mercoledì 10 agosto 2016

Rio 2016: la riscossa dei sognatori

Rio 2016: una valanga di emozioni.
Le Olimpiadi come metafora della vita: lotti, sudi, soffri, vinci, talvolta perdi. Ma a casa riporti sempre qualcosa, non sempre una medaglia, ma una lezione che ti marca a fuoco, ricordi indelebili, emozioni incancellabili.
Sono molte le storie che mi hanno colpito nel corso di questa XXXI edizione dei Giochi, vite sacrificate sull'altare di una passione, quella per lo sport, totalizzante, che mischia lacrime e sudore, che ti innalza sulla cima dell'Olimpo, ma può farti anche precipitare nel più profondo dei baratri.



La medaglia d'argento della coppia formata da Tania Cagnotto e Francesca Dallapé, dietro le cinesi che sembravano disputare una gara tutta loro. L'emozione di un abbraccio che racchiude tutti i sacrifici di anni di allenamenti. Una rivincita a distanza di quattro anni da Londra, quando mancarono il podio per appena 2.70 punti, superate dalla canadesi. Proprio le canadesi che, per uno strano scherzo del destino, hanno mancato a Rio la medaglia di bronzo per un soffio. Un cerchio che si chiude. Una rivincita che vale come un oro, che però non cancella i momenti difficili. Alla fine della gara Tania Cagnotto confessa il sollievo di lasciare lo sport, la tensione e la fatica che l'hanno accompagnata:

Però arrivare a questo argento è stato feroce, scortica, toglie la pelle. So che rimpiangerò lo sport, ma sono a pezzi. Stanca di soffrire. Smetto per questo, perché è un fuoco che riscalda, ma che consuma anche. Non solo te, ma anche quelli che ti stanno attorno.


Adam Peaty che a soli 21 anni è già entrato nella leggenda, record mondiale, l'unico al mondo a essere sceso sotto il muro dei 58'', e medaglia d’oro nei 100 metri rana. Non male per uno che da bambino aveva paura dell'acqua. Uno che è venuto su dal nulla, talmente povero che la sua allenatrice e scopritrice Rebecca Adlington regalò un'auto alla sua famiglia, dal momento che non poteva nemmeno permettersi i mezzi per raggiungere la piscina dove si allenava.
La riscossa di un ragazzo che è partito dal nulla e che, grazie al suo duro lavoro e alla sua determinazione, è arrivato sul tetto del mondo. In vista dei Giochi, si è sottoposto ad un allenamento durissimo: sveglia tutte le mattine alle 4, in piscina dalle 5 alle 7, e, di seguito, palestra fino alle 8.30. Poi di corsa al college per studiare. Nel tardo pomeriggio una seconda sessione di allenamento e, una volta tornato a casa, cena e a letto alle 19 come un bambino. “La gente non mi vedrà in giro per un po’ –aveva dichiarato ai giornali -, poiché sarò molto stanco".
Direi che ne è valsa la pena.


Yusra Mardini, diciottenne profuga siriana, inserita tra i dieci atleti selezionati dal Comitato Olimpico Internazionale per formare, per la prima volta nella storia, la squadra dei rifugiati. Yusra è una sopravvissuta: quando il barcone su cui stava viaggiando ha incominciato ad affondare nelle acque del Mar Egeo, si è tuffata e ha nuotato per tre ore fino all'isola di Lesbo, mettendo in salvo così le altre 20 persone a bordo.
Tutta la sua storia ha dell'incredibile. Già convocata nella squadra siriana, Yusra ha dovuto abbandonare il suo paese, a seguito della escalation di violenze e dei bombardamenti, che hanno distrutto, tra i tanti edifici, anche la piscina in cui si allenava. Da lì la decisione di fuggire, insieme alla sorella Sarah, fino alle coste della Turchia, e poi il naufragio, e ancora l'esodo attraverso la Macedonia, la Serbia, l'Ungheria e l'Austria, fino ad approdare alla Germania, dove attualmente vive e si allena. E poi la chiamata, quella del Cio, quella che la invitava a far parte di una squadra, composta da atleti come lei, che hanno perso tutto, che sono fuggiti dall'orrore della guerra, ma che non hanno rinunciato al loro sogno. E che alla fine una medaglia nella sua specialità, i 100 metri farfalla e stile libero, non sia arrivata poco importa. La sua vittoria quella più bella, l'ha già ottenuta. 




La storia dell'atleta uzbeka Oksana Chusovitina che a 41 anni disputa la sua settima Olimpiade, qualificandosi per la finale del volteggio. La sua storia è degna della trama di un film: ha disputato i giochi vestendo tre body differenti, CSI, Uzbekistan e Germania, vincendo due medaglie, argento al volteggio nel 2008, oro con la squadra nel 1992 a Barcellona. Ma, cosa ancor più rara tra le atlete, è rientrata a gareggiare dopo essere diventata mamma di Alisher. Lasciata la nazione tedesca, dove si era trasferita per curare il figlio affetto da da una grave malattia, è tornata a vestire la casacca della sua terra d'origine. Scenderà in pedana domenica 14 agosto a caccia di una medaglia che avrebbe dell’incredibile, considerando che la più "anziana" delle ginnaste statunitensi a queste Olimpiadi è nata nel 1994, quando la Chusovitina aveva già gareggiato per il suo primo torneo olimpico.

E poi c'è Michela Phelps, che si aggiudica tre medaglie d'oro, una nei 200 metri farfalla, una nella staffetta 4x200 stile libero e una nella staffetta 4x100 stile libero , entrando così nella storia come l'atleta olimpico più titolato di sempre raggiungendo quota 21,  a cui vanno aggiunti due argenti e due bronzi.
E la delusione per Federica Pellegrini per il quarto posto nei 200 metri stile libero, la rabbia che la spinge a dire che forse è il momento di mollare. E ancora la medaglia d'oro di Fabio Basile, un po' sbruffone, ma che, poco più che ventenne, ha sorpreso tutti con una vittoria inaspettata, mettendo a tacere tutti coloro che gli avevano consigliato di aspettare Tokyo 2020.

Tante storie, tutte diverse, ma ognuna capace,  a suo modo, di emozionare. Tante vittorie, altrettante sconfitte, che insegnano che alla fine, come dice a Jim Morrison, a volte il vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato.



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