata eppure bellissima.

Effetti collaterali: Solo col tempo, l'angoscia diventa sopportabile, il ricordo un lumicino di speranza, quella che a volte la vita ci mette di fronte a delle scelte lancinanti, incomprensibili, ma ciononostante si può sopravvivere. Che si può tornare a abitare la propria vita, a dispetto dei graffi e delle cicatrici, feriti, violati, saccheggiati ma più consapevoli di prima.




giovedì 7 luglio 2016

I miei libri per l'estate!


L'estate è ufficialmente arrivata.
Per me estate è sinonimo di mare, di vacanze, di relax. E soprattutto di libri.
Sotto l'ombrellone, all'ombra di una pianta al fresco del proprio giardino, tra una passeggiata e l'altra in montagna, un libro è un buon amico che vi seguirà ovunque.
Se non li avete ancora letti, ecco i romanzi che vi consiglio di portare in vacanza con voi:



Notti in bianco, baci a colazione di Matteo Bussola
Dopo aver spopolato sul web, Matteo Bussola si lancia con tutto l'entusiasmo che lo contraddistingue nell'avventura di un libro tutto suo, nel quale racconta la sua vita di padre, in costante bilico tra la stanchezza cronica e la meraviglia di imparare a guardare il mondo ogni giorno con occhi nuovi.
Leggi qui la recensione completa
Per chi affronta l'avventura delle genitorialità con il sorriso sulle labbra.


La tristezza ha il sonno leggero di Lorenzo Marone
Il secondo romanzo di Lorenzo Marone non tradisce le aspettative: tratteggia con abilità l'affresco di un "nerd" quarantenne lasciato dalla moglie, Erri Gargiulo, alla prese con una famiglia ingombrante, tra insicurezze affettive e rimpianti mai sopiti.
Leggi qui la recensione completa.
Per chi crede nelle seconde possibilità.

Splendi più che puoi di Sara Rattaro
Può l'amore trasformarsi in una prigione? La vita di Emma, vittima delle violenze del marito Marco, sposato quasi per gioco, si è trasformata in un incubo: diventata ormai prigioniera in casa propria, vede la sua dignità di donna viene calpestata quotidianamente. Ma quando ormai tutto sembra perduto, troverà il coraggio di cambiare il proprio destino.
Per chi pensa che la violenza di genere non sia solo un fatto privato.




Equazione di un amore di Simona Sparaco
La vita tranquilla di Lea viene scombussolata dall'incontro con una vecchia conoscenza, Giacomo, che la costringerà a rimettere in discussione la sua vita "apparentemente" perfetta. Si troverà divisa tra la rassicurante storia con il marito Vittorio e la passione per l'uomo che non ha mai dimenticato.
Per chi brama le storie d'amore tormentate.




Il rumore delle cose che iniziano di Evita Greco
Un romanzo incantevole, lieve ed intenso al tempo stesso. La storia di Ada, creatura fragile e ingenua, che affronta le difficoltà senza però smettere di ascoltare il suo cuore e il rumore delle cose che iniziano. Nonostante l'apparente debolezza, la protagonista riuscirà a fare tesoro degli insegnamenti della nonna Teresa e a superare gli scogli della vita.
Leggi qui la recensione completa.
Per chi affronta la vita senza paracadute.




La ballata di Adam Henry di Ian McEwan
Fiona Maye, giudice dell'alta corte di Londra specializzata in diritto di famiglia, è una donna puntigliosa e dedita al lavoro che vede crollare le sue certezze quando il marito la lascia. A ciò si aggiunge la difficile decisione sulla sorte del giovane Adam Henry, gravemente ammalato di leucemia che rifiuta ogni intervento trasfusionale, in quanto testimone di Geova. Fin dove è lecito decidere di lasciar morire un individuo per rispettare la sua fede religiosa?
Per chi segue sempre la propria coscienza.




Non mi resta che augurarvi buona lettura!!!!


giovedì 30 giugno 2016

Il rumore delle cose che iniziano di Evita Greco


Un baule, un casco da palombaro, una scatola di latta piena di biscotti, un'altalena, un ulivo nel giardino.
Per Ada, la protagonista di questo romanzo, la ricetta delle felicità è una casa che contiene poche cose.
Sua nonna Teresa, che l'ha cresciuta, le ha insegnato ad osservare le cose, come cambiano impercettibilmente ogni giorno, perché altrimenti, se smetti di farlo, arriva il giorno in cui non le riconoscerai più e non ti apparterranno più. 
Ma soprattutto nonna Teresa le ha insegnato il rumore che fanno le cose quando iniziano. Un rumore meraviglioso che pochi però sono capaci di interpretare.
Un rumore che scaccia via la malinconia.

Vedi, Ada, prima o poi le cose devono iniziare. Sono come le strade, te sei lì a pensare che una stia finendo, ma in realtà è un'altra che è appena cominciata.

Ada sembra una creatura fatata, una sirena, troppo ingenua e fragile per vivere nel mondo reale, al di fuori della fortezza che sua nonna ha costruito per lei. Ada è stata abbandonata dalla mamma quando era solo una bambina e questo distacco ha lasciato in lei una ferita profonda: la paura di restare sola, di non accorgersi di ciò che sta per finire, di non essere in grado di prevedere il dolore che arriva.

Le cose. Tutte le cose. Anche quelle che sembrano più difficili, anche quelle che passi mesi a prepararle, a pensarci su. Le cose accadono, e passano. E sono più facili. Più facili di quanto pensi.

Il libro si divide in due blocchi: una prima parte che scorre molto lenta, mentre una seconda più densa di avvenimenti. A fare spartiacque una morte annunciata, che lacera Ada, segnando il suo passaggio nell'età adulta. Un'adulta che non rinuncia tuttavia al suo modo particolare di guardare il mondo, alla voglia di emozionarsi ancora davanti ai regali, alle domande che mettono in difficoltà gli interlocutori, alla capacità di amare senza riserve, senza freni, senza paracadute.
Al centro della storia c'è infatti il legame di Ada con il suo "Penna", un uomo pieno di dubbi, di segreti, di domande. Un uomo da cui però Ada non riesce a staccarsi, a cui si dona totalmente perché non sa fare altrimenti.


In generale, l'intero romanzo altera la concezione stessa di tempo, che sembra dilatarsi, sfaldarsi, assumere un nuovo significato. Il lettore si perde tra le righe, tra i dialoghi tra la protagonista e Giulia, l'infermiera che si prende cura di sua nonna, tra le sue riflessioni e le sue paure.
Tra i suoi ricordi.
Quelli di una bambina che si è sentita sempre diversa dagli altri. Perché non aveva i genitori, perché indossava un grembiulino rosso invece che rosa, perché tornava a casa a piedi, perché era dislessica.
La parola dislessia non viene quasi mai pronunciata nel libro, come se le difficoltà di Ada con le lettere e i numeri fosse il frutto del maleficio di una strega cattiva. C'è una non casuale sovrapposizione tra la storia narrata e la vita vera: anche Evita Greco, l'autrice, soffre di quella che oggi è classificata come un disturbo specifico di apprendimento. I bambini che ne sono affetti non sono meno intelligenti, semplicemente hanno bisogno di un altro metodo, che vada al di quello che standardizzato diffuso nelle scuole. Se non vengono aiutati finiscono per sentirsi stupidi, difettosi, non all'altezza delle aspettative. Prigionieri di un sistema che li relega ai margini.

"Aspetto che qualcuno mi tagli la strada" rispose lei, senza pensare che nella sua lista quel lavoro non c'era ancora "O che me la cambi".

Il rumore delle cose che iniziano è un libro denso, pieno di immagini, di poesia, di nostalgia, che vi farà pizzicare gli occhi di lacrime (una nota d'encomio alla lettera della nonna!). Un inno alla diversità, che non è per forza una cosa negativa, ma che può diventare una risorsa, se impariamo a rifiutare le regole che gli altri ci impongono e scegliamo di giocare seguendo solo le nostre.
Un libro che ci ricorda che, nonostante il dolore, le delusioni, le perdite, la nostra vera essenza è fatta di cose belle. Se impariamo a riconoscerle e a riconoscerne il vero valore nulla potrà impedirci di splendere.


Indicazioni terapeutiche: per chi conserva le carte dei regali, per chi sente felice quando si mette il rossetto, per chi dorme con le sue scarpette da ballo ai piedi del letto.

Effetti collaterali: Tutti cerchiamo un posto nel mondo. Solo che a volte quel posto non è luogo fisico ma una persona.




martedì 7 giugno 2016

Notti in bianco, baci a colazione di Matteo Bussola


Mi sono imbattuta in un post di Matteo Bussola qualche mese fa. Anche se non lo conoscevo sono rimasta colpita dal suo modo di scrivere, così toccante e scanzonato allo stesso tempo. Non mi ricordo l'argomento della discussione ma sono rimasta talmente impressionata che ho deciso di iniziare a seguirlo, accorgendomi ben presto che di essere in buona compagnia.

Nella mia vita insonne io sono: padre, figlio, amico, cuoco, chitarrista, giardiniere, disegnatore, amante, lavatore di piatti, costruttore di torri coi cubetti  e un mucchio di altre cose, tutti i giorni e non sempre in quest'ordine Ma ho scoperto che la prima cosa è l'unica che mi contenga per intero. Tutti i giorni imparo da quella e ogni lezione che imparo alimenta tutte le altre. Le mie figlie alimentano me e mi ricordano che essere padre significa vivere in bilico tra la responsabilità e l'abbandono, tra la forza e la tenerezza. E che questo vale per tutto.
Matteo Bussola è diventato infatti un fenomeno virale sui social: il suo diario quotidiano in cui racconta le sue vicissitudini come padre, compagno, fumettista è seguito da migliaia di internauti. Complice probabilmente il calore e l'affetto con cui tante persone commentavano e condividevano le sue riflessioni e le sue risposte alle stravaganti domande delle sue bambine, questi racconti sono diventati un libro, edito da Einaudi, Notti in bianco, baci a colazione, che è balzato subito in testa nelle classifiche di amazon.


Un diario sui generis che inizia così:

Di lavoro faccio il padre. Di professione disegno i fumetti. Per passione, scrivo.

Qual è il segreto di tanto successo?
La semplicità, la voglia di arrivare al cuore dei lettori senza sovrastrutture né artefici. Un uomo che sceglie di parlare di sé, senza però salire in cattedra, ma "condividendo" il suo mondo.
Durante una recente intervista, alla domanda su quando avesse iniziato a scrivere delle proprie figlie, ha candidamente risposto che si limita a parlare della sua vita, che comprende appunto tre figlie, Ginevra, Virginia e Melania, un lavoro "precario" da fumettista, una compagna, due cani, e tutti i problemi delle persone comuni, come andare a a fare la spesa e barcamenarsi tra bollette e conti correnti agli sgoccioli. Uno di noi, direte voi.  
Uno che tuttavia non ha perso la voglia di giocare, di riflettere sulle cose, di vedere il bicchiere mezzo pieno. In questo difficile compito lo aiutano, con tutto il loro incredibile acume, le sue figlie. E allora anche le notti in bianco diventano meno pesanti, gli avanzi di cibo si trasformano in una risorsa, una bambina malata che ti dorme addosso un modo per fermarsi a riflettere.

La bellezza non è mai facile. E se non la scegli solo perché magari ci vuole più tempo ad aprirla, o a raggiungerla, tutto il tempo che risparmierai evitandola non sarà mai una vittoria, ma la più clamorosa delle sconfitte.
C'è tanta poesia nascosta nelle pieghe della quotidianità, solo che finiamo per scordarcene, impegnati a schivare impegni e sfuggire alla vita frenetica in cui siamo intrappolati. Il pregio di Matteo Bussola è proprio questo, usare la sua scrittura come una lente che ci aiuti a cambiare il modo in cui vediamo e viviamo la realtà che ci circonda. Tante istantanee messe una di fianco all'altra, un disegno incompiuto che si rinnova ogni giorno.
Come ci ricorda "il Bussola", come lo chiama la sua compagna Paola Barbato,  perché quando scrivi, , oppure leggi, in quei momenti riesci a cambiare il tuo punto di vista sulle cose. E se riesci a cambiare il tuo punto di vista sulle cose allora significa che il mondo, anche solo un pezzetto, anche se non lo sai, lo hai già cambiato. Cambiando te.


Indicazioni terapeutiche: per i genitori disperati, per chi non rinuncia al buonumore.

Effetti collaterali: Passiamo gran parte nelle nostra giornate ad essere arrabbiati, a lamentarci,  ad inveire perché piove, governo ladro. Dov'è finita la magia. la leggerezza, la felicità?
Si è nascosta nelle domande impertinenti dei bambini, nel ricambiare l'amore che riceviamo, nei gesti gratuiti di gentilezza, nell'educazione che non cede il passo all'arroganza
Ogni piccolo gesto, può propagarsi all'infinito: si dice che il minimo battito d'ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall'altra parte del mondo. Effetto farfalla, lo chiamano.  Perché questo mondo caotico che abitiamo può cambiare, ma dipende da noi. Dalla nostra capacità di vedere le cose in prospettiva. Di prendere la rincorsa e saltare al momento giusto, anche se non sappiamo dove quel salto ci porterà.




martedì 24 maggio 2016

Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi

Una scena tratta dall'omonimo  film (1996)

Perché nel 1992 Jack Frusciante (che in realtà si chiama John) decide di abbandonare, nel bel mezzo di un tour mondiale, i Red Hot Chili Peppers proprio all'apice della popolarità?
Alex non riesce a capire le ragioni di questa scelta.
Pazzia? Anticonformismo? Coraggio?


Non ha mete, nella vita. Essere felice, forse, ma è lontanissimo anche solo dall'idea di poterlo essere. E intorno tutto va come è sempre andato, e forse andrà sempre così. Tutto è prevedibilissimo, l'ho già vissuto in cento film tutti uguali e mi sento il personaggio di un libro che non mi piace e odio l'autore che mi fa fare queste cose che detesto e non mi fanno minimamente sentire felice e....
È intorno a questo interrogativo che gravitano i pensieri e le vicissitudini del protagonista del romanzo di esordio di Enrico Brizzi, uscito nel 1992, che è diventato un cult per un'intera generazione.
Alex è una adolescente bolognese con pochi problemi e tante domande per la testa. Una vita come tante. Una facciata di normalità che nasconde tanta insofferenza.
Alex è stanco del perbenismo, dell'ipocrisia, delle apparenze. Si sente lontano anni luce dalla sua famiglia, così borghese. Si sente diverso, invischiato in un "amore platonico" con Adelaide, detta Aidi, un sentimento così totalizzante che scolora tutto il resto, come solo a diciotto anni può accadere.
Grazie al suo rapporto con Aidi, il protagonista del romanzo di Brizzi riesce a comprendere il significato della scelta di Jack, apparentemente così insensata: a volte anche le idee e i sogni più radicali possano cambiare. A volte essere fedeli a sé stessi è più importante di ogni consenso, di ogni successo. 


M forse le cose stanno addirittura peggio. Perché sono stato io a non prendermi quel che volevo. Come avessi abortito tutti i giorni, come non avessi mai permesso che quel ragazzo nascesse per paura di ritrovarmelo fra i piedi, per paura che mi sconvolgesse la mai vita. E così mi sono sempre concesso piccole felicità di polistirolo: andare ai giardini; restare a  dormire tutto il pomeriggio; guardare Videomusic invece di studiare; fare fuga; mangiare molto; farmi una sega con devozione particolare....

Jack Frusciante è uscito dal gruppo è un concentrato di atmosfere e stati d'animo, specchio dei tormenti e delle inquietudini di una generazione, quella nata negli anni '70, che è stata sì capace di ribaltare lo status quo, senza però avere la forza di aggrapparsi alle ideologie ( come invece aveva fatto quella precedente), facendo dell'l'incertezza e del relativismo la propria chiave di lettura della realtà.

Enrico Brizzi
Mi ricordo ancora quando l'ho letto la prima volta al liceo. E riprendendolo in mano ora, a distanza di tanto tempo, ho provato le stesse emozioni, quel miscuglio di paura e speranza pilastro dei miei diciassette anni, quel sentirsi contro il mondo e andarne fieri.
Le corse in bicicletta per le vie di Bologna, l'amicizia con Martino, i primi batticuore, i pomeriggi a immaginare il futuro, che poteva solo essere pieno di promesse. L'intera trama, che racconta la vita liceale di Alex tra notti brave e "fughe" a scuola, ruota proprio intorno al tema di uscire dal gruppo nel senso di uscire dagli schemi sociali.
La necessità di trovare una propria identità, di esistere, appunto, al di fuori del gruppo, che sia la famiglia, la compagnia, la società, di andare avanti in direzione ostinata e contraria come direbbe De André. Che poi essere giovani significa solo questo: essere capaci di metter in discussione ogni certezza, di vivere ogni emozione al massimo, di aprire nuove porte dove c'erano soltanto muri.

Indicazioni terapeutiche: per chi è rimasto un eterno adolescente, invischiato tra sogni e paure.


Effetti collaterali: Viene naturale perdersi nei pensieri di Alex, riflettere sulla profonda dicotomia che convive nella testa e nel cuore di molti, sul bisogno inconciliabile di raggiungere un equilibrio e quello opposto di cambiareAlla fine l'equilibrio interiore non è che da cercare. Forse ce l'abbiamo già, e più ci muoviamo o agitiamo o altro, e più ce ne allontaniamo.
Allora tutto quello che possiamo fare è accogliere questa fragilità, imparare a  convivere col fatto che non siamo come gli altri, non sentiamo come loro, e, per quanto proviamo a omologarci, non ci mischiamo, come l'olio e l'acqua che tornano sempre a dividersi.
Accettare la propria diversità fa soffrire, ma è il primo passo verso la propria auto-realizzazione.

venerdì 22 aprile 2016

Il cardellino di Donna Tartt

Cosa vi spinge a scegliere un libro piuttosto che un altro?
La copertina? il titolo? Le recensioni?
Nel mio caso, la voglia di leggere un nuovo romanzo è direttamente proporzionale alla sua lunghezza. Con le sue quasi 900 pagine, Il cardellino rappresentava quindi una sfida allettante.
Cosa posso dire?
Che le pagine scorrono veloci come nubi sospinte dal vento di tramontana?
Che la scrittura di Donna Tartt sembra dilatarsi all'infinito e, allo stesso tempo, è densa, piena, riempie ogni spazio del cuore e della mente?


Il cardellino è un romanzo sorprendente, un capolavoro a mio avviso, che merita il clamore che ha suscitato (non è un caso se se si è aggiudicato il Premio Pulitzer 2014). Un libro così pervaso dalla mancanza e dallo struggimento che è quasi doloroso staccarsene. 

Ma partiamo dall'inizio. Il protagonista del romanzo è Theo, un ragazzo tredicenne, che rimane orfano a causa dell'esplosione di una bomba durante una vista ad un museo di New York, dove abita.

Il cardellino, Fabritius (1654)

Quel giorno segna uno spartiacque nella sua vita: non solo perde sua madre, smarrendo per sempre ogni barlume di felicità, ma anche perché, in un impeto inspiegabile, trafuga dall'edificio un importante opera d'arte, Il cardellino, dipinto di Fabritius del Seicento.
Con il passare degli anni il quadro diventerà una vera a propria ossessione per Theo, una sorta di feticcio di tutto ciò che ha perso e non tornerà più.

Il quadro mi aveva fatto sentire meno mortale, meno ordinario. Era stato un sostegno, uan forma di rivalsa, di nutrimento e di resa dei conti. Era il pilastro che aveva tenuto in piedi la cattedrale.

Il romanzo di Donna Tartt è una sorta di Bildungsroman contemporaneo, grazie al quale seguiamo le vicissitudini di Theo nel suo percorso verso l'età adulta: il suo soggiorno temporaneo presso la ricca famiglia dell'amico Andy, l'incontro con Pippa, il trasferimento a Las Vegas con il padre, le peripezie con l'amico Boris, il ritorno a New York e la sua nuova vita come antiquario con il socio Hobie.
Una vita travagliata, segnata da un profondo senso di smarrimento e di mancanza. Come ha raccontato la stessa scrittrice durante un'intervista Il cardellino è un romanzo sulla sopravvivenza e anche sulla cattività e sulla liberazione. Parla di come ci si sente quando si è imprigionati dalla propria storia, dal proprio passato.

E sento di avere qualcosa di molto serio e urgente da dirti, mio inesistente lettore (…). Che la vita - qualunque cosa sia - è breve. Che il destino è crudele ma forse non casuale. Che la Natura (intesa come Morte) vince sempre, ma questo non significa che dobbiamo inchinarci e prostrarci al suo cospetto. Che forse, anche se non siamo sempre contenti di essere qui, è nostro compito immergerci comunque: entrarci, attraversare questa fogna, con gli occhi e il cuore ben aperti. E nel pieno del nostro morire, mentre ci eleviamo al di sopra dell'organico solo per tornare vergognosamente a sprofondarvi, è un onore e un privilegio amare ciò che la morte non tocca.

Una riflessione a parte la merita il rapporto tra il protagonista e Pippa, di cui Theo è eternamente innamorato da sempre: un amore etereo, in bilico tra i non detti e gli sguardi di intesa, pronto a volare via come un uccellino a cui viene aperta la gabbia.

Lei era il filo dorato che intesseva ogni cosa, una lente che ingigantiva la bellezza a tal punto che il mondo intero appariva trasfigurato attraverso di lei, e solo lei.

Una piccola nota di demerito per il finale, che sembra un po' tirato per le orecchie, quasi che la scrittrice si sia accorta di aver allungato troppo la storia e abbia sentito l'urgenza di trovare una chiusa un po' troppo sbrigativa. La svolta alla giallo-thriller non cancella, in ogni caso, la poesia delle pagine precedenti.
In conclusione, devo ammettere che è difficile riuscire a trasmettere in poche righe il fiume di emozioni, sensazioni che vi stordiranno. Se non vi farete spaventare dalla sua prolissità, vi assicuro che ogni parola ha il suo peso e non è mai di troppo, e deciderete di acquistare questo libro, ne sono sicura, non ne rimarrete delusi.

Indicazioni terapeutiche: per chi sente la mancanza, anche di quello che ha già.

Effetti collaterali: Cosa significa crescere senza amore? Ci si abitua a questa mancanza o si diventa così, difettati e difettosi, impossibili da riparare?
Difficile dare una risposta.
Theo Decker resta, a discapito dei suoi errori, delle sue dipendenze e delle sue mancanze, una sorta di eroe post-moderno, un sopravvissuto che non si arrende al dolore, ma ogni giorno si sveglia per combattere i propri mostri. Forse proprio per questo è impossibile non immedesimarsi e non fare il tifo per lui.



mercoledì 16 marzo 2016

L'Alchimista di Paulo Coelho

Una volta ho letto che la musica che ascoltiamo, i libri che leggiamo, i film che vediamo durante la nostra adolescenza ci segnano per sempre. In quel periodo infatti si definisce la personalità di ogni individuo e i gusti prendono definitivamente forma. 

Forse per questo L'Alchimista di Paulo Coelho resta in cima alle mie preferenze.
L'ho letto quando avevo diciassette anni e tutto in quel romanzo urlava un messaggio che sembrava essere stato scritto proprio per me. Io non ero più io ma Santiago, che vendute le sue pecore, partiva alla ricerca della propria Leggenda Personale.

Tutti da giovani sanno qual'è la propria leggenda personale, non hanno paura di sognare né di osare. Ma poi col passare del tempo quella certezza scompare, inghiottita dal timore di fallire. E si finisce per accontentarsi e per raccontarsi che è andata bene così. Si impara a mentire a sé stessi per sopravvivere.
Ma vivere è un'altra cosa.
Vivere è onorare la nostra vera natura, non tradire i nostri talenti, essere il meglio di ciò che possiamo essere.

E quando tutti i giorni diventano uguali è perché non ci si accorge più delle cose belle che accadono nella vita ogniqualvolta il sole attraversa il cielo. 

Il protagonista di questo romanzo, Santiago, decide di lasciare la sua vita da pastore e intraprende un viaggio che è non solo fisico ma soprattutto spirituale, che lo strappa dalla sua routine e, giorno dopo giorno, gli  regala l'insegnamento più grande: quando desideri qualcosa tutto l'Universo cospira affinché realizzi il tuo desiderio. 
Come capire se ci troviamo sulla giusta strada?
Segui i segnali.
Non passa giorno che l'Universo perda occasione per lanciarci un segnale. Ma bisogna essere coraggiosi: i nostri sogni hanno bisogno di sapere che lo siamo per venirci incontro.

Paulo Coelho
E Santiago lo è temerario per vendere tutto e partire alla ricerca di un fantomatico tesoro, nascosto ai piedi delle piramidi. Lungo la sua strada incontrerà tante persone e finirà per trovare l'amore, laddove sembrava meno probabile,  in un'oasi in mezzo al deserto.

È facile capire come nel mondo esista sempre qualcuno che attende qualcun altro, che ci si trovi in un deserto o in una grande città. E quando questi due esseri s'incontrano e i loro sguardi s'incrociano, tutto il passato e tutto il futuro non hanno più alcuna importanza. Esistono solo quel momento e quella straordinaria certezza che tutte le cose, sotto il sole, sono state scritte dalla stessa mano, la mano che risveglia l'Amore e che ha creato un'anima gemella per chiunque lavori, si riposi e cerchi i propri tesori sotto il sole, perché se tutto ciò non esistesse non avrebbero più alcun senso i sogni dell'umanità.

L'Alchimista di Paulo Coelho è un romanzo pieno di poesia e di fiducia (forse un po' troppo sentimentale per chi non ama il genere), che non ti stanchi mai di leggere, perché ogni volta ti regala una sfumatura diversa. Un libro da tenere sul comodino a portata di mano, da rileggere nei momenti tristi.

Indicazioni terapeutiche: per chi ha bisogno di un'iniezione di ottimismo, per chi nonostante tutto non ha mai smesso di sognare.

Effetti collaterali: L'Alchimista è un viaggio nella consapevolezza della propria interiorità ed esteriorità. Una favola all'apparenza semplice che cela però un significato profondo: è necessario entrare in contatto con la propria vera essenza, per trovare la strada per felicità. Solo trovando il coraggio di ascoltare il proprio cuore si può essere felici, d'altronde nessun cuore ha mai provato sofferenza quando ha inseguito i propri sogni.


lunedì 14 marzo 2016

Adesso di Chiara Gamberale


Succede che ti innamori,  costruisci una vita insieme ad una persona, anzi quella persona è diventata la tua Occasione, solo che non lo sai ancora.
Lo scopri solo quando qualcosa, quel qualcosa che vi teneva uniti, si rompe. E la vita che avevi sognato, immaginato, costruito scompare come i sogni al mattino, lasciandosi dietro una scia di rimpianti, recriminazioni e sensi di colpa.
E tu non sei più la stessa.
Se hai vissuto qualcosa di vero, un amore vero intendo, quell'amore ti ha deformato, cambiato per sempre, ha guarito in parte la bambina che sei stata ma te l'ha riconsegnata saccheggiata, tradita di nuovo, di nuovo delusa, con tutte le sue ferite e forse anche qualcuna in più che non ti eri accorta di avere.
E allora la paura di innamorarti di nuovo ti blocca, ti paralizza, come un veleno che ti scorre nelle vene. Ricominciare fa paura, più paura che restare soli. 
È quello che è successo a Lidia e Pietro.

“Funziona così. Che arriviamo a un punto. Prima di quel punto, ne abbiamo la certezza assoluta: è già successo tutto. O almeno tutto quello per cui poteva avere un’ombra di senso ‘sta vita. “Io? Tu. No no. Sì sì. Non sono pronto. Nessuno lo è”.

Lidia è la Lidia di La zona Cieca (Vi ricordate? http://bit.ly/1XPsol2 ) che nel frattempo si è separata da Lorenzo. Una che, nonostante tutto, nutre un grottesco accanimento sentimentale nei confronti della vita. È diventata una star televisiva e conduce il programma Le famiglie felici: si trasferisce una settimana a casa di una famiglia per provare ad imparare come si sta insieme. Perché, alla soglia dei trentasei anni, non è ancora riuscita a capire l'amore come si fa, e soprattutto cosa succede quando il sentimento finisce.


Pietro, padre separato in causa con una ex moglie che ha deciso di entrare in convento, salta da una relazione all'altra, incapace di rimettersi in gioco davvero.
Due anime difettose e difettate, incapaci di guarire. 
Lidia che preferisce essere libera anziché felice.
Pietro prigioniero della sua normalità.
E’ che ci sono sette miliardi di persone al mondo. Ma fondamentalmente si dividono in due categorie. Ci sono quelle che amiamo. E poi ci sono tutte le altre. Che sono tantissime. Le prime invece sono poche. Ci costringono a cambiare tutto quello che riusciamo a cambiare e a fare pace con quello che non potremo cambiare mai: per questo amarsi è un'impresa.
Ma davvero tutto quello che c'era di bello l'hanno già vissuto? L'amore arriva solo una volta sola?

Per Chiara Gamberale no. Lo dimostra la passione e la forza che ha messo in questo suo ultimo romanzo. Innamorarsi di nuovo è possibile, è solo questione di tempo.
Come ha detto la stessa autrice in una sua intervista il dolore è così straziante perché una separazione non divide solo due esseri umani fra loro, ma anche ognuno dei due, dentro di sé. E se il dolore è vissuto porterà a un altro, possibile, “adesso”. Se invece il dolore è solo subito rischia di diventare un alibi per non mettersi più in gioco.

La scrittrice riesce nell'ardua impresa di mettere in scena l'innamoramento nel senso proprio del termine: non ciò che accade fuori ma quello che succede dentro, quando incrociamo lo sguardo di una persona tra i 7 miliardi che vivono nel mondo e di colpo sentiamo una pallina nella pancia, lì sotto le costole, dove prima non c'era niente.
E non non importa quanto il nostro muscolo rosso ha sanguinato, quante volte è stato spezzato, non smetteremo mai di inseguire quella sensazione, quella pallina che ci fa sentire vivi. Perché fare il viaggio senza aver mai amato equivale a non aver mai vissuto. 


Indicazioni terapeutiche: per chi ha voglia di ricominciare ma non sa da dove iniziare.

Effetti collaterali: La maggior parte delle persone insegue il mito dell'amore platonico, la fantomatica ricerca dell'altra metà della mela, che ci completi, ci restituisca la nostra integrità. Io non la penso così. Sono accordo, al contrario, con ciò che diceva Philip Roth: Io credo che tu sia completo prima di cominciare. L’amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due. 
La verità è tutta qui.

mercoledì 19 agosto 2015

Ciò che inferno non è di Alessandro D'Avenia

Calvino diceva che l'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà ma è qualcosa che è già qui. L'unico modo per sopravvivere è cercare e saper riconoscere ciò che, in mezzo all'inferno, inferno non è.
Questo è il compito che porta avanti Padre Pino Puglisi, parroco del quartiere Brancaccio di Palermo, che combatte ogni giorno la sua battaglia contro l'inferno. L'inferno è abbassare lo sguardo, è voltarsi dall'altra parte, l'inferno sono gli omicidi, il pizzo, le bombe, l'inferno è pura sottrazione, è togliere tutta la vita e l'amore da dentro le cose. L'inferno a Brancaccio ha un nome solo: Mafia.
Ma Padre Puglisi sa che l'inferno è soprattutto l'assenza di una scuola media: perché se butti i ragazzi in strada, se non dai loro la speranza di un futuro diverso, se non insegni che la vita non è solo violenza allora la Mafia non sarà mai sconfitta. Cultura e amore sono armi più potenti di qualsiasi pistola. Perché il vero inferno è quando perdi la libertà di amare.

Se nasci all'inferno hai bisogno di veder almeno un frammento di ciò che inferno non è per concepire che esita altro.

Nella battaglia quotidiana di Don Puglisi verrà coinvolto anche Federico, studente diciassettenne con l'anima del poeta e la corazza troppo debole per resistere ai colpi della vita. Scoprirà un mondo che va aldilà dei suoi amati libri, un mondo cattivo e spietato che spezza i deboli e premia i forti. Ma, come spesso accade, in mezzo all'inferno troverà anche l'amore, Lucia, e la voglia, insieme a lei, di trovare una scintilla laddove sembra esserci solo oscurità.
Alessandro D'Avenia costruisce una storia che intreccia romanzo e realtà, un inno alla bellezza e al fascino della sua Palermo, un grido di dolore per ciò in cui si è trasformata dopo anni nella morsa della mafia, come un animale morente che non rinuncia alla speranza.

Ci sono pensieri che non pensiamo, sono loro che pensano noi, come le parole che tornano in mente senza averle evocate.

Un romanzo di una forza travolgente, commuovente, poetico, denso di citazioni e riflessioni, di una rara bellezza, come certi tramonti sul mare. Ma è soprattutto un tributo a  Padre Pino Puglisi e alla sua incessante azione di evangelizzazione che lo ha portato in mezzo alla gente, a lottare per i più deboli. La sua azione è stata rivoluzionaria, un grido in mezzo a tanto silenzio. Una lotta pagata a caro prezzo: Padre Puglisi fu ucciso la sera del suo cinquantaseiesimo compleanno il 15 settembre 1993 da due sicari.
Morendo con il sorriso sulle labbra ci ha lasciato un'eredità pesantissima: non abbiate paura, non c'è libertà maggiore che la ricerca della verità. Per essere felici serve solo il coraggio, il coraggio di affrontare sempre la vita a viso aperto, di non risparmiarsi e di non lasciarsi imprigionare dalla paure.

Indicazioni terapeutiche: per chi non conosce Padre Pino Puglisi, per chi crede che la Mafia può essere combattuta, per chi ogni giorno ha il coraggio di realizzare un piccolo sogno e di donarlo agli altri.

Effetti collaterali: Troppo spesso ci giustifichiamo affermando che le cose sono sempre state così. Troppo comodo dare la colpa agli altri, a chi è venuto prima di noi, alla politica. La politica siamo noi, le scelte che facciamo ogni giorno camminando per la strada.
Non basta evitare il male, il bene bisogna farlo.


mercoledì 20 maggio 2015

Morte dei Marmi di Fabio Genovesi

Un pamphlet su Forte dei Marmi e suoi abitanti.
Un inno alla propria terra e una feroce critica a chi l'ha venduta, anzi svenduta.
Una vera e propria dichiarazione d'amore. 
Una promessa di restare, perché esiste un solo luogo sulla terra al quale apparteniamo, e da quel luogo non si può fuggire, perché è semplicemente quel posto dove ti senti a posto.
Morte dei Marmi è un'opera sui generis. Non è né un romanzo né un saggio, piuttosto una profonda riflessione su cos'è Forte dei Marmi, o meglio su cosa sia diventata. Un paese di contrasti: affollato e glamour d'estate, solitario e scontroso d'inverno.
Per la stragrande maggioranza delle persone è una meta turistica d'élite: boutiques, ristoranti di lusso, ville faraoniche. Uno scorcio della società dell'apparire in cui viviamo, niente di più o di meno di uno specchietto per le allodole. Ma per chi ci vive, per chi resta quando i villeggianti tornano a casa è qualcos'altro: l'odore del salmastro trasportato dalla tramontana, le vette delle Apuane tinteggiate dal rosa dei tramonti invernali, gli arcobaleni che fanno cucù tra un temporale e l'altro.
Un paese con un'anima segreta, quasi selvaggia, che si lascia scoprire da pochi, da quelli che non si fanno abbagliare dai lustrini, da quelli che riescono a vedere oltre. Un paese reso straordinario, oltre che dalla natura, dai suoi abitanti: stoici, imperturbabili, indomabili, selvatici. Gente che un momento prima ti spara addosso e un attimo dopo ti spalanca le porte di casa sua. Gente strana, i versiliesi.
Nel libro di Fabio Genovesi c'è tutto: l'odio per i turisti unito alla consapevolezza che senza di loro la Versilia non sarebbe quello che è, le leggende sui Russi e sulla loro "generosità", la nostalgia per gli anni '60, il disprezzo per tutto ciò che pretende di essere esclusivo e finisce per scadere nel ridicolo. Muovendosi tra critiche e aneddoti divertenti, lo scrittore riesce a mischiare sapientemente ironia e malinconia, che come due gusti stranamente  assortiti di un gelato si fondono per regalare al lettore un sapore nuovo.
È impossibile non rimanere avvolti nelle maglie del racconto di Genovesi che ti cattura e ti porta a scoprire il "suo paese": anzi te lo regala, come fa una persona quando ti dona una piccola parte di sé.

Indicazioni terapeutiche: per tutti i versiliesi, per chi quando torna da un viaggio e scorge le Apuane si sente allargare il cuore, per chi ama la sua casa.

Effetti collaterali: Io vivo a Morte dei Marmi. anzi no a Forte dei Marmi. Perché un paese non è morto se ancora ci vive qualcuno.
E allora smettiamo di lamentarci che ci stanno portando via la casa, il lavoro, il futuro.Non lasciamoglielo fare. Facciamo come Genovesi che si tiene la sua casetta Vittoria Apuana, rifiutandosi di venderla a qualche miliardario. È vero che  soldi fanno comodo, ma se per averli rinunci a tutto ciò che ti rende felice, che senso ha?


venerdì 20 marzo 2015

La tetralogia di Elena Ferrante: da L'amica geniale a La storia della bambina perduta


Sapete come caccia il ragno? Non si sfinisce in lunghi inseguimenti ma tesse con abilità la sua tela e aspetta pazientemente. E la preda non può che, attirata inesorabilmente dalla sua stessa sorte, finire in trappola.
Così mi sono sentita io: catapultata nel mondo disegnato ah hoc dalla scrittrice Elena Ferrannte. Un mondo disordinato e schizofrenico, un mondo di frammenti che schizzano da ogni parte, in cui le due protagoniste tentano disperatamente di non andare in frantumi.
Raramente mi sono sentita così compartecipe delle vicende di un romanzo che stavo leggendo. Il coinvolgimento emotivo è stato tale che, anche se chiudevo il libro, continuavo a sentirmi incastrata nelle vicende e nelle emozioni dei personaggi. Se Lenù era scoraggiata, mi sentivo giù di morale anch'io, se era innamorata, improvvisamente il mondo intorno a me diventava più seducente. Empatia allo stato puro.
Dopo il primo libro L'Amica Geniale (per la recensione http://bit.ly/1Mva63j), con gli altri tre volumi della saga Storia del nuovo cognome, Storia di chi resta e di chi fugge, Storia della bambina perduta, continua il racconto che ripercorre la storia dell'amicizia tra Lenù e Lila, dall'infanzia alla maturità.
I quattro romanzi coprono un arco di tempo che va dagli anni '60 ai giorni nostri. Un racconto che si intreccia con le vicende della Storia italiana: i movimenti degli anni '60 e '70, i gruppi operai, il femminismo, il terrorismo, tangentopoli. Un'unico grande affresco che intreccia realtà e letteratura ma al cui centro resta sempre il rapporto tra le due protagoniste. Un rapporto fatto di scontri, di incomprensioni, di invidie ma che, ciononostante, resiste nel tempo. Un rapporto attraverso il quale le due donne si specchiano l'una nell'altra, perdendosi e mescolandosi.
Un'amicizia tra due donne che non avrebbero potuto essere più diverse ma che hanno saputo trarre il meglio dal loro rapporto. Lenù, al secolo Elena Greco, incarna la donna che si mette in gioco, che riesce a far carriera nonostante le umili origini, voltando pagina ed estirpano le proprie radici, culturali e geografiche. Lila, alias Raffaella Cerullo, non lascerà mai Napoli: bella e intelligentissima, una vera capo-popolo, capace di scardinare ogni convenzione sociale e rompere tutti gli equilibri.

Particolare copertina Storia della bambina perduta
Elena Ferrante ci consegna una storia palpitante, che coinvolge e sconvolge, sullo sfondo di una Napoli cattiva e decadente. Una prosa magica che rapisce il lettore e che gli fa agognare ogni momento libero per dedicarsi alla lettura. Quattro libri che si leggono tutti d'un fiato (anche se devo ammettere che ho amato in particolar modo i primi due) in bilico tra il desiderio di continuare a immergersi nella lettura e quello che la storia non finisca mai.

Indicazioni terapeutiche: per chi cerca una storia che lo strappi alla realtà, per chi vuole gettarsi a capofitto in un libro per rendersi conto, in fondo, che una fine vera non c'è.

Effetti collaterali: Col senno di poi, dopo aver letteralmente divorato i quattro romanzi della Ferrante, pagina dopo pagina, credo che L'amica geniale del primo libro non sia Lila ma Lenù: è lei che riesce a tirarsi fuori dalla propria condizione di povertà e miseria e, anche se stabilisce un nesso causale tra il suo talento e il rapporto con Lila, è sempre lei che, passo dopo passo, si costruisce la vita a cui aveva sempre aspirato. Mi sono molto riconosciuta in lei, nella sua voglia di riuscire bene, nelle sue paure di non essere mai all'altezza delle aspettative.
Anche il concetto di smarginatura mi sembra si evolva e cambi: non si tratta tanto di uno squarcio della realtà ma di un confondersi dei confini delle cose e delle persone, come se la realtà fosse un continum, in cui ogni elemento si mescola e si scompagina. Un dissolversi delle cose, un essere estraneo alla realtà, che è percepita come distante ed estraniante. Una volontà da parte di Lila non di morire o partire, ma di scomparire, di smettere di esistere da un momento all'altro.


venerdì 6 marzo 2015

La zona Cieca di Chiara Gamberale


Inizio subito dicendo che questo è uno dei libri che ho amato di più, che ha fatto risuonare qualche parte dentro di me, che nemmeno sapevo di avere.
Di sicuro è  il libro che mi ha fatto innamorare di Chiara Gamberale, che è oggi una delle mie scrittrici italiani preferite. La sento vicina perché imperfetta, fragile e potente al tempo stesso.
L'autrice ci racconta la storia di amore tra Lidia e Lorenzo, fra una donna confusa e spaventata e un narcisista patologico.  Un amore complicato, difficile, malato. Uno di quegli  amori che ingabbiano, da cui non si riesce a liberarsi.
La zona cieca del titolo è quella parte di noi che ignoriamo, tutto quello che gli altri colgono di noi ma che a noi sfugge. Una zona che può essere la nostra salvezza o la nostra condanna.
Perché ci sono persone che riconoscono istintivamente i nostri punti deboli e sfruttano proprio quelli per legarci a loro
Proprio quello che fa Lorenzo: blandisce Lidia, la fa sentire la donna migliore del mondo e poi, seguendo i cambi repentini del proprio umore, la scaraventa all'inferno. La respinge, la ignora, la mortifica. Ma lei torna sempre, cieca alle delusioni, come un drogato che non può più vivere senza il suo veleno. E non importa quanto Lorenzo la umili: ogni ferita paradossalmente aumenta il suo amore per lui, lo rende più forte, più violento, più indispensabile.
E Lidia per quell'amore così assoluto è pronta a rischiare tutto, costretta a difendere non solo se stessa, ma la sua stessa relazione malata. 
Ma l'amore stesso non è forse una malattia?
Vivere nella convinzione che esista l'anima gemella, una sola persona tra miliardi di abitanti di questo mondo, legata indissolubilmente al nostro destino, da cui dipenda la nostra eterna felicità non è forse patologico?
La zona cieca è un romanzo introspettivo che scandaglia i meccanismi delle relazioni sentimentali, le cieche ragioni che spingono alcune persone a restare insieme nonostante bugie, tradimenti, ripicche. Un percorso, lungo il campo minato del cuore, alla fine del quale il lettore non può che giungere alla conclusione che spesso ciò che lega due persone non è tanto l'amore ma il dolore.

Indicazioni terapeutiche: per chi ama le storie di amore tormentate, per tutte le donne che hanno vissuto tante tempeste emotive e ora aspettano solo l'arcobaleno.

Effetti collaterali: questo spazio è legato alle riflessioni che ogni libro mi ispira, a ciò che mi suscita, nonostante magari le intenzioni dell'autore fossero tutt'altre. Oggi tuttavia preferisco prendendo in prestito un post pubblicato proprio da Chiara Gamberale sulla sua pagina facebook dove confessa come la sua concezione dell'amore sia cambiata rispetto al momento in cui scrisse questo libro.
Lo faccio perché ho trovato le sue parole di grande ispirazione, lo faccio perché spero ispirino anche voi.
"Certi uomini intuiscono dov’è che “si annida il nostro dolore”. Ma pensate che ce ne sono altri, che ce n’è almeno uno, fuori dal rifugio bugiardo di quella prigione, che può intuire dov’è che si annida la nostra possibilità di gioia. E può puntare prima la sua attenzione, poi la nostra, proprio lì. In una zona di noi autentica, vitale, luminosa e naturalmente controversa. E’ una zona che pareva cieca. Invece si era solo addormentata".


giovedì 30 ottobre 2014

Nessuno sa di noi di Simona Sparaco

Viviamo un una società in cui, uno alla volta, tutti i tabù sono caduti. Il sesso, la nudità, le perversioni. Ma ce se sono alcuni, quelli che intaccano la parte più profonda di noi, che rimangono. Ci sono sentimenti di cui non si può parlare. Emozioni che vanno piantate come un seme nel profondo del cuore e lì rimangono, custodite come il più terribile dei segreti. Ma i segreti sono come catene: una volta che si sceglie di averli non si è più liberi come prima.
Luce e Pietro stanno per avere un bambino, Lorenzo. Un bambino desiderato, cercato, arrivato dopo mille tentativi. Luce è euforica: presto lei, Pietro e Lorenzo saranno una famiglia. La vita è bellissima.
Ma il destino ha in serbo un’amara sorpresa. Durante una visita ecografica, la ginecologa si accorge che c’è qualcosa che non va. Displasia scheletrica. Una diagnosi che non da' scampo, che arriva come un uragano a lasciare solo macerie dopo il suo passaggio.
Da quel momento la protagonista Luce sarà trascinata in una girandola di eventi: la diagnosi, i dubbi, le visite, fino alla decisione più drammatica, l'aborto terapeutico.
Il peso di questa decisione schiaccerà Luce e la costringerà a rimettere in discussione tutta la sua vita: perché proprio a lei?  Come è possibile sentire in maniera così feroce la mancanza di qualcuno che non si è mai conosciuto? Cosa può l'amore di fronte a tanta disperazione?
Mentre tutti le dicono di guardare avanti, Luce si abbandona al suo dolore. Si sente una casa disabitata, un guscio svuotato incapace di dare e ricevere amore.
Al suo esordio l'autrice Simona Sparaco mette in scena il doloroso percorso di una donna che affronta una scelta lucida e dolorosa, quella dell'aborto terapeutico, che ha bisogno di essere rivendicata e compresa. Solo così infatti potrà riconciliarsi con sé stessa e riuscire ad andare avanti.

Indicazioni terapeutiche: direi che è un libro quasi prettamente femminile, scritto da una donna per altre donne. È un romanzo intimista, che scandaglia l'animo femminile e ci consegna un sguardo più indulgente verso tutte coloro che si confrontano con il desiderio di maternità.

Effetti collaterali: ci hanno abituati a pensare che la maternità è sempre un dono. Non è vero. A volte è un macigno ma ciononostante le donne trovano sempre la forza di farci i conti.

martedì 21 ottobre 2014

Cent'anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez

Oggi vi parlo di uno dei miei romanzi preferiti in assoluto. Anzi Cent’anni di solitudine non è, a parer mio, un romanzo ma IL ROMANZO.
Per i pochi che lo ignorano, Cent’anni di solitudine è il capolavoro di Gabriel Garcia Marquez, l’autore colombiano scomparso lo scorso 17 aprile, considerato uno dei più importanti scrittori del Novecento.
L'influenza che ha avuto sul mondo letterario è tale che questo libro è considerato oggi l’opera più importante in lingua spagnola dopo il Don Chisciotte. 
La storia narra l'intreccio centenario tra la famiglia Buendìa e il piccolo paese immaginario di Macondo (come vorrei esistesse davvero!).
C'è tutto: amore, guerra, tradimenti e riconciliazioni, magia e maledizioni. Non fatevi distrarre  però dagli elementi del favolismo magico, che si racconta che Marquez abbia inserito ispirandosi ai racconti di sua nonna, fondamentalmente il libro è una storia di solitudini. I personaggi sono chiusi in sé stessi, incapaci di andare aldilà dei propri limiti, prigionieri delle loro passioni e delle loro convinzioni.
Ma il libro ci pone di fronte anche ad un'altra domanda: è possibile sfuggire al proprio destino?
Per Marquez la risposta è no. Domina il fatalismo: ognuno sembra intrappolato nelle maglie di una rete impossibile da spezzare, condannato a reiterare gli sbagli della generazione precedente. Neanche l’amore è in grado di salvare i protagonisti, anzi la passione li conduce alla rovina.
Alcuni lettori sono confusi dal fatto che i nomi maschili si ripetono. Non è una scelta casuale. Il tempo assume una dimensione magica, come se passato e futuro coesistessero nel presente, come se, ancora una volta, fosse inevitabile non percorrere la strada che il fato aveva già tracciato.
L'epopea di questa famiglia vi trascinerà tra incontri, partenze, ritorni, amori e vendette e, credetemi, anche quando tutto sarà finito non ne avrete avuto ancora abbastanza.

Indicazioni terapeutiche: da leggere e rileggere (ogni volta che lo faccio ne apprezzo sfumature diverse!). Per tutti perché è un peccato non aver letto un capolavoro simile.
Piacerà sicuramente a chi è affascinato dalle saghe familiari e a chi cerca una storia senza tempo. 

Effetti collaterali: impazzirete nel distinguere i vari Aureliani e Jose Arcadio, vi struggerete dietro le loro storie d'amore, rassegnati al fatto che l'essere umano è inerme di fronte al destino.

martedì 14 ottobre 2014

Non dirmi che hai paura di Giuseppe Catozzella



Giuseppe Catozzella ci consegna un libro di un’intensità unica, la storia di una ragazza che non ha mai smesso di lottare per realizzare il suo sogno, diventare un’atleta famosa in tutto il mondo. Lo scrittore-giornalista si è imbattuto in questa storia e ha scelto di raccontarla a testimonianza della vita di Samia Yusuf Omar e del suo enorme coraggio.
Nata in Somalia, una paese devastato dalle guerre civili, la protagonista Samia ha la corsa nel sangue. Correre non è solo una passione ma la sua ragione di vita, il suo modo per lottare per i diritti delle le donne somale, con la speranza un giorno di liberarle dal giogo del regime integralista che le opprime.
Correre la porterà a sfidare le convenzioni, le regole degli integralisti, il suo stesso destino che sembra ostacolarla in ogni modo. Ma la determinazione può tutto e, a dispetto della fame e degli allenamenti notturni, Samia parteciperà alle olimpiadi del 2008 di Pechino (nel video in basso potete rivivere gli istanti della sua gara). Magra, priva della massa muscolare delle altre atlete, vestita di una semplice t-shirt bianca, correrà la sfida della sua vita. Un topolino in mezzo ad un branco di leoni.
Arriverà ultima ma diventerà un simbolo per tutte le donne musulmane. Proprio il fatto di essere diventata la personificazione di chi resiste e vuole un paese diverso la trasformerà però in un bersaglio agli occhi dei gruppi militari islamici. 
Alla fine delusa dal suo Paese in cui non si riconosce più, Samia decide di intraprendere il Viaggio verso l’Europa, la libertà, affrontando tutte le difficoltà e i pericoli che questo comporta.
Il libro ci catapulta in un mondo fatto di soprusi e ristrettezze in cui essere donna è un limite. Ma ci fa anche percepire con occhi diversi il fenomeno dei migranti che ogni giorno approdano, o muoiono nel tentativo di farlo, sulle coste italiane. Quale merito abbiamo di essere nati in Italia invece che in un paese dilaniato dalla guerra e dalla fame? Non è nostro dovere morale accogliere e aiutare queste persone che non altro desiderio che una vita dignitosa che il destino ha loro negato?
Non è facile esprimere giudizi. Non c'è giusto o sbagliato, bianco o nero.Vi chiedo solo di sospendere il vostro giudizio e provare, per una volta, a guardare la faccenda con gli occhi di chi lascia tutto in nome di una speranza di un futuro migliore.

Indicazioni terapeutiche: per i sognatori, per chi crede che la volontà può tutto, per chi ama sfidare le convenzioni.

Effetti collaterali: vi sentirete fortunati per essere nati in Italia, dove molte cose non funzionano, ma esiste ancora la possibilità di cambiare le cose. O almeno spero.