mercoledì 2 marzo 2016

Perché le Nazioni falliscono di Daron Acemoglu e James Robinson

Viviamo in un mondo di disuguaglianze economiche, sociali, culturali, disuguaglianze che, di giorno in giorno aumentano, di modo che i ricchi sono sempre più ricchi, mentre i poveri sono sempre più poveri.
Nei paesi ricchi le persone godono di migliore salute, vivono più a lungo e sono più istruite. Nella vita hanno accesso a molti agi e opportunità, dalla possibilità di studiare e scegliersi la propria carriera professionale, alle vacanze, alle case dotate di acqua corrente ed elettricità. Vivono in Nazioni in cui vigono governi democratici che assicurano la tutela dei diritti e delle libertà individuali. Elemento ancora più importante è il fatto che i cittadini possano votare alle elezioni influendo così in modo diretto sulle scelte politiche.
Nei paesi poveri, al contrario, non solo gli individui non hanno le risorse minime necessarie per il loro sostentamento, ma non godono nemmeno dei diritti considerati fondamentali. Spesso gli abitanti di tali paesi vivono infatti in Stati non democratici, i cui governi intervengono in modo invadente e oppressivo nelle loro vite private.
Copertina del libro

Da anni gli studiosi si interrogano sul perché esistano simili diseguaglianze a livello globale e quali siano le loro cause. Daron Acemoglu e James Robinson nel loro libro Perché le Nazioni falliscono sostengono che la causa è da ricercarsi nelle diverse istituzioni che governano i diversi stati, sostenendo che esiste un legame indissolubile tra istituzioni politiche ed economiche. È infatti il processo politico a definire all'interno di quali istituzioni economiche si svolgerà la vita dei cittadini, per esempio se gli scambi avverranno o meno in una situazione di libero mercato. Le istituzioni influenzano quindi i comportamenti e gli incentivi nella vita quotidiana e così facendo determinano l'origine del successo o del fallimento delle nazioni in cui operano. 
Acemoglu e Robinson sostengono che i paesi del mondo hanno una diversa capacità di sviluppo economico per via delle loro differenti istituzioni, cioè le regole che influenzano il funzionamento dell'economia e degli incentivi che motivano i singoli individui. Gli autori raggruppano tutte le istituzioni possibili in due grandi categorie: quelle inclusive e quelle estrattive. 
Le istituzioni inclusive permettono che nei luoghi dove si prendono le decisioni convivano i rappresentanti di numerosi e diversificati interessi e non soltanto quelli di una precisa élite. Il conflitto tra i vari interessi di questi rappresentanti fa sì che sia conveniente per tutti stabilire una legge chiara, univoca e che possa essere applicata in tutti i casi, invece dell’arbitrio di un monarca o di un dittatore che potrebbe appoggiare ora gli uni ora gli altri.

Distribuzione della ricchezza nel mondo
In altre parole istituzioni politiche inclusive significa democrazia rappresentativa, mentre istituzioni economiche inclusive significa un mercato tendenzialmente libero, dove per chiunque sia possibile aprire un’impresa o comunque esercitare il suo talento nella direzione che preferisce. I nemici delle istituzioni economiche pluraliste sono i monopoli, le corporazioni, le barriere all’ingresso nelle varie professioni e così via. Per essere inclusive, le istituzioni economiche devono quindi garantire il rispetto della proprietà privata, un sistema giuridico imparziale e una quantità di servizi che offra a tutti uguali opportunità di accesso al sistema di scambi e contrattazioni e la possibilità di scegliere liberamente un'occupazione.
I sistemi politici politici di tipo estrattivo, al contrario, concentrano il potere nelle mani di una cerchia ristretta e non pongono limiti all'esercizio del potere stesso. Le istituzioni economiche sono forgiate da questa élite per estrarre risorse dal resto della società, generando in tale modo un circolo vizioso: le istituzioni politiche consentono all'élite al potere di plasmare le istituzioni economiche con pochi limiti e quasi senza opposizione, e allo stesso tempo di determinare l'evoluzione futura del sistema politico-istituzionale.


In conclusione, la tesi sostenuta dai due studiosi americani è che non può esserci una crescita economica duratura e stabile senza democrazia e libero mercato. Una teoria costruita ad hoc per ottenere il plauso del pubblico occidentale?
Di sicuro siamo di fronte ad una tesi forte che farà molto discutere, perché bisogna sempre tenere presente che la storia non procede linearmente, ma è caotica, nel senso sistemico del termine, quindi non spiegabile con uno o due fattori.
Il libro è scorrevole e si legge bene, anche se è un po' prolisso. Il concetto espresso è chiaramente con molti gli esempi riportati a sostegno della tesi ma pecca, a mio avviso, di eccessiva ripetitività. L'ho trovato, in ogni caso, un libro interessante che spiega in maniera accessibile a tutti perché alcuni Stai "funzionano" e altri no.


Indicazioni terapeutiche: per chi non si è ancora reso conto di esser nato nella metà fortunata del mondo.

Effetti collaterali: Le istituzioni economiche inclusive creano mercati inclusivi che garantiscono a tutti gli individui la libertà di seguire le proprie aspirazioni e di realizzarle concretamente. Di fatto, aprono la strada ad altri due fondamentali fattori della prosperità: la tecnologia e l'istruzione. Una forte e prolungata crescita economica è quasi sempre accompagnata da innovazioni tecnologiche che permettono al fattore lavoro, gli individui, di diventare più produttivo. Alla dimensione tecnologica sono intimamente legati l'istruzione, l'abilità e le competenze professionali, il know-how, acquisite attraverso l'istruzione o il lavoro stesso. La scarsa qualità dei sistemi scolastici nei paesi poveri è causata da istituzioni politiche che non finanziano e sostengono le scuole. Il basso grado d'istruzione si traduce nello spreco di possibili talenti: È. plausibile che nei paesi poveri ci siano molti potenziali Steve Jobs, Bill Gates, Jeff Bezos, che lavorano come contadini o arruolati forzatamente nell'esercito.


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