Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Un'epifania, una scoperta che colpisce l'io lirico all'improvviso, un "miracolo" che dura quanto un battito d'ali: la presa di coscienza del vuoto, del nulla, dell'assurdità dell'essere e della natura apparente del mondo. Tutto ciò di cui l'uomo fa infatti conoscenza non è che un inganno, ma non per questo è meno reale.
Ma è solo un momento, uno smarrimento fugace, come un velo che si discosta per poco per poi tornare a coprire, con la sua natura illusoria, l'assenza di un senso profondo.
L'io poetante, dopo questa straordinaria esperienza, è costretto a portare dentro di Sé questa nuova consapevolezza, prigioniero del silenzio, senza poter più tornare alla condizione abituale degli "uomini che non si voltano". Il suo sentire e la conoscenza che ne è derivata si sono trasformate nella peggiore delle condanne.
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