Mi tolgo subito il sassolino dalla scarpa. Ho letto tutti i libri di Fabio Genovesi e non posso che patteggiare per lui. Per il modo in cui mischia, in maniera sempre nuova e sorprendente, ironia e malinconia. Per come descrive una terra, la sua, che poi è anche la mia, che, se non ne fossi già ammaliato, te ne innamoreresti all'istante. Perché è uno scrittore di successo ma ai salotti milanesi preferisce Forte dei Marmi, non quella glamour però. Quella nuvolosa e deserta, quella che rimane quando i turisti tornano a casa, con la valigia piena di ricordi delle serate estive e dei mirabolanti fuochi di Sant'Ermete, ma noi restiamo qui. E magari lo incontri sul pontile a parlare di muggini coi pescatori.
Eppure il suo libro precedente, Chi manda le onde, non mi era piaciuto e ve lo avevo confessato nella mia recensione ( leggi qui ) . Mi ero sentita quasi tradita nelle mie aspettative.
E poi il romanzo vinse il Premio Strega Giovani 2015.
E mi sono sentita un po' così. In colpa. Come se non avessi capito tutto quello che c'era da capire. Così il 5 settembre quando è uscito Il mare dove non si tocca sono corsa ad acquistarlo. E per una strana legge del contrappasso, premio o no, questa volta quest'ultimo romanzo mi è entrato sotto pelle subito, come un sapore di buono che ti resta in bocca per ore e nella mente per giorni.
La solitudine è così, non devi mica essere solo per sentirla, ti prende anche in mezzo alla folla, perché quando ti senti solo davvero non è che ti mancano tante persone, te ne manca una, ma tanto.
Il mare dove non si tocca è la storia di Fabio, un ragazzino che abita in un paesino di provincia, e della sua strampalata famiglia: il babbo aggiusta-tutto che assomiglia a Little Tony, la nonna che apparecchia sempre anche per il nonno che non c'è più e loro, i nonni o meglio, gli zii. Aldo, Aramis, Adelmo, Arno, Athos, sui quali grava una terribile maledizione, che li condanna a diventare matti, se non si sposano entro i quaranta anni. Rumorosi e polemici, impetuosi e rissosi, capaci di catturare qualsiasi animale che corra, voli o nuoti, rappresentano la quintessenza dell'eccentricità. Ma d'altronde in Versilia siamo fatti così: ci piace esaltare la stranezza, sopratutto la stranezza della vecchiaia.
Il Villaggio Mancini è un po' villaggio del Far West, un po' Macondo, con un chiaro rimando al realismo magico di Marquez. Non c'è contraddizione: come ha affermato lo scrittore fortemarmino durante una sua presentazione "Il realismo magico è l'unico realismo autentico, perché se si pensa che la realtà sia la fila alle poste, le notti insonni, ... Quella non è la realtà. Quella è solo la crosta della realtà."
Perché il pesce tuo non te lo prende nessuno. Nuota strano, nuota a caso, ma eccolo che arriva a te.
Il piccolo Fabio cresce, senza perdere il suo sguardo disincantato, tra gare di presepi e coccinelle, tra gite ai monti col parroco e funghi scintillanti, tra la solitudine e la paura di non essere abbastanza simile agli altri. Se c'è una lezione che il protagonista impara è che non puoi prepararti. Che la vita ti rovescia addosso comunque tutto, come il lavarone che il mare butta sulla spiaggia. Non importa quanto preghi, quanto ti impegni ad essere bravo, non conta nulla. Tanto vale inseguire quello che ami, che tanto il dolore ti cade addosso lo stesso e non c'è verso di scansarlo.
Il mare dove non si tocca è così. Si ride, ci si commuove, si ride ancora. Si legge la storia di Fabio e vi si riconosce la propria, in una sorta di riflesso cangiante, di piccolo sussulto che riporta ognuno di di noi alla propria infanzia, un luogo abitato di ricordi, mostri e sogni infranti.
...io lì per lì quest'anima non me la sapevo immaginare, poi però l'ho capito che l'anima di ogni persona è proprio questa qua: è la sua storia da raccontare, e più è bella più vola fra le bocche e le orecchie e dura nel tempo. Il tuo corpo finisce in una cassa, ma la tua storia viaggia per il mondo, viaggia per sempre.
Fabio Genovesi ci racconta la sua storia, come è stata ma soprattutto come sarebbe potuta essere, cosicché il lettore non sa mai dove finisce la realtà e dove inizia la finzione narrativa.
Il valore aggiunto di questo romanzo sta proprio nell'universalità del suo significato intrinseco: Fabio cresce a Vittoria Apuana ma il libro sarebbe potuto essere ambientato benissimo in un un paesino in Brasile o in Turchia. Se c'è una cosa che vale per tutti è propria questa: casa tua, il posto dove sei nato, è diverso e uguale per tutti. Allora raccontare la provincia per Genovesi diventa un modo per dare vita ad un grande racconto epico, su modello della grande narrativa americana, una sorta di "mitologia dei posti". L'autore parla dei posti degli altri parlando del suo e così facendo compie la magia: accende il calore e l'amore che ognuno ha per il suo pezzo di mondo, quello spicchio dell'universo che è solo nostro, ma che, paradossalmente, condividiamo con il resto dell'umanità.
Indicazioni terapeutiche: per chi è rimasto bambino, per chi ha paura del mare aperto ma si tuffa lo stesso, per chi non perde la speranza.
Effetti collaterali: Non sempre ciò che ci allontana dalla strada comune, che ci fa essere dissimili dalla moltitudine è un male. Anche la solitudine può essere un valore, se ci spinge fuori dalla nostra rete di sicurezza, dove niente è sicuro o conosciuto, ma dove sono nascoste anche infinite possibilità, come tesori sepolti in fondo al mare. Solo dove non si tocca si nuota davvero.
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