lunedì 10 novembre 2014

The Giver di Lois Lowry

A cosa saremmo disposti a rinunciare per vivere in una società ideale?
Il mondo dove Jonas vive è un mondo perfetto: niente povertà, niente guerre, niente carestie, niente malattie. Un mondo ordinato, sicuro, scandito da ritmi regolari, con regole ben precise che tutti seguono fin dalla nascita. Nulla viene lasciato al caso.
Nella Comunità tutto è già stato deciso: le famiglie vengono assemblate da un comitato, niente figli biologici, e ogni persona al compimento del dodicesimo anno di età riceve la propria designazione, il ruolo che rivestirà per il resto della vita all'interno della società. Non esistono pulsioni sessuali, né ambizioni, né sogni. Nessuna scelta. Il Comitato decide: perché quando le persone hanno la possibilità di scegliere, sbagliano.


Jonas, con sua grande sorpresa, scopre di dover diventare il nuovo Accoglitore di Memorie, colui che ha il compito di preservare la storia dell'intera Comunità. Durante gli incontri con il Donatore, The Giver appunto, l'uomo che dovrà donare a Jonas tutti i suoi ricordi, la storia dell'umanità, Jonas capirà il prezzo che gli uomini hanno dovuto pagare per mantenere l'armonia. Hanno rinunciato ai colori, alla musica, ai sentimenti, alle passioni, alle pulsioni, ai ricordi. A ciò che ci rende ciò che siamo, umani. Così decide di cambiare quel mondo grigio e asettico in cui è cresciuto e non si riconosce più, iniziando un viaggio che non sa bene dove lo condurrà.
Lo scrittore Lois Lowry dipinge un mondo solo in apparenza pacifico: la violenza sta nel soffocare ogni scelta sull'altare dell'Uniformità. I desideri del singolo vengono sacrificati sull'altare dei bisogni di molti.
Una società cristallizzata che reprime ogni forma di diversità e condanna ogni suo membro ad un destino già tracciato, privandolo di ogni possibilità di autodeterminazione, non è forse il peggiore dei mondi possibili?

Indicazioni terapeutiche: per chi ama i romanzi distopici come Divergenet e Hunger Games.

Effetti collaterali: la domanda che viene da porsi dopo aver letto questo libro è: vale la pena essere perfetti? O rinunciare alla possibilità di sbagliare è quello che ci rende umani?
Ma soprattutto fa riflettere che per annullare il dolore e la coscienza collettiva, vengano nascosti i ricordi passati, la storia. Non siamo forse la somma di tutto ciò che abbiamo vissuto? Se rinunciamo alle nostre esperienze non perdiamo forse noi stessi?

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