Ieri sabato 13 dicembre presso la Casa dei Giovani di Querceta si è tenuta la presentazione del nuovo libro di Laerte Neri L'unica cosa che non cambia (edito da Marco del Bucchia Editore), organizzato dal circolo culturale "Sirio Giannini". L'incontro è stato presentato da Giuseppe Tartarini ed io ho avuto il piacere e l'onore di intervistare l'autore.
Laerte Neri è un giovane scrittore, nato a Forte dei Marmi che abita a Querceta, autore non solo di prosa, ha esordito nel 2012 con Il mio primo capodanno, ma anche di testi teatrali quali Se io fossi te e R...esistere. Tredici buoni motivi per rinunciare al suicidio.
L'unica cosa che non cambia è un'antologia di racconti che prova a confrontarsi con temi quali l'amore, il diventare adulti, il senso della vita. L'autore, come ha precisato durante la nostra intervista, non ha voluto mandare un messaggio, ma ha provato a farsi delle domande: chi siamo? cosa vogliamo? perché siamo qui?
Il tema centrale, come sottolinea Daniele Pierotti nella prefazione, sono i riti di passaggio, i momenti di crisi che i personaggi si trovano ad attraversare. Ma parla anche di speranza. Ciascun protagonista infatti, pur in una situazione di difficoltà e smarrimento, non si tira indietro, convinto dell'esistenza di una luce, una gemma, un lieto fine possibile per tutti. Perché nonostante tutto, come ci ha ricordato Laerte, anche se viviamo in un mondo di non possibilità, non si deve mai perdere l'ottimismo, la convinzione che guidati dai nostri desideri si può plasmare la realtà, cambiare lo stato delle cose.
E nei suoi racconti si percepisce tutto questo.
Ci sono Anna e Marco, due persone imperfette, che provano ad unire le loro incompletezze, perché a volte può accadere che scavandosi dentro e ripartendo da noi stessi si trova la soluzione alle difficoltà della vita, perché a volte meno per meno fa più.
Poi c'è la storia di Rita e Giacomo, la relazione tra un ragazzo ventottenne e una donna più grande sposata che fa la catechista. L'autore si interroga su cosa sia il peccato, sulla nozione dell'errore, perché se poi una persona sbaglia in buona fede conta lo stesso?
C'è la storia di Marco Fortuna, tredicenne alle prese con le insicurezze adolescenziali, con la fatica di uscire dal bozzolo per spiegare le proprie ali da adulto.
Ho domandato a Laerte se la scelta di ambientare le sue storie in Versilia fosse una scelta pensata. Mi ha risposto che sì, che è voluto partire dalle cose che conosce, dai luoghi che ama come la Versiliana, piazza Duomo a Pietrasanta, il ponte del Principe ( nota di merito alla bellissima copertina di Tommaso Jardella che lo ritrae) per raccontare e raccontarsi.
Gli ho chiesto cosa significasse per lui la scrittura e mi ha dato una risposta che mi profondamente colpito. "La scrittura è stata una via di fuga, una possibilità, mi ha salvato". Perché, da operatore teatrale qual è, Laerte ci ha ricorda che se il teatro è portare fuori le emozioni che si provano dentro, scrivere è provare a dare un senso alle complessità della realtà che ci circonda, farci i conti e darle una forma.
Come dicevo, il libro parla di riti di passaggio, che sono allo stesso tempo momenti di crisi ma anche di rinascita, possibilità di reinventarsi, di essere nuovi in un mondo in continuo divenire.
Temo che per scoprirlo dovrete leggere il libro.
Grazie Elisa, mi ha fatto molto piacere leggere questa tua recensione. Grazie!
RispondiEliminaGrazie a te per avermi coinvolto nella tua presentazione!
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