lunedì 2 marzo 2015

Chi manda le onde di Fabio Genovesi

Poche settimane fa mi sono recata alla presentazione di questo libro ed ero rimasta letteralmente folgorata dal carisma di Fabio Genovesi.( vedi il post http://bit.ly/1M1lce5)
E poi, essendo quasi conterranei, mi viene naturale fare il tifo per lui.
Insomma avevo grandi aspettative per questo libro.
Invece sono rimasta delusa.
Pagina dopo pagina non sono riuscita a scacciare la sensazione che ci fosse qualcosa che stonava.  È vero che la scrittura è seducente, che i personaggi sono ben delineati e interessanti ma manca qualcosa.
Lo stile di Genovesi c'è. Amo il suo modo di scrivere: ci sono alcuni passaggi che mi hanno incantato, passi in cui l'autore è riuscito a mettere in parole l'effimero delle emozioni, quasi una sorta di magia. Genovesi gioca con le parole, come le onde del mare con la spiaggia: si rincorrono, si accavallano, trascinano il lettore in mondi di cui ignorava l'esistenza, lasciandolo stordito e stupefatto.
Credo sia la trama ad essere un po' debole. Non penso sia corretto scriverla qui, perché rischierei di dire troppo, rovinando il piacere di leggere il romanzo a chi ancora non lo ha fatto.
Posso dire che l'autore intreccia con sapienza le storie dei diversi personaggi che, come nella sua tradizione, sono al limite dello strampalato, outsider che la vita ha messo all'angolo, predenti che non si arrendono. C'è Serena, madre sui generis di Luca, troppo bello e bravo per essere vero, e Luna, bambina albina che non riesce a rassegnarsi alla sua diversità. C'è il gruppo formato da Sandro, Rambo e Marino, quarantenni falliti che vivono ancora con i genitori, costretti a confrontarsi con le proprie sconfitte. E infine Zot, bambino arrivato dall'Ucraina, che vive con il "nonno" Ferro, ex bagnino, fissato con la necessità di difendersi dall'invasione russa. Un manipolo di sfavoriti che all'apparenza non potrebbe sembrare più diverso, ma che in realtà ha in comune molto di più di quanto possa sembrare.
Ma, a mio avviso, la trama si sfilaccia troppo, si perde quasi in una serie di digressioni, alcune delle quali forse sono di troppo. È come se il libro mancasse di ritmo ( l'escamotage stesso per mandare avanti la storia, ad  un certo punto, si rivela un po' fiacco). Il che fa sì che a volte si faccia fatica a voler andare avanti.
Peccato davvero perché gli ingredienti c'erano tutti: il bene e il male, l'amore e la morte, le lacrime e le risate. Un romanzo mondo, come l'avevano definito alla presentazione, che colpisce senza affondare. Un turbinio di emozioni che invece di  arrivare tutte insieme, vengono annacquate, perdendo tutta la loro potenza.

Particolare della copertina 

Indicazioni terapeutiche: per chi ama indagare il senso delle cose, per chi si chiede se davvero esistano il bene e il male e dove inizi l'uno e finisca l'altro.

Effetti collaterali: nel romanzo uno dei temi centrale è la diversità. Essere diversi non è mai scelta. È una cosa che capita, contro la quale spesso si lotta,  a causa della quale si soffre. Perché la diversità è come un muro che ci separa dal resto del mondo, al quale ogni essere umano desidera ardentemente appartenere. L'unica via d'uscita è trovare un equilibrio tra ciò che ci distingue dagli altri e ciò che ci rende simili; una sorta di patto che ci permette di riappacificarsi con ciò che ci circonda, senza dover rinunciare alla propria essenza, a ciò che che ci rende ciò che siamo,  unici e irripetibili.


4 commenti:

  1. Il libro non mi è piaciuto per niente. Ho fatto fatica a finirlo. Ho ritrovato pezzi che l'autore aveva già scritto in altri libri e questo mi ha deluso tantissimo. Il linguaggio lo trovo poco curato. NON LO CONSIGLIO. Ma ad ognuno il suo gusto letterario e qui non parlerei nemmeno di letteratura e infatti mi stupisco della candidatura allo Strega: giochini editoriali? Raccomandazioni?

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    1. Anch'io sono rimasta delusa...

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    2. Grazie Elisa, mi sento confortato. Ultimamente poi pensano di esaltare le simpatie che lo scrittore suscita per invitare alla lettura del libro. Ma parliamo del libro o della persona? Anche il mio lattaio è simpatico e vado volentieri da lui a comprare il pane, ma non è detto che quel pane sia il più buon in assoluto.
      Non apprezzo quegli scrittori che metto loro stessi al primo posto, prima ancora del libro.
      Se Genovesi vuole fare il cabarettista, cambi mestiere!

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    3. Non si può far finta che nell'industria culturale di oggi l'essere un personaggio non conti. Siamo nella società dell'immagine, che ci piaccia o meno.
      Ciò comunque non implica che saper vendere un libro equivalga a saper scrivere un buon libro.

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